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Unicredit – Vento populista a Est

Uno studio di UNICREDIT mostra come l’euroscetticismo stia crescendo a Est – Solo la Polonia, il più grande Paese dell’Europa orientale, sembra muoversi in controtendenza, supportata dall’ottima performance economica registrata in questi ultimi anni che continua a generare tassi di crescita relativamente più alti rispetto ai suoi vicini.

Unicredit – Vento populista a Est

Torna a spirare il vento del populismo a Est. Lo confermano i risultati delle ultime tornate elettorali di Slovacchia e Serbia che hanno segnato il ritorno di Governi di matrice nazional-populista al potere. A marzo in Slovacchia si è insediato il nuovo Governo di centro-sinistra guidato dall’ex Premier Fico, che ha di fatto interrotto il percorso riformista intrapreso dal precedente Governo Radicová (eletto solo nel 2010), proponendo una piattaforma che, seppure nell’ottica del risanamento di bilancio, mira a tassare fortemente il settore privato.

A due mesi dalle elezioni, anche in Serbia si è insediata a fine luglio una nuova coalizione di Governo di matrice socialista-conservatrice che, dalle prime dichiarazioni, sebbene abbia confermato la sua intenzione di dare priorità al risanamento delle finanze pubbliche, non esclude di intervenire in maniera importante nell’economia. Entrambi i risultati confermano come la crisi economica abbia giocato un ruolo di primo ordine nell’orientare le preferenze di voto dell’elettorato. Questo ha generato nel frattempo un’inevitabile “austerity fatigue tra la popolazione che ha creato terreno fertile per poter servire sulla tavola politica la ricetta della retorica nazional-populista. 

Se negli anni passati l’obiettivo dell’adozione dell’euro aveva offerto notevoli incentivi a proseguire le politiche necessarie per promuovere una rapida convergenza, oggi continuare su quella strada significa dover necessariamente tenere in considerazione anche un crescente, e per certi versi sorprendente, euroscetticismo nei confronti di quell’Occidente che solo qualche anno fa era ancora modello esemplare di riferimento.

Il caso dell’Ungheria di Orbán, al Governo già da due anni, fa scuola da questo punto di vista. Lo dimostra il modello economico da lui messo a punto per far fronte a questi tempi duri, pronto a colpire con misure di tassazione straordinaria il settore privato e favorevole a una presenza più importante dello Stato nell’economia. 

La Slovacchia di Fico sembra seguirne le orme, avendo proposto di rimuovere la famosa flat tax al 19% e incrementare la pressione fiscale al settore corporate soprattutto alle banche (con imposte superiori di circa sette volte la media europea).
Anche la Serbia del nuovo Premier Dacic sembra sulla stessa lunghezza d’onda alla luce delle sue ultime dichiarazioni in cui ha accusato le 21 banche di proprietà straniera presenti nel Paese di “derubare le persone”. Persino la Repubblica Ceca, guidata dal moderato Necas, si è rifiutata di firmare insieme al Regno Unito il Fiscal Compact, il trattato creato per rafforzare la disciplina di bilancio dei Paesi europei adducendo motivi costituzionali visto che il Presidente Klaus è da sempre un convinto euroscettico. 

Al momento, inoltre, altri Paesi dell’area come la Romania, la Slovenia e la Croazia, alle prese con una difficile congiuntura economica, potrebbero essere attratti dall’esempio ungherese qualora non riuscissero a risollevarsi dalla crisi. Solo la Polonia – il più grande Paese dell’Europa orientale – sembra muoversi in controtendenza, supportata dall’ottima performance economica registrata in questi ultimi anni che continua a generare tassi di crescita relativamente più alti rispetto ai suoi vicini.

Le economie dell’Est Europa non sono però le uniche a essere a rischio. D’altronde, anche nei Paesi occidentali che hanno tecnici o moderati al potere – pensiamo all’Austria, ai Paesi Bassi, alla Francia, alla Finlandia, alla Grecia ma anche all’Italia – si stanno facendo sempre più forti le opposizioni che finiscono per convergere su posizioni populiste di chiara convenienza elettorale.
Per evitare che anche nei Paesi occidentali, e non solo nell’area Cee, la coincidenza tra ciclo economico negativo e ciclo elettorale inneschi un risultato sub-ottimale, alimentando ulteriori forze centrifughe all’interno dell’Unione Europea, è di vitale importanza trovare una soluzione non solo convincente, ma anche duratura, ai problemi economici del continente europeo.

Diversamente sarà difficile dissuadere i Paesi della Cee dall’attrattiva offerta da soluzioni populiste o da prospettive di integrazione regionale in modelli, come quello eurasiatico, diversi dall’Unione europea, come nel caso della Serbia nei confronti della Russia.

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