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Transizione ecologica sì, ma chi paga il costo?

Dal Recovery Plan 57 miliardi di euro al grande piano di riconversione energetica del Paese, ma la strada sarà lunga. Prepariamoci ad un mix di fonti fossili e rinnovabili. Intervista ad Ennio Macchi, Professore emerito di “Sistemi per l’Energia e l’Ambiente” al Politecnico di Milano

Transizione ecologica sì, ma chi paga il costo?

Sull’entusiasmo non si discute. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza segnerà il cambio di passo nel modo di produrre e consumare degli italiani. Ma da quando è nato il governo Draghi abbiamo perso il conto di  sollecitazioni, analisi, scenari per dare più spazio a questa o quella fonte energetica pulita. Per  salvaguardare ambiente e consumi, certo, tralasciando spesso, però, elementi oggettivi che ci riportano alla realtà. Il Ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani ha le idee chiare su come affrontare il futuro. È il caso di ricordare che l’Italia si regge ancora largamente su petrolio e gas. Vettori energetici di cui non ci libereremo facilmente. Il 70% della produzione termoelettrica, per esempio, proviene dal gas ed ha una percentuale di utilizzo quasi doppia rispetto a quella mondiale. E sul settore elettrico (auto, edifici) si concentrano le maggiori speranze si abbattere le emissioni, ha scritto il Professor Ennio Macchi, docente emerito di “Sistemi per l’Energia e l’Ambiente” al Politecnico di Milano. Lo abbiamo intervistato.

Professor Macchi, le risorse del PNRR possono davvero cambiare la prospettiva energetica italiana nel medio periodo?

“Premesso che non conosco ancora bene i dettagli del Piano  all’esame del Parlamento, certamente esso metterà in atto una serie di iniziative importanti, volte a favorire la penetrazione dei tre vettori energetici “puliti”, energia elettrica, idrogeno e biocarburanti. Perché questo porti a un risultato veramente positivo, sarebbe fondamentale un forte cambio di marcia nello sviluppo delle energie rinnovabili, sviluppo che nello scorso quinquennio si è quasi arrestato. La speranza è che questo non vada a penalizzare il costo dell’energia a imprese e famiglie, fondamentale per la competitività del nostro Paese. In proposito, nutro qualche dubbio che le scelte indicate (sistemi fotovoltaici galleggianti e i parchi eolici off-shore) siano una scelta vincente. Vuoi perché sembrano soluzioni costose, vuoi perché basate su tecnologie temo poco presenti nell’industria nazionale”.

Quello delle tecnologie ,peraltro, è un tema molto aperto nel nostro Paese.

“Sono lieto che si prevedano iniziative nella cattura e sequestro dell’anidride carbonica, tecnologia fondamentale per conciliare l’uso delle risorse fossili con l’abbattimento delle emissioni di gas climalteranti. In particolare, produrre idrogeno “blu” è certamente più economico che produrre idrogeno “verde” . La  disponibilità di idrogeno a costi contenuti è fondamentale per creare una domanda di questo vettore energetico, sia nei trasporti sia nell’industria. L’abbandono a breve termine del carbone e i recenti sviluppi tecnologici nei grandi cicli combinati a gas naturale assicureranno una riduzione significativa delle emissioni del parco di generazione italiano. Si continuerà nel cammino virtuoso ,da tempo intrapreso, che ha portato le emissioni specifiche del parco di generazione italiano a valori molto inferiori rispetto alla media europea e mondiale, nonostante la rinuncia al nucleare”.

Però, l’Europa ha inserito tra i progetti di interesse comune (Pic) nuovi gasdotti e terminali di gas liquefatto. Sono in ballo circa 30 miliardi di euro. Come si conciliano, secondo  Lei, questi investimenti con il Next Generation EU?

“Questa scelta, secondo me, ben si inquadra con la necessità di diversificare gli approvvigionamenti energetici e di supportare la transizione energetica: permetterà la riduzione dell’uso del carbone e la decarbonizzazione dei trasporti pesanti su strada e per mare. La decarbonizzazione vede come via maestra proprio l’uso del gas naturale liquefatto come vettore, in motori avanzati ad alto rapporto di compressione”.

Cioè ?

“In prospettiva, non immagino un mondo “tutto elettrico”, ma trovo più razionale l’utilizzo del binomio elettricità e gas”.

In prospettiva, ma in tempi più ravvicinati ?

“Nel breve medio termine si può pensare a miscele di gas naturale con percentuali via via crescenti di biometano e di idrogeno (verde e blu), transitanti nei gasdotti esistenti. Inoltre, va ricordato che, al crescere della percentuale di fonti rinnovabili non programmabili immessa in rete, fondamentale sarà il ruolo delle moderne turbine a gas (capaci di rampe di carico impensabili fino pochi anni fa) per garantire l’affidabilità della rete”.

Per fare tutto ci vogliono tanti soldi. Chi deve investire di più: le aziende, distinguendo tra quelle controllate dallo Stato, o lo Stato direttamente?

“Io credo che sia fondamentale il contributo delle aziende per il successo della transizione ecologica. L’esperienza dimostra che le aziende collaborano con maggiore successo con le Università (il mio Politecnico ha un record invidiabile in tal senso) rispetto ai grandi centri di ricerca statali (ENEA, CNR, IIT)”.

Lo Stato invece…

“Compito fondamentale dello Stato è creare un quadro normativo, autorizzativo e tariffario che incentivi le aziende a investire in ricerche mirate alla transizione ecologica. Un ruolo fondamentale potranno averlo anche le tante start-up innovative che stanno nascendo: i nostri dottorati di ricerca preparano giovani ricercatori entusiasti, capaci di portare idee innovative al successo”.

Sulle fonti tradizionali ci sono sempre le polemiche del mondo ambientalista. Quanto sono superabili le contestazioni sull’uso del gas nel mix della transizione verde?

“Io spero che queste contestazioni, basate su convinzioni ideologiche spesso in buona fede ma lontane dalla realtà, siano superabili con un’opera di convincimento basata su dati di fatto. In molti settori, non ha senso puntare sul  solo vettore energetico elettricità. Ad oggi, il contributo dato dal gas naturale alla decarbonizzazione è stato più importante di quello, pur prezioso, fornito dalle fonti rinnovabili”.

Vale anche per l’Italia?

“L’Italia è un esempio virtuoso in questo senso. Per molti anni il gas naturale, la risorsa fossile più pulita, continuerà a svolgere un ruolo fondamentale”.

One thought on “Transizione ecologica sì, ma chi paga il costo?

  1. Il nucleare tradizionale la farà da padrone per tre o quattro anni, prima di esaurire completamente la sua reperibilità a livello minerario. Nel frattempo la gente penserà che la corrente gli arriva dalle pale eoliche e si sentirà contenta. Compreranno le hybrid e le auto elettriche, ma se ne disfaranno in breve tempo perché si renderanno conto che sono inservibili e che non hanno nessuna funzione. Nel frattempo Elon Musk avrà guadagnato triliardi di dollari con la borsa e non certo vendendo le sue inutili automobili. La psicosi del cambiamento climatico e la convinzione di poter intervenire su di esso si affievoliranno tra una ventina di anni, quando alle nuove generazioni sarà chiaro l’essersi trattato di una mania di puro marketing narrativo. Allora, ciò che alimenterà i motori civili sarà la cella a combustibile, mentre il diesel sintetico e il bio-diesel alimenteranno il settore industriale e quello dei trasporti. La fusione nucleare fredda, che già esiste, verrà utilizzata solo dal comparto militare, che ne frenerà l’applicazione al civile. I militari però venderanno l’energia ai civili. Questo non significa che sarà gratis. Non salveremo nulla, non cambierà nulla, avremo sempre il problema dei rifiuti, dello smaltimento di derivati chimici e soprattutto aumenteranno le disuguaglianze, poiché conterà molto la proprietà intellettuale attorno a queste nuove fonti energetiche. Se piace, è così. Se non piace, è così lo stesso. Con buona pace di Greta Thunberg e di tutti i pii salvatori della terra.

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