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Viaggi online, cosa cambia dopo l’accordo tra Booking e l’Antitrust

Dal prossimo 1 luglio, a seguito dell’accordo tra la OTA olandese e le Antitrust di Italia, Francia e Svezia, cambieranno alcune clausole tra Booking.com e gli hotel – Federalberghi insoddisfatta: “Penalizzati i piccoli albergatori” – Booking: “Inutile farsi la guerra: offriamo visibilità e servizi gratuiti a tutti” – Scontro su commissioni e brand jacking.

Viaggi online, cosa cambia dopo l’accordo tra Booking e l’Antitrust

E’ la solita storia che si ripete: nel ruolo di Davide e Golia stavolta troviamo le cosiddette OTA (agenzie di prenotazione online) come Booking e Expedia, che dominano il mercato dei viaggi online, e gli albergatori, che trovano in questi portali vetrina e opportunità ma che lamentano limitazioni della concorrenza a favore – come spesso accade – dei giganti del web. “La clausola che impedisce agli alberghi di praticare tariffe inferiori sul proprio sito danneggia i piccoli”, denuncia Federalberghi. “Offriamo visibilità a tutti e dei servizi che i piccoli albergatori non potrebbero permettersi”, replicano da Booking. Ma chi ha ragione? Partiamo dall’inizio.

La querelle ha inizio esattamente un anno fa: il 7 maggio 2014 Federalberghi segnala all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (e lo stesso fanno le associazioni francese e svedese) le cosiddette “Most Favoured Nation Clauses”, ossia le clausole che vincolano le strutture ricettive a non offrire i propri servizi alberghieri a prezzi e condizioni migliori tramite altre agenzie di prenotazione online e, in generale, tramite qualsiasi altro canale di prenotazione, inclusi i siti internet degli alberghi. L’Antitrust apre dunque l’istruttoria nei confronti dei gruppi stanunitensi Priceline (che controlla la società olandese Booking), e Expedia (nata nel ’96 sotto l’egida di Microsoft): mentre i secondi – che in Italia hanno un mercato nettamente inferiore a quello del portale Booking.com – temporeggiano, Priceline con largo anticipo rispetto alla scadenza (luglio 2015) presenta di sua spontanea volontà, a dicembre 2014, i propri impegni per un “buon compromesso”, come lo definisce Andrea D’Amico, Regional Director per l’Italia.

Lo scorso 21 aprile l’Authority accoglie le soluzioni proposte dal portale olandese, e lo stesso fanno gli organi di Francia e Svezia: sì alla cosiddetta “parity rate” (la possibilità di pubblicare prezzi diversi), ma solo su altre OTA e non sul sito della struttura ricettiva. Il pronunciamento è impugnabile al Tar (“Stiamo valutando con i nostri legali”, rivela Alessandro Nucara, Direttore generale di Federalberghi) ma intanto il caso balza a livello europeo. Se infatti Booking sostiene che “le decisioni degli organi di Italia, Francia e Svezia sono state approvate dalla Commissione Ue”, Federalberghi ritiene questa tesi “senza fondamento” e invoca il caso della Germania: “In Germania un giudice ha stabilito la completa parity rate, con sentenza passata in giudicato”.

In attesa che Bruxelles uniformi la regolamentazione con un intervento normativo, a rendere la questione ancora più complicata ci sono però altri aspetti. Innanzitutto, quella che nell’era di internet e delle prenotazioni online (secondo i dati forniti dall’Antitrust francese il 93% dei clienti usa ormai il web per organizzarsi un viaggio) è definita da Nucara una soluzione “assolutamente antistorica”: la possibilità, offerta dall’accordo Antitrust-Booking e valida – come tutte le altre – dal prossimo 1 luglio, di offrire sconti sui canali offline. Ovvero ai clienti che inviano una email, telefonano alla reception o si recano di persona in agenzia o in hotel. “Quindi secondo l’Antitrust se mi contatta un cliente dall’Australia utilizzando Booking, devo dirgli di chiamarmi o di mandarmi una mail: un’evidente complicazione per il consumatore”.

Oltre che una possibile scorrettezza nei confronti del portale. “Non c’è bisogno di farsi la guerra – spiega infatti D’Amico -: per quanto ci riguarda Booking e gli hotel sono partner, non rivali. I vari canali sono soltanto soluzioni in più per il cliente, che sceglierà quella a lui più congeniale”. Il ritorno all’offline dunque non è una soluzione incoraggiata, anche se di fatto in alcuni Paesi molti consumatori hanno imparato a non disdegnarlo: sempre l’Antitrust francese rileva che è vero che il 93% cerca l’offerta online, ma è altresì vero che solo il 66% prenota effettivamente online, preferendo magari contattare direttamente la struttura. Se però questo aspetto è stato inserito dalla stessa Booking nell’accordo, il portale basato in Olanda vedrebbe invece come una scorrettezza da parte degli albergatori l’eventuale aggiramento della non totale parity rate, di fatto possibilissimo attraverso un cavillo che in pochi hanno rilevato, “e che Booking si è ben guardata dallo specificare nella mail che ha invitato agli hotel dopo l’accordo con l’Autorità garante”, denuncia Nucara. L’accordo prevede infatti la totale “parity avalaibility”, ossia la piena libertà per gli alberghi di stabilire il numero e la tipologia di camere da porre in vendita sui portali, senza l’obbligo di riconoscere condizioni preferenziali alle OTA. In altre parole, un hotel può mettere camere standard su Booking e camere economy sul proprio sito, applicando dunque – di fatto – prezzi inferiori, anche se (in teoria) commisurati a una diversa qualità del servizio offerto.

“Punteremo su questo”, annuncia Federalberghi, che nel comunicato stampa diffuso il 21 aprile scorso invita anche i consumatori “a farsi furbi”. “Questo atteggiamento sarebbe scorretto – replica D’Amico -: i servizi offerti da Booking sono un vantaggio proprio per le piccole medie imprese. Offriamo visibilità istantanea sin dal momento dell’iscrizione e poi una serie di servizi gratuiti di web marketing, senza contare la traduzione e l’assistenza in 42 lingue. Questo significa che l’agriturismo di Ostuni può dialogare con clientela cinese o russa anche senza averne le competenze o investire per ottenerle. Abbiamo anche un’app e di recente abbiamo lanciato la nuova app “Booking Now”, per le prenotazioni veloci last minute”.

“Il tutto – prosegue D’Amico – in cambio soltanto di una commissione sulle transazioni, che è in media del 16,8% in Italia e che negli ultimi anni è anche leggermente scesa”. Le commissioni, un altro terreno di disputa. Secondo Federalberghi, queste di fatto arriverebbero a sfiorare il 30% “secondo un meccanismo perverso – sostiene Federalberghi – per il quale si paga di più per avere una migliore posizione, ma non si sceglie la posizione bensì solo la struttura alla quale passare davanti. Diventa praticamente un’asta, e solo alzando parecchio la posta si riesce ad essere molto ben visibili”. “Questo è vero solo in parte – fanno sapere da Booking -: è vero che la commissione può salire al 20-30%, ma solo ed esclusivamente per scelta dell’albergatore. A quelli che pagano meno vengono comunque offerti tutti i servizi”. “E il ruolo dell’Antitrust non dovrebbe essere proprio quello di tutelare i piccoli, quelli che non possono permettersi di ‘comprare’ una posizione migliore?”, controbatte Nucara, che ricorda anche gli affari d’oro del colosso Priceline, quotato al Nasdaq e che ha chiuso il 2014 fatturando 8,44 miliardi di dollari (7,7 miliardi euro circa, +23% sul 2013), con un utile che solo nell’ultimo trimestre ha raggiunto quasi il mezzo miliardo di dollari. Sono invece state, nell’arco dell’anno, 346 milioni le prenotazioni complessive effettuate su Booking.com nel mondo (+28%) per un valore di oltre 50 miliardi di dollari.

L’ultima diatriba è invece su un tema alquanto spiacevole, quello del cosiddetto “brand jacking”: digitando direttamente i nomi degli alberghi sul motore di ricerca (di Google, ad esempio), molto spesso le prime risposte rimandano al portale di Booking. “Booking compra pubblicità sulle chiavi di ricerca degli hotel – sostiene Nucara -. Questa pratica, a differenza delle altre che sono semplicemente anti-concorrenziali, secondo noi è proprio un abuso”. “Non è così – replica D’Amico -: questa formula offre solo un’opportunità in più all’albergatore, evitandogli di dover investire sul web marketing. Oltretutto è proprio ai piccoli alberghi conviene di più essere identificati con Booking, marchio internazionalmente riconosciuto e considerato affidabile”. In attesa di sviluppi (e della decisione su Expedia), dal prossimo 1 luglio la situazione sarà questa: “farsi furbi”, come invita Federalberghi, o continuare ad avvalersi di una piattaforma veloce e affidabile come Booking? La scelta, come sempre, al consumatore.

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