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Vajont 60 anni dopo: l’Italia non dimentica ma resta un Paese a rischio. Longarone aspetta Mattarella

60 anni dopo la tragedia della diga del Vajont l’Italia non è ancora un Paese sicuro. Fino ad aprile 2024 in tutta Italia ci saranno celebrazioni e incontri dedicati al tema della tutela del territorio

Vajont 60 anni dopo: l’Italia non dimentica ma resta un Paese a rischio. Longarone aspetta Mattarella

Il programma della Fondazione Vajont è stato definito e reso ufficiale da tempo. Si concluderà ad aprile 2024 con un incontro con i giovani per mantenere viva la memoria della tragedia che accadde nel lontano 1963. La passione civile dell’Italia, però, sta andando oltre il programma nel ricordo di 2mila vittime. I geologi hanno organizzato per questo fine settimana un incontro con ministri ed autorità. Oggi allo stadio Friuli di Udine, prima della partita, ci sarà un evento commemorativo. E poi, per tutta la settimana altri eventi, concerti, dibattiti, fino all’arrivo del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 9 ottobre a Longarone.

Era un’Italia diversa da oggi quella del 1963. Accadde quello che il giornalista e scrittore Dino Buzzati sul Corriere della Sera descrisse così: “Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua è caduta sulla tovaglia. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi”. Una metafora amara che ha accompagnato la vita dei sopravvissuti e delle generazioni successive.

L’Italia degli anni ’60

Chi era bambino conserva la tristezza di una Tv in bianco e nero che mostrava la mestizia di contadini, montanari, gente umile e semplice, devastata da un simbolo dell’Italia post bellica. Il Paese aveva conosciuto distruzione e morte con la guerra e la Liberazione dal nazifascismo. Un’opera di ingegneria sovrastante coltivazioni e sentieri che frana e travolge tutto, non era immaginabile. Era l’Italia del boom economico e tutto si doveva fare affinché il Paese tornasse a risplendere e proliferare. I nostri padri si erano rimboccati le maniche per un senso del dovere e forse più. Per dimostrare che eravamo capaci di tirare su strutture da milioni di lire. Il Comune di Longarone, invece, alle 22,39 di quel 9 ottobre fu cancellato e la paura che altri disastri potessero accadere nel resto d’Italia per incuria, cattiva manutenzione, errori umani, prese tutti. Un sogno interrotto da una tragedia che è durato molti anni. Non c’era la Protezione civile che molti anni più tardi si sarebbe presa cura di ogni emergenza. La storia ha condannato il Paese a vivere altri lutti per terremoti, fattori climatici, inettitudine, speculazioni, corruzione, senza che ci si potesse sentire definitivamente al sicuro. Si arriva al terremoto dell’Irpinia del 1980, al crollo del ponte di Genova nel 2018 e ci chiediamo perché ? Ancora oggi 7 milioni di cittadini vivono in zone esposte a frane e alluvioni. Straripano il Po e gli affluenti nel 2023, mille comuni non sono al riparo da nulla e non c’è nessun serio piano nazionale di protezione dai disastri. Quanto vale la parola di un ministro “pro tempore” di fronte a tanta precarietà?

La forza del racconto

Quella notte del 1963 una frana dal monte Toc cadde nel lago della diga provocando un’onda che distrusse tutto quello che c’era sotto. La giornalista de l’Unità Tina Merlin denunciò con inchieste memorabili le vere cause del disastro. Ci sono voluti decenni per risarcire con circa 60 miliardi di euro i danni del crollo. Dopo la Merlin il regista e attore Marco Paolini è stato il migliore narratore del Vajont. Il suo spettacolo è andato nei teatri di tutta Italia e nel 60esimo anniversario la rappresenterà a Milano

«Quando 30 anni fa cominciai a raccontare il Vajont- ricorda Paolini- avevo dentro una grande rabbia per l’oblio. Poi ho cominciato a studiare i report sul clima, a leggere i libri di chi prova a narrare ciò che stiamo vivendo, a misurare le strategie del negazionismo prima e del populismo poi nel cavalcare i luoghi comuni che contrastano il quadro scientifico, giustificando un’inerzia diffusa alla transizione ecologica». Insomma, siamo fuori dall’incubo di un Paese minacciato? Per niente.

La tragedia del Vajoint si collega alle grandi questioni dell’oggi, dello sviluppo economico, della tutela del paesaggio, dell’energia. La diga era stata contrastata dalla popolazione, ma l’energia idroelettrica era la fonte privilegiata per i bisogni di famiglie ed imprese. Quella tragedia per anni ha paralizzato lo sviluppo di altre dighe. Lunedi scorso 6 mila persone hanno partecipato alla pedonata nella vallata della memoria con il consenso dell’Enel. Dal 2005 ci si riunisce per vedere, capire e non dimenticare. Si arriva agli altri due paesini distrutti dal crollo del 1963, Erto e Casso, e il dolore viene percepito lungo un ponte alto 260 metri. E’ solo uno dei tanti momenti che chiedono attenzione e rispetto perché il progresso non si può fermare, ma le tragedie si.

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