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Tennis: quando l’Italia vinse la Davis, una storia di sport e politica

Da oggi l’Italia gioca con il Cile per tornare nella serie A del tennis. Trentacinque anni fa a Santiago l’Italia conquistava l’insalatiera. Ma prima di vincere sul campo Pietrangeli (con la quasi complicità del deputato comunista Pirastu) dovette combattere una complicata battaglia politico-diplomatica. La svolta dopo un dibattito televisivo.

Tennis: quando l’Italia vinse la Davis, una storia di sport e politica

Questa volta a Santiago del Cile andiamo a giocarci la possibilità di tornare in serie A. Ma 35 anni or sono (dicembre 1976) andammo a vincere (per la prima ed unica volta) la Coppa Davis, il trofeo che premia la squadra migliore del tennis mondiale. Un match che rischiammo di perdere, ancora prima di scendere in campo. Anzi, evitando di scendere in campo. Già, perchè si trattava di dover andare a giocare nel Cile di Pinochet. E una gran parte dell’opinione pubblica italiana (Berlinguer e il Pci in testa) era preoccupata che con la nostra partecipazione a quella finale potessimo dare un avallo politico alla dittatura.

Ecco quindi perchè, prima di portare i suoi giocatori (Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli) a conquistare l’insalatiera più prestigiosa del mondo, il capitano non giocatore Nicola Pietrangeli doveva vincere una complicata battaglia diplomatica. In quei giorni dell’autunno 76, le prime pagine dei giornali erano in gran parte dedicate al dibattito su Cile sì, Cile no. Personalmente ricordo che persino all’esame per esercitare la professione giornalistica, al quale proprio in quei tempi dovetti sottopormi, fu dato un tema sull’argomento. Tema che naturalmente schivai, preoccupato di essere condizionato e travolto dalla passione tennistica.

Ho però altri ricordi personali su quella vicenda. Anzi credo di essere stato testimone casuale di una vera e propria svolta per la soluzione di quell’intricata vicenda. A quei tempi lavoravo alla “Voce repubblicana”, e una sera (ottobre?) mio padre mi chiese di accompagnarlo in via Teulada, dove, da uomo politico ed ex tennista, avrebbe partecipato ad un dibattito televisivo sull’opportunità o meno di andare a giocare a Santiago del Cile. Naturalmente papà, esponente del Pri, ma soprattutto appassionato ed ex seconda categoria di tennis, non metteva in dubbio che si dovesse cogliere l’occasione e che per contrastare il regime cileno bisognava mettercela davvero tutta per vincere. Mentre un nostro “forfait”, quello sì, avrebbe aiutato Pinochet e camerati.

Ma andiamo con ordine, per quanto possibile, visto che si tratta di ricordi abbastanza lontani nel tempo. Al dibattito televisivo partecipavano oltre a mio padre due ex capitani della nazionale di Davis, Vanni Canepele e Orlando Sirola e un deputato comunista sardo, Ignazio Pirastu, ex pugile che, da dirigente dell’Arci, nel Pci si occupava di problemi dello sport. E proprio quest’ultimo fu il personaggio chiave per capire la svolta. Pirastu era arrivato in studio accompagnato proprio da Pietrangeli (il capitano non partecipava al dibattito direttamente, ma era venuto a seguirlo come me da uno studio adiacente).

Capii da subito che tra Nicola e il dirigente comunista esisteva una frequentazione non recente e non inprovvisata, probabilmente dovuta ad amici comuni del mondo dello sport. Nel dibattito dopo che Canepele, Sirola (con molta efficacia spiegarono che se uno si iscrive ad una competizione sportiva deve essere disponibile ad affrontare tutti gli altri partecipanti) e mio padre si spesero per sostenere che quel match si doveva fare, toccò a Pirastu illustrare la ragioni del no. Da accorto e convinto dirigente-militante (allora usava così) spiegò prima di tutto le forti ragioni per le quali il Pci e Berlinguer non potevano che opporsi a che i nostri tennisti andassero a giocare in un Paese nel quale un regime dittatoriale torturava e ammazzava i suoi oppositori. Ma, al tempo stesso, fu altrettanto chiaro nel far capire che né il Pci né i suoi dirigenti avrebbero fatto le barricate. Insomma in Cile l’Italia, se ci fosse andata, ci sarebbe andata con l’opposizione del grande Pci.

Trassi così la convinzione che alla fine la Coppa Davis saremmo andati a giocarcela. Convinzione che si rafforzò, quando, dopo il dibattito televisivo, andammo (proprio con Pirastu e Pietrangeli) a cenare all’Augustea in piazza Augusto Imperatore. Lì il parlamentare comunista fu ancora più esplicito, da uomo di sport e da amico di Nicola, nel fare capire che l’importante a quel punto sarebbe stato vincere a Santiago. La serata finì con Pietrangeli che pregustava per il rientro in Italia una cena a base di pasta e fagioli servita nella Coppa Davis. Non so se ci fu.

Il resto è storia di sport. Barazzutti avrebbe subito battuto nel primo incontro il numero 1 cileno, un Fillol al limite dell’infortunio, come ci ha ricordato in questi giorni Gianni Clerici su “Repubblica”, con Panatta in maglietta rossa che non avrebbe dato spazio a Cornejo, poi una vittoria nel doppio e il punto della bandiera per il Cile messo a segno dalla riserva Prajoux contro Zugarelli. Sullo sfondo Pietrangeli che chiudeva i conti a suo favore con il suo vecchio amico e delizioso competitore di tanti match sulla terra rossa, il capitano non giocatore cileno Luis Ayala.

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