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Uber, svolta Covid: più rider che autisti

I lockdown e lo smart working hanno penalizzato il traffico auto, e così nel secondo trimestre Uber ha registrato una perdita di 1,8 miliardi, attenuata però dal boom della consegna di cibo a domicilio, il cui fatturato è raddoppiato.

Uber, svolta Covid: più rider che autisti

Cambiano i paradigmi, ma non per questo tutto è perduto. Anzi, può capitare che la caduta di un business venga compensata dall’ascesa di un altro. Soprattutto se entrambe le attività fanno capo alla stessa azienda. Ne è un esempio vivente Uber, il colosso della sharing economy fondato nel 2009 e quotata in Borsa nel 2019 con una delle più grandi Ipo di sempre. La creatura di Travis Kalanick, come è noto, nasce come app di ride sharing, cioè una piattaforma che mette in contatto conducenti di auto private che in cambio di soldi offrono un “passaggio” agli utenti dell’applicazione. Un business destinato ad entrare in crisi con i vai lockdown sparsi per il pianeta, che hanno ridotto il traffico auto e imposto il lavoro da casa.

Fortunatamente, però, chi è in quarantena continua a mangiare. E anzi, non fidandosi di (o non potendo) andare al ristorante, magari ordina più facilmente il cibo a casa: lo abbiamo sperimentato noi italiani la scorsa primavera, lo stanno sperimentando ancora diversi Paesi nel mondo. Ecco dunque che Uber Eats, la app lanciata da Uber nel 2014 per la consegna di pasti a domicilio, diventa il core business del 2020. Quest’anno infatti, ha fatto sapere la società californiana, il numero di rider ha per la prima volta superato quello degli autisti. E questo passaggio di consegne ha di fatto permesso alla casa madre di limitare i danni da coronavirus: nel secondo trimestre il fatturato è calato del 29% a 2,2 miliardi e Uber ha chiuso in rosso per 1,8 miliardi.

Ma avrebbe potuto andare peggio, visto che in primavera i clienti attivi si sono quasi dimezzati a 55 milioni (-44%) e i pagamenti sull’app sono diminuiti del 35% rispetto all’anno precedente, a 10,2 miliardi di dollari. Il ride sharing è stato stroncato del 67%, col fatturato sceso sotto gli 800 milioni; ma il capitombolo è stato almeno in buona parte compensato dal raddoppio del business della consegna di cibo a domicilio, con Uber Eats che ha raggiunto un giro d’affari di 1,2 miliardi. Tuttavia, dal punto di vista della redditività, il confronto continua a non reggere: pur andando a gonfie vele, Eats ha registrato un Ebitda in calo di 232 milioni, mentre nonostante tutto il margine operativo dell’app principale è riuscito a crescere, seppur solo di 50 milioni di dollari.

Ecco perché la strategia di Uber, superata l’emergenza, non cambierà e continuerà a puntare sul ride sharing. Se da un lato per rinforzare Eats la società ha acquistato Postmates, il quarto operatore Usa nella consegna a domicilio, è però anche vero che la stessa Uber ha già tagliato 6.000 dipendenti di Eats (il 25% del totale) e ha iniziato a strizzare l’occhio ad alcuni operatori del trasporto pubblico, per creare sinergie in quell’ambito. Ad esempio, Uber ha da poco chiuso un accordo con SNCF, l’azienda ferroviaria francese, per un servizio di trasporto intermodale. E pochi giorni fa ha anche annunciato l’acquisto della britannica Autocab, la cui tecnologia avanzata sui sistemi di prenotazione e sulla gestione della flotta Gps è quella già usata dai taxi.

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