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Tutti i problemi per l’Italia dell’euro forte: dall’export alle tensioni sugli spread del debito

Il rafforzamento dell’euro non fa bene all’economia: colpisce l’export e i consumi interni del turismo – Attenzione alle filiere penalizzate dalla svalutazione degli emergenti – La tensione degli equilibri precari potrebbe scaricarsi sugli spread.

Tutti i problemi per l’Italia dell’euro forte: dall’export alle tensioni sugli spread del debito

Qualche tempo fa alcuni economisti avevano individuato a 1,37-1,4 dollari la ”soglia del dolore” per l’Eurozona: superato questo livello, ora siamo a un cambio di 1,3562, la forza dell’euro inizia a danneggiare la competitività degli esportatori. L’effettiva soglia dipende ovviamente dalla crescita del Pil (anche se un cambio a 1,37 può essere doloroso anche con una crescita del 4%) e il super euro non colpisce tutti i Paesi allo stesso modo. Se la Germania può resistere di più, per l’Italia il cambio non dovrebbe allontanarsi da quota 1,15-1,20. Quali sono i problemi di un euro forte per il nostro Paese? Molteplici, dalla benzina più cara alle difficoltà per l’export.

1) Alberghi, ristoranti e shopping negli Usa (o in altri paesi con una valuta più debole dell’euro) risultano più convenienti e attirano turisti. Se chi viaggia si sfrega le mani, un po’ meno l’economia nazionale che vede volare via una quota dei propri consumi interni che vanno ad alimentare l’economia d’oltreoceano. Inoltre, la svalutazione del biglietto verde sull’euro può spingere in alto il prezzo del petrolio che è quotato in dollari, con ripercussioni sul prezzo della benzina, un ulteriore fardello per i consumi interni.

2) gli effetti più evidenti si hanno però sull’export: con un’euro forte le merci esportate fuori dall’Europa risultano più care. Dal momento che i Paesi europei hanno una posizione competitiva diversa, i Paesi più penalizzati sono anche quelli più in difficoltà, tra cui l’Italia. In altre parole, il cambio può creare qualche difficoltà proprio a quei Paesi che più hanno bisogno della domanda estera. Così mentre per alcuni Paesi l’apprezzamento dell’euro è una variabile relativamente importante, per altri è un fattore che può incidere frenando le esportazioni, in un momento in cui i consumi interni languono e si fa sempre più affidamento al traino dell’export per far ripartire la crescita.  In ogni caso, per quanto possa esserci una ripresa dell’export, è illusorio pensare che possa essere così marcata da sostenere da sola il ciclo economico.

3) Bisogna inoltre rilevare che l’apprezzamento dell’euro non è simmetrico, cioè uniforme nei confronti di tutte le valute. A seconda del Paese che svaluta (India, Giappone, etc) viene colpita o meno una filiera produttiva. Per esempio la svalutazione del Giappone, legato all’industria dell’auto, colpisce maggiormente l’economia tedesca. Per l’Italia in particolare il pericolo è che qualche Paese emergente svalutando vada a colpire alcuni settori più di altri.

4) Infine il rischio è che le tensioni di una fase di equilibri precari si scarichino sugli spread dei titoli di Stato.  La svalutazione delle valute emergenti (e il relativo apprezzamento dell’euro) deriva dal cambio di politica monetaria da parte della Fed. Con l’annuncio del futuro tapering, gli investitori hanno rivisto l’esposizione al rischio e sono usciti dai Paesi emergenti (che hanno svalutato, i movimenti di capitali hanno la gran parte della responsabilità sul tasso di cambio). Per ora l’Italia non ha risentito della fuga di capitali  (che avrebbe fatto aumentare gli spread sui Btp) perché al momento gode ancora della protezione della Bce, altrimenti la tempesta avrebbe investito tutti i Paesi a rendimenti elevati, compresa l’Italia. Che se fosse stata fuori dall’euro avrebbe anch’essa svalutato. 

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