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Torino, la Appendino vuol vendere Iren, l’aeroporto e la Centrale del Latte

DA ENORDOVEST – -Talvolta anche i grillini privatizzano – La giunta M5S del Comune di Torino ha approvato una delibera relativa al “piano di revisione straordinaria delle partecipazioni comunali”, che prevede la vendita di quote e azioni di una raffica di società, comprese Iren e Centrale del Latte d’Italia, entrambe quotate in Borsa

Torino, la Appendino vuol vendere Iren, l’aeroporto e la Centrale del Latte

Spesso, è il bisogno che dà soluzione ai problemi. La considerazione viene naturale dopo la notizia che la giunta del Comune di Torino, targata Chiara Appendino, ha approvato, il 7 settembre, la delibera relativa al “piano di revisione straordinaria delle partecipazioni comunali”, piano che, in sostanza, prevede la vendita, fra l’altro in tempi brevi, di quote e azioni di una raffica di società, comprese Iren e Centrale del Latte d’Italia, entrambe quotate in Borsa, Sagat (gestisce l’aeroporto di Caselle), Banca Popolare Etica, le due Finpiemonte e i due incubatori universitari torinesi (il Comune ha 115 partecipazioni).

Entro la fine di questo mese, la delibera dovrà passare al Consiglio comunale chiamato a dare il via libera, necessario e opportuno. La necessità deriva non soltanto dal rispetto della Legge Madia ma anche dai problemi di bilancio, evidenziati pure dalla Corte dei Conti. Quanto all’opportunità, è innegabile che, normalmente, le società sono gestite meglio da soggetti privati che non da quelli pubblici, intesi, questi ultimi, come politici o politicizzati.

Gli interessi dei politici amministratori non è detto che coincidano con quelli delle società o degli enti sui quali hanno influenza, per esempio già con le nomine e poi con i suggerimenti sulle scelte gestionali. Per loro natura, i politici – non gli statisti, categoria che in Italia sembra scomparsa – hanno come principale obiettivo il consenso, che si ottiene, principalmente e più rapidamente, con il potere, esercitato con le risorse finanziarie (preferibilmente pubbliche) piuttosto che con le designazioni, gli affidamenti di incarichi e consulenze, pressioni, raccomandazioni, interventi non sempre appropriati.

Ridurre le partecipazioni pubbliche è un bene, per l’economia e per la comunità, per le ragioni indicate sopra e suffragate dai fatti. Il risultato è positivo comunque, anche se sarebbe meglio perseguirlo e ottenerlo per convinzione, non per necessità e magari immediata. Le vendite obbligate, per di più in tempi brevi, rendono meno. Il compratore può approfittare della situazione.

In ogni caso, l’iniziativa della sindaca Chiara Appendino pare apprezzabile e degna di diffusa imitazione, anche in funzione dell’indebitamento delle Amministrazioni locali (per quello statale è meglio stendere velo pietoso) e di quanto lei ha affermato dopo l’approvazione della delibera della sua Giunta. Ha sostenuto, infatti, che il provvedimento va inquadrato “in un’ottica di corretto utilizzo delle risorse pubbliche, del contenimento della spesa e del miglioramento delle performance aziendali e dei servizi offerti a cittadini e imprese”.

A proposito, ancora va ricordato che nelle società privatistiche gli amministratori devono perseguire, per legge, l’interesse esclusivo della società, quindi di tutti gli stakeholders e non di una sola parte, sia pure essa costituita dall’azionista di maggioranza, il quale non può prevaricare i gestori, pur se nominati da lui stesso.

Infine, in merito, teoria e pratica suggeriscono che i governi degli enti locali (per non parlare di quello nazionale) si dedichino ai compiti di indirizzo e di controllo, non a quelli gestionali. La separazione dei ruoli è un principio di democrazia, ma anche di efficacia economica.

Fote: enordovest

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