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UN ECONOMISTA/UN’IDEA – William Lazonik: il “benessere sostenibile” non abita nella New Economy

UN ECONOMISTA/UN’IDEA – Secondo Lazonik, economista del MIT e vincitore del premio Schumpeter, il “benessere sostenibile” è rappresentatao da una crescita che garantisce occupazione stabile ed equa distribuzione del reddito – Ma tutto ciò è incompatibile con il paradigma della New Economy fondata sullo share-holder value

In “Sustainable Prosperity in the New Economy? Business Organization and High-Tech Employment in the United States”, il libro che ha vinto il prestigioso premio Schumpeter nel 2010, l’economia del “benessere sostenibile” è definita come la condizione in cui la crescita garantisce un livello di occupazione stabile ed una distribuzione del reddito equa. Ma quale Paese al mondo riesce a soddisfarla? Certamente non gli Stati Uniti, spiega l’autore (William Lazonik, professore del MIT), anche se gli USA sono paradossalmente egemoni in materia di innovazione e di ricerca,; in grado di creare beni e servizi di qualità superiore e a prezzi inferiori rispetto alle epoche del passato. La ragione risiede nel fatto che la New Economy, fondata sulle tecnologie dell’informazione, diversamente dalla Old Economy che l’ha preceduta, non è in grado di coniugare il progresso tecnologico con il benessere diffuso.

La distinzione non riguarda la tipologia del prodotto, bensì il business model. Il modello organizzativo della Old Economy poggiava saldamente sulla figura sociale del maschio bianco, protestante, laureato, impiegato con un buon stipendio da una impresa solida, in grado di arrivare ai vertici della gerarchia aziendale dopo 30-40 anni di lavoro;, protetto da un buona assicurazione medica e garantito da una pensione sicura e soddifacente. La New Economy ha messo fine a tutto questo, non perchè siano sparite le organizzazioni complesse e di lunga durata: Intel, Microsoft e Cisco – per prendere i casi più significativi- devono sempre integrare l’attività di decine di migliaia di individui nel quadro di una divisione del lavoro funzionale che sia in grado di sfruttare al massimo le nuove tecnologie e quindi richiedono un’organizzazione fondata su una struttura gerarchica.

La ragione della differenza tra i due modelli si trova nella mancanza di impegno, esplicito o implicito, da parte di queste multinazionali di offrire stabilità di occupazione, continuità nella formazione di competenze e progressione di carriera. Non c’è più, da parte di chi è assunto, l’aspettativa di salire in cima alla scala gerarchica dentro quell’impresa, perchè il nuovo modello aziendale si basa sulla capacità di competere nell’accaparrarsi il migliore capitale umano che si rende globalmente via via disponibile. Con l’occupazione diventata meno stabile e la protezione previdenziale meno sicura, l’investimento in attività finanziarie direttamente, o indirettamente attraverso i fondi-pensione e le polizze assicurative, da parte di chi lavora nell’impresa della New Economy è diventato una stringente necessità, che in questo tipo di economia si accompagna alla tendenza di concedere l’aumento delle remunerazioni dei top managers sotto forma di stock options. È chiaro allora che in questo mondo l’aumento del valore delle azioni è l’obiettivo primario da conseguire, oltre a quello di avere abbondanza di giovani ingegneri, matematici, scienziati e tecnici disposti a lavorare di più  e per meno stipendio.

Ed è chiaro anche che l’instabilità dei valori delle attività finanziarie trascina con sè insicurezza, incertezza e distorsioni nella distribuzione del reddito. Il “benessere sostenibile”, cioè una crescita stabile ed equa sia per chi lavora all’interno delle industrie high-tech che per coloro che si trovano negli altri settori, può realizzarsi, secondo questa impostazione, solo abbandonando quell’ ideologia fondata sul share-holder value che ha dimostrato di essere distruttiva del tessuto sociale e di non garantire nel tempo il benessere di un Paese.

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