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Termini: “Con le rinnovabili l’Italia può tornare a crescere”

INTERVISTA A VALERIA TERMINI, economista ed ex commissario dell’Autorità per l’Energia, che spiega come l’energia pulita può cambiare l’economia e la società ma avverte: “L’industria ha le potenzialità ma serve un quadro certo di politica industriale e un coordinamento dei progetti in Europa” – “No interventi estemporanei come sulle trivelle” – Il ruolo del gas e il fattore Trump sulla geopolitica post petrolio

Termini: “Con le rinnovabili l’Italia può tornare a crescere”

La rivoluzione delle rinnovabili è pronta a partire. E può contribuire a rimettere in moto la crescita. L’industria italiana ha la creatività necessaria per spiccare il salto, le infrastrutture evolvono, la posizione geografica dell’Italia è vantaggiosa. Ma per un vero scatto in avanti, in linea con i nuovi impegnativi obiettivi al 2030, serve una chiara strategia di politica industriale nel lungo periodo e un coordinamento dei progetti industriali europei. Sono queste le luci e le ombre di una transizione energetica dall’enorme potenziale di cui ci parla Valeria Termini in questa intervista a FIRSTonline. Termini ha concluso da poco il suo settennato di commissario dell’Autorità per l’Energia (Arera) e  di vice presidente del Council of European Energy Regulators (Ceer) ed è tornata all’università Roma Tre dove insegna Economia politica. Ha appena pubblicato il libro “Il mondo rinnovabile” ed è tra i maggiori studiosi italiani in tema di energia. Come cambieranno l’economia, la politica, i rapporti geopolitici con la nuova rivoluzione energetica? Quanto durerà la transizione dalle fonti fossili? E l’auto elettrica è ormai alle porte? Glielo abbiamo chiesto, ecco cosa ci ha risposto.

Il 2019 si è aperto con una frenata dell’economia: l’Europa rallenta e l’Italia rischia una nuova recessione. Le fonti rinnovabili sono un volano in grado di fare ripartire la crescita?

“Si. La rivoluzione energetica è certamente un volano di crescita ma dobbiamo tenere presente innanzitutto che parliamo di un processo di lungo periodo e non di un’opzione congiunturale in grado di portare a cambiamenti rapidi del ciclo. Questo vale in generale ma vale ancor di più per l’Italia oggi. Le nuove fonti rinnovabili sono anche per noi una notevole opportunità ma è indispensabile una strategia chiara di politica industriale: devono essere identificati i punti di forza del Paese sui quali puntare e obiettivi di lungo periodo che consentano alle imprese di programmare gli investimenti necessari nelle reti, nella componentistica, nella ricerca tecnologica di frontiera per realizzare il cambiamento. Altrimenti il rischio è che il cambiamento si traduca solo in maggiori importazioni, che magari usufruiscono dei nostri incentivi, come è avvenuto per i pannelli solari cinesi e poi tedeschi negli anni scorsi”.

L’Italia ha fatto già grossi passi avanti verso l’energia pulita, lei ne parla nel suo libro. Ma ora ci sono i nuovi obiettivi europei al 2030. Nella narrazione politica sulle rinnovabili sembra tutto facile e a portata di mano, un mito da sfatare?

“Sole, vento, acqua sono risorse di cui l’Italia è naturalmente dotata. E questo è certamente un vantaggio. Ma il modello di produzione elettrica trainato dalle rinnovabili è un modello di generazione diffusa, distribuita sul territorio e ciò rappresenta un’inversione a 180 gradi rispetto al modello industriale che abbiamo sperimentato finora, caratterizzato da poche grandi centrali che raggiungevano case e imprese. Cambiare richiede investimenti e molto lavoro, ad esempio sulla digitalizzazione delle reti. Perciò è indispensabile una strategia di lungo periodo. Tutto il contrario di quanto si sta facendo: si procede con interventi estemporanei che fermano l’iniziativa industriale. Eppure la creatività non manca all’industria italiana”.

Vuole dire che le imprese sono più avanti della politica?

“Voglio dire che c’è una capacità diffusa dell’industria italiana di far crescere le rinnovabili e che la definizione di un quadro strategico di politica industriale per il settore farebbe da propulsore. Faccio alcuni esempi di quello che mi piace definire “componentistica di frontiera” di imprese sparse sul territorio. Il primo riguarda l’efficienza energetica. Abbiamo un’azienda di Pomezia, Convert che ha messo a punto un tracker di accaio per consentire ai pannelli fotovoltaici di muoversi e inseguire l’esposizione del sole, come i girasoli. E’ un brevetto italiano che sta crescendo a livello globale per essere utilizzato ad esempio nei deserti del Cile. Un’altra impresa in Puglia è un centro di eccellenza per l’IoT (internet of things) e per l’avanzamento della domotica. Ancora, Smre, umbra, che è stata in parte acquisita dal colosso americano Solar Energy per le sue tecnologie avanzate per la mobilità elettrica. Da ultimo, per citare un grande gruppo, Prysmian –la ex Pirelli cavi- ha vinto di recente un appalto per mettere in sicurezza le reti elettriche nella regione di Washington. E potrei continuare. A queste si aggiunge naturalmente l’impegno più noto delle grandi imprese energetiche attive in Africa con grandi e piccoli impianti locali di produzione elettrica da rinnovabili.”

Visto che ha fatto riferimento a interventi estemporanei, come valuta lo stop alle trivelle da poco deciso dal governo? Non rischia di trasformarsi in un boomerang e di aumentare la nostra già alta dipendenza dall’estero?

“Il caso recente del rinvio ai permessi di ricerca e prospezione di idrocarburi nell’Adriatico, inserito in fretta nel decreto Semplificazioni, fa parte della mancanza di quel quadro strategico a cui accennavo prima. E’ un atto di autolesionismo folle perché blocca tutto per 18 mesi senza però indicare cosa succederà dopo, quale sia l’indirizzo industriale che seguirà. Il petrolio oggi copre il 34% del consumo di energia degli Italiani (66 milioni Toe), più del  90% di importazione. Si vuole ridurre la dipendenza dell’Italia dall’estero estraendolo in casa o si vuole puntare su altre fonti ? Tra l’altro forse non è del tutto noto che Slovenia, Montenegro, Croazia e Albania si apprestano a vendere diritti di ricerca e di perforazione nell’Adriatico a imprese americane e cinesi: è facile immaginare quale sarà l’esito. E’ paradossale.

D’altra parte l’Italia, grazie alla sua posizione centrale nel Mediterraneo, potrebbe diventare un centro di smistamento del gas dai mercati e dalle nuove risorse del Mediterraneo e di esportazione verso l’Europa grazie ai suoi gasdotto e agli impianti di rigassificazione per il gas liquido che arriva dal mare, accreditandosi così come fornitore diversificato di gas nella Ue in un momento in cui il gas è il combustibile fondamentale per accompagnare la transizione verso le rinnovabili. Non possiamo rinunciare a uno straordinario asset politico-economico nei confronti dei nostri partner europei, proprio mentre la Germania avanza per conto suo con il raddoppio del gasdotto Nord Stream che la collega alla Russia”.

Per la transizione energetica lei ha ipotizzato un percorso di almeno 30 anni, ma non sarà uguale in tutte le aree del pianeta. La rivoluzione energetica è partita dall’Europa: manterrà questo primato?

“Certamente l’Europa è la regione che, più di altre, ha gettato il cuore oltre l’ostacolo in materia di rinnovabili. Il problema della transizione in Unione Europea è a mio avviso la sproporzione tra il sistema di regole che procede velocemente verso il coordinamento e la connessione dei sistemi energetici dei Paesi membri e la politica industriale che è lontana dall’essere unitaria”.

Per esempio?

“Per esempio, il raddoppio del Nord Stream che ho citato dalla Germania è in aperta contraddizione con l’obbiettivo europeo di ridurre la dipendenza dalla Russia. In concreto le differenze tra Paesi e la loro diversa dipendenza dall’estero – la Polonia ha molto carbone, la Francia il nucleare, l’Italia importa il 79% dei combustibili fossili che le sono necessari – sono più forti dei progetti comuni.  L’energia è la cartina di tornasole della capacità europea di procedere con una linea comune di fronte a colossi come Stati Uniti e Cina. E non penso affatto sia auspicabile centralizzare gli interventi, sia chiaro. Piena libertà alle imprese, ma un coordinamento e il lancio di progetti comuni, quello sì, è necessario”.

Parliamo di auto: la mobilità elettrica quando arriverà?

“Per il trasporto elettrico su strada tutti i tasselli tecnologici sono praticamente compiuti: le infrastrutture di ricarica sono in corso di costruzione, i nuovi materiali per le batterie – cobalto, litio, potassio – sono individuati. Il prezzo del cobalto è aumentato in Borsa del 340% dal 2016 al 2018: una dimostrazione dell’impennata della domanda. D’altro canto però proprio il cobalto, estratto in Congo e per la maggior parte utilizzato da imprese cinesi, pone un serio problema: l’impiego di bambini nelle miniere. Tanto che si sta discutendo di utilizzare la tecnologia Blockchain per tracciare e bloccare i produttori che utilizzano risorse dalle miniere incriminate. Detto questo, l’industria automobilistica è lanciata: Volkswagen ha dichiarato che investirà 23 miliardi di euro in batterie al potassio entro il 2020, Tesla ha aperto stabilimenti per veicoli elettrici e ibridi in Cina, Volvo ha fatto accordi con le utilities elettriche per attivare sinergie nei veicoli elettrici. Siamo sulla soglia di una rivoluzione e manca solo la scintilla perché decolli. E qui torniamo al punto di partenza: servono decisioni politiche e infrastrutture”.

Le fonti rinnovabili porteranno all’abbandono del petrolio che ha caratterizzato lo sviluppo del XX secolo e le tensioni nei Paesi produttori. Porteranno con sé anche una destabilizzazione degli equilibri geopolitici?

“Le rinnovabili cambieranno il mondo anche nella geopolitica. Il tassello principale di questo cambiamento, a mio avviso, e’ determinato oggi dalle strategie Usa. La prima novità è nella scoperta dello shale gas e dello shale oil nei primi anni 2000 che hanno reso gli Usa indipendenti sotto il profilo energetico e spinto il presidente Trump a investire sui combustibili fossili per incassare un dividendo politico interno.

Ma proprio all’interno degli Usa si è aperta la grande contraddizione. Mentre Trump e il governo federale puntano sui combustibili fossili e Trump disdetta l’accordo globale sul clima di COP 21, l’industria americana investe sulle rinnovabili e sulla decarbonizzazione, con i sindaci, gli stati e l’opinione pubblica sempre più sensibili all’ambiente. Sul piano internazionale, invece, Trump ha spaccato il fronte Opec con le sanzioni all’Iran e provocando l’uscita del Qatar dall’Opec, con il sostegno all’embargo di Arabia Saudita, Bahrein, Emirati, membri Opec, contro il Qatar per i suoi stretti rapporti con l’Iran.

L’America di Trump, diventata indipendente nei combustibili fossili, si muove poi in una prospettiva di uscita dall’area del Mediterraneo che ha perso interesse ai suoi occhi dal punto di vista petrolifero. Questi movimenti lasciano vuoti che Cina e Russia tendono a coprire, la Cina in ambito commerciale, la Russia militare, mentre l’Europa è del tutto assente. L’Italia al centro del Mediterraneo ha un forte interesse a legarsi all’Europa per favorire un’azione comune di cui ha più che mai bisogno”.

In conclusione di questa conversazione, un suo auspicio per il futuro, non solo energetico, di fronte ai grandi cambiamenti cui stiamo assistendo.

“I giovanissimi oggi incanalano nel tema ambientale la loro protesta sul disagio sociale e la disattenzione dei politici verso il futuro. Spero riescano, crescendo politicamente, a costruire un nuovo modello di sviluppo e di crescita che possa coniugare il rispetto per l’ambiente con la dignità della persona e con quei valori sociali di cui la comunità sente il bisogno”.

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