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Un mese di Nba: dal record di Golden State all’addio di Kobe Bryant

La notizia di questo primo mese di Nba è il 100% di vittorie da parte dei campioni in carica dei Golden State Warriors, che su 19 partite giocate ad oggi, le hanno vinte tutte: un record assoluto a inizio campionato (in assoluto il record sono le 33 dei Lakers del 1972) – Bryant annuncia l’addio a fine stagione dopo 20 anni leggendari.

Un mese di Nba: dal record di Golden State all’addio di Kobe Bryant

Il primo mese di Nba targato 2015-2016 è andato in archivio con una squadra assoluta protagonista, i Golden State Warriors, un marziano travestito da giocatore che vuole riscrivere tutti i record di vittorie di ogni epoca, Steph Curry, e la notizia, purtroppo attesa, dell’addio a fine stagione di Kobe Bryant; ma non solo, queste prime cinque settimane di partite ci hanno regalato nuove stelle in rampa di lancio, graditi ritorni, ma anche qualche flop iniziale.

La scena, però, è stata presa dai campioni in carica guidati da Curry, capaci di vincere tutte le prime 19 gare disputate finora, stabilendo sette giorni fa, asfaltando i Lakers per il sedicesimo successo stagionale, la miglior partenza della storia dell’Nba (i Washington Capitols 1948-49 e gli Houston Rockets 1993-94 si erano fermati a 15). La quindicesima era stata raggiunta in casa dei Denver Nuggets di Danilo Gallinari, ma già questa notte potrebbe arrivare la ventesima sul campo degli Charlotte Hornets, di sicuro c’è che questi Golden State Warriors possono essere la prima squadra realmente in grado di insidiare quel 72-10 fatto registrare dai Chicago Bulls di Michael Jordan nella loro magica stagione 1995-96 (ma non vinsero mai più di 18 partite in fila), gli unici ad aver raggiunto e superato il traguardo delle settanta vittorie. Dietro a quella squadra perfetta troviamo un 69-13 condiviso dai Lakers 1971-72 e dagli stessi Bulls della stagione successiva al record (1996-97), poi un 68-13 per i Sixers 1966-67 e completa la top five il 68-14 dei Celtics 1972-73, unica formazione di queste cinque a non conquistare il titolo a fine anno.

Ma il prossimo record ad essere nel mirino di Curry e compagni è anche quello delle 33 vittorie consecutive stabilito nella stagione 1971-72 dai Lakers di Jerry West (quello stilizzato nel logo Nba) e Wilt Chamberlain che qualche mese dopo conquistarono l’anello. La strada è ancora lunghissima e giocando praticamente ogni due giorni qualsiasi incontro può essere quello storto, Golden State al momento è a un totale di 23, considerando i quattro successi sul finire della scorsa stagione regolare (le gare di playoff non vengono contate), e ha già fatto meglio degli Houston Rockets trascinati da Tracy McGrady, che tra gennaio e marzo 2008 si fermarono a 22, mentre al secondo posto di questa speciale classifica ci sono i Miami Heat targati Lebron James, che tra inizio marzo e fine febbraio 2013 arrivarono a 27 prima di essere stoppati dai Chicago Bulls (ma a fine stagione festeggiarono il secondo titolo di fila).

Comunqe vada questi Warriors hanno compiuto qualcosa di pazzesco, iniziato con la vittoria all’opening night su New Orleans con subito 40 punti di Curry (alla terza, sempre contro i Pelicans, ne ha messi addirittura 53, al momento il suo season high), e proseguito travolgendo gli avversari, come il ventello rifilato in Texas ai Rockets o i 50 punti di scarto dati a Memphis qualche giorno dopo, tra cui spicca il doppio successo contro i rivali dei Los Angeles Clippers, battuti sia in casa che fuori, la seconda volta rimontando da -23 e finendo 124-117, finora l’impresa maggiore di questa serie. I numeri all’interno di queste vittorie sono ancora più stratosferici, con il muro dei 100 punti sfondato regolarmente e un Stephen Curry fin qui mostruoso, con 31.6 punti a partita, ovviamente leader della lega davanti a James Harden con 29.8 e Russell Westbrook con 27.6.

Vero che Golden State attua probabilmente il miglior gioco di squadra (sicuramente il più divertente) delle due conference  e nell’ultimo anno e mezzo il cast di supporto intorno all’mvp dell’ultima stagione (e con ogni probabilità anche di questa) è cresciuto notevolmente, ma è evidente anche ai contrari più accaniti dei solisti che il protagonista assoluto è uno solo ed è quello in maglia numero 30, che sta meravigliando il mondo con giocate da circo e canestri senza senso e capace di portare a casa risultati letteralmente da solo.

E dire che in un’occasione, nonostante i soliti 34 punti ma in una serata per Steph stranamente fallosa al tiro, la serie di vittorie poteva interrompersi già da tempo e contro un avversario non certo tra quelli più temibili. Era l’undicesima sfida e all’Oracle Arena erano ospiti i Brooklyn Nets di Andrea Bargnani (ma venne utilizzato pochi minuti e mise a referto 4 punti), i Warriors alla fine vinsero 107-99 ma solo all’overtime, dopo aver chiuso il primo quarto sotto di 15, aver dovuto rimontare anche nell’ultimo periodo ed essere stati graziati da un clamoroso errore sotto canestro di Brook Lopez sulla sirena. Quella è stata la volta che i campioni in carica se la sono vista peggio, insieme alla già citata gara coi Clippers e proprio all’ultimo incontro dell’altra notte sul campo di Utah, con i Jazz che anche in questo caso hanno avuto la palla della vittoria a pochi secondi dalla fine.

Ma la partita con Brooklyn fu speciale soprattutto per Steph Curry perché in quell’occasione superò per numero di triple realizzate proprio suo padre Dell, ora sempre presente tra il pubblico ad ammirare le gesta del figlio, ma tra fine anni ottanta e fine anni novanta tiratore infallibile con la maglia degli Charlotte Hornets. Al termine di quella serata Steph è arrivato a 1248 triple in carriera (cifra che ovviamente adesso è aumentata ulteriormente) mentre papà Dell si era fermato a 1245, ma la cosa incredibile è che a Curry junior per raggiungere questo numero sono bastate meno della metà delle partite (427), un dato che se continuerà così (già lo scorso anno ha riscritto il record di triple realizzate in stagione con 286) non lascia tranquilli Ray Allen, primatista con 2973 canestri dall’arco in carriera, e prima di lui Reggie Miller, a quota 2560. Curiosamente uno dei pochi record che il prodotto di Davidson non è riuscito a far suo in questo inizio strepitoso di stagione ma ci è andato solo vicino è quello del numero di triple segnate nelle prime tre gare iniziali, primato che appartiene al nostro Danilo Gallinari. Curry ne ha messe “solo” 17, mentre il Gallo all’inizio della stagione 2009-2010 quando vestiva la maglia dei New York Knicks infilò ben 18 bombe.

Record e primati, va detto, sono importanti ma lasciano il tempo che trovano, tutte queste vittorie ovviamente non vogliono assolutamente dire titolo già nelle mani dei Warriors, i playoff sono una storia a parte e due partite sbagliate contano di più di quello che hai fatto nei cinque mesi precedenti, ma Curry e soci hanno mandato da subito un segnale forte a tutte le altre pretendenti che festeggiare il bis nella baia è qualcosa di concreto. Intanto loro non si nascondono, si divertono, parlano apertamente dei prossimi record da raggiungere e, soprattutto, sono determinati a farli loro.

Per fare tutto questo dovranno anche zittire quei tifosi, pochi a dire la verità, che sostengono che nelle imprese degli ultimi mesi di Golden State la dea bendata abbia giocato un ruolo determinante, tornando indietro alle Finals giocate contro Cleveland senza Irving e Love (e lì indubbiamente il compito dei Warriors è stato enormemente facilitato) fino ad arrivare all’inizio di questa stagione con un calendario non certo proibitivo. In effetti, rileggendo attentamente gli impegni della squadra di Oakland in questo primo mese di torneo, quello della striscia vincente, si può notare come non abbia mai incontrato neanche una volta i San Antonio Spurs e gli Oklahoma City Thunder, le due rivali più forti della western conference e al momento rispettivamente al secondo e terzo posto in classifica (e finora non hanno mai incrociato nemmeno la quarta, i Dallas Mavericks), ma soprattutto è mancato ancora il primo duello (o rivincita) con i Cavs di Lebron James, quella che secondo molti dovrebbe essere la finale al termine anche di questa stagione. Oltre a Cleveland, che occupa la prima posizione nella eastern conference, Golden State finora ha evitato Indiana e Miami (2° e 4°) mentre con Chicago e Toronto (3° e 5°) ci ha giocato contro una volta, come Houston e Memphis (che, però, come detto sono uscite con le ossa rotte).

Ribadito che in una regular season Nba di 82 partite ognuna nasconde delle insidie e tenere sempre alta la concentrazione è quasi impossibile, sarà interessante seguire Golden State nei suoi prossimi impegni da qui a Capodanno, iniziando da due trasferte (di 6 di fila) non facili a Charlotte e Toronto, un giro che li porterà l’8 a Indianapolis e l’11 sul parquet di Boston, con la super sfida di Natale in casa contro Cleveland, per finire poi l’anno col botto in Texas, il 30 a Dallas e il 31 a Houston (per gli Spurs e i Thunder se ne riparlerà nell’anno nuovo). Ritrovare Curry e compagni ancora imbattuti ad inizio 2016 al momento sembrerebbe azzardato se non irreale, ma i record sono fatti per essere riscritti e poi, lo sappiamo, il vero traguardo è quello a metà giugno. 

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