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Un Green Deal per il Sud? Partiamo dai rifiuti

Un articolo pubblicato da Ref Ricerche fa il punto sulla disastrosa gestione dei rifiuti al Sud, con alcune proposte per invertire la tendenza. Nell’interesse della competitività delle imprese.

Un Green Deal per il Sud? Partiamo dai rifiuti

Rilancio del Sud. Un tema ciclicamente al centro del dibattito politico e che, all’inizio di quest’anno, ha trovato nuovo slancio con l’annuncio di un ambizioso Piano di sviluppo al 2030 promosso dall’attuale esecutivo. Cuore della proposta? La transizione ecologica come elemento cardine sul quale fare leva per far ripartire l’economia nelle regioni del Sud: una sorta di Green Deal in salsa meridionalista. Il Piano è stato presentato come l’occasione di una grande opera di infrastrutturazione verde che prevedrebbe macro-azioni quali la mitigazione del rischio sismico e idrogeologico, un generico contenimento della produzione di rifiuti, un servizio idrico integrato efficiente e un uso razionale delle risorse naturali.

Il presupposto è chiaro e condivisibile: non può esistere un’Italia sostenibile senza un Sud altrettanto sostenibile. La gestione dei rifiuti in Italia vale, infatti, circa 25 miliardi di euro l’anno, valore che sale a 32 miliardi se includiamo la gestione delle acque reflue. Risorse che il Sud perde non avendo approntato sino ad oggi una strategia, lasciata all’improvvisazione e alle discariche, che massimizzano i benefici privati e minimizzano quelli collettivi. Guardando ai numeri, l’economia circolare dei rifiuti nel Mezzogiorno potrebbe mettere a valore, ogni anno, oltre 43 milioni di tonnellate di rifiuti, 33,4 di origine non domestica e quasi 10 di origine domestica e assimilata (Dati Ispra, 2019-2020). Solo per questi ultimi si stima una produzione pro capite che sfiora i 450 kg, circa 50 kg sotto la media nazionale. Seppure rappresentino un mercato importante, ancora oggi al Sud vengono mandati in discarica circa 4,3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani.

Numeri importanti che non fanno che confermare uno fra i principali limiti del Mezzogiorno in fatto di gestione dei rifiuti, cioè la strutturale mancanza di impianti. La somma dei deficit di smaltimento e avvio a recupero di Campania, Sicilia, Abruzzo e Basilicata ammonta a quasi 2 milioni di tonnellate/anno. La gravità si evince dal fatto che in queste regioni matura circa il 40% del deficit complessivo delle regioni italiane. Non solo. La frattura con il resto di Italia (Nord, in particolare) è ancora più grave se si guarda ai tassi di raccolta. Se nelle regioni settentrionali, infatti, la differenziata nel 2018 si è attestata al 67,7%, in quelle meridionali si è fermata a poco più del 46%, con 207 kg di raccolta pro capite.

Accanto agli urbani, nel Mezzogiorno sono stati prodotti, sempre nel 2018, oltre 33 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, il 23,3% del totale nazionale, con una produzione che continua a crescere: nell’ultimo anno l’incremento è stato di 574mila tonnellate (+1,7%). Una carenza il cui peso maggiore grava proprio sulle imprese di queste aree e, di conseguenza, sulla loro competitività.

Come agire?

Programmare, progettare, investire, costruire. L’ormai prossimo recepimento del Pacchetto Economia Circolare ci impone di portare sotto il 10% lo smaltimento in discarica di rifiuti urbani entro il 2035. Mentre nelle regioni del Sud questa percentuale è ben al di sopra del target indicato. Il dato che più di tutti dovrebbe essere preso in considerazione dai decisori pubblici e dai pianificatori regionali è quello relativo a quattro regioni del Mezzogiorno, Campania, Sicilia, Abruzzo e Basilicata. La somma dei deficit di smaltimento e avvio a recupero di queste zone è quantificata in quasi 2 milioni di tonnellate/anno, il che significa circa il 40% del deficit complessivo di tutte le regioni italiane.

Nella sola Campania – storicamente deficitaria nella gestione dei rifiuti – si registra una carenza impiantistica di oltre 1,2 milioni di tonnellate (anno 2018). Peggio solo una regione del Centro, il Lazio, con 1,3 milioni di tonnellate/anno. Un dato negativo mitigato a livello nazionale dai surplus di alcune regioni come la Lombardia, dotate di un dimensionamento impiantistico adeguato all’assorbimento dei rifiuti prodotti e di un’extra-capacità che può essere messa a disposizione dei territori in difficoltà. Ma non solo. Le carenze impiantistiche possono essere misurate anche sulle frazioni destinate al recupero di materia (o di energia) come, ad esempio, i rifiuti organici. Un indicatore della bassa efficienza del sistema è quello che rileva la quantità di rifiuti “esportata” in altre regioni italiane.

Nel 2018, in Italia sono state movimentate 1,67 milioni di tonnellate di rifiuto organico proveniente dalla raccolta differenziata. Di questi, il 36% proviene dalle regioni del Mezzogiorno, con la Campania, che detiene il primato dell’export extraregionale: 475 mila tonnellate, pari al 29% del totale nazionale. Altro indicatore che deve far riflettere sull’efficacia della gestione dei rifiuti nel nostro Paese è rappresentato dalle importanti quantità di rifiuti urbani biodegradabili (i RUB) che, per mancanza di impianti, vengono impropriamente smaltiti in discarica. Dai dati Ispra 2018, si scopre che ciò è accaduto per circa 3,9 milioni di tonnellate di RUB, di cui il 50% è stato portato nelle discariche del Mezzogiorno.

Non è differente la situazione riguardante i cosiddetti fanghi di depurazione, originati – appunto – dalle attività di depurazione delle acque reflue urbane. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2018 il Sud Italia ha prodotto complessivamente 638.239 tonnellate di fanghi provenienti dal trattamento delle acque, pari al 20% di quanto prodotto nel nostro Paese. Nello stesso anno, i fanghi gestiti nel Mezzogiorno ammontavano a 472.254 tonnellate, con un deficit complessivo di trattamento di quasi 166mila tonnellate. Ancora una volta la Campania vive la situazione più critica: sulle circa 146mila tonnellate di fanghi prodotte ne sono state gestite 23mila (2018).

Non va poi dimenticato un altro fenomeno, anch’esso indicativo della criticità della situazione: quello delle esportazioni di rifiuti oltreconfine. Anche in questo caso emerge (sempre dati Ispra) come nel 2018 siano stati trasferite all’estero circa 465mila tonnellate di rifiuti urbani, di cui 170mila provenienti dalle regioni del Mezzogiorno. Per quanto riguarda i rifiuti speciali, nel 2018, sono stati esportate dalle regioni del Sud circa 433mila tonnellate di rifiuti, a fronte di 102 mila tonnellate importate dall’estero. Si tratta di un dato contenuto rispetto ai 3,5 milioni di tonnellate esportate dall’Italia, ma che deve essere contestualizzato rispetto al fatto che gran parte degli scambi avviene fra le regioni del Nord Italia e i Paesi confinanti, secondo una logica di “prossimità” che viene meno nel caso del
Mezzogiorno, in ragione della sua collocazione geografica.

Guardando a rifiuti urbani e speciali nel complesso, la bilancia commerciale del Sud Italia si chiude in passivo di circa 460mila tonnellate di rifiuti, con un’esportazione complessiva di 603mila tonnellate destinate oltre confine e quindi esentate dal principio di prossimità che dovrebbe guidare i Paesi membri nella gestione dei rifiuti prodotti. Di queste, 341mila tonnellate sono rifiuti speciali non pericolosi, 92mila rifiuti speciali pericolosi e 170mila rifiuti urbani.

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