Condividi

Telecom Italia alla francese, Fiat all’americana

Fiat, una volta superato l’ostacolo del recesso, può imbarcarsi alla volta di Wall Street con la benedizione di Piazza Affari che saluta con un rialzo il prossimo esodo verso gli Usa – Dopo il rapido verdetto emesso dal board di Vivendi a favore di Telefonica, non si dovrà attendere molto per veder spuntare i manager del gruppo francese presso Telecom Italia

Telecom Italia alla francese, Fiat all’americana

Ma quanto traffico nei cieli del capitalismo italiano. Fiat, una volta superato l’ostacolo del recesso, può imbarcarsi alla volta di Wall Street con la benedizione di Piazza Affari che saluta con un franco rialzo il prossimo esodo verso gli Usa di uno dei titoli storici del mercato italiano. Autolesionismo? Assolutamente no. Come dimostra il precedente di Cnh, quotato sia in Usa che a Milano, la doppia quotazione non significa l’automatica emarginazione del listino italiano.

Intanto, sul fronte arrivi, gli autisti di Telecom Italia già aspettano l’arrivo dei voli da Parigi. La sensazione è che, dopo il rapido verdetto emesso dal board di Vivendi a favore di Telefonica, non si dovrà attendere molto per veder spuntare la squadra dei manager del gruppo francese in trasferta presso l’ex monopolista delle tlc di casa nostra. La Borsa italiana, anche in questo caso, approva (con qualche riserva).

L’autunno della finanza italiana comincia così, con una notizia attesa (e,tutto sommato scontata) ed una novità improvvisa, imposta dall’accelerazione delle strategie di Cesar Alierta. Due storie diverse, in cui non esiste un denominatore comune, salvo la constatazione che ormai, nella cornice di un’economia globale che richiede una concentrazione sempre più elevata di potenza fuoco finanziaria, strategica e manageriale, per un gruppo italiano è sempre più difficile la soluzione stand alone. E’ una verità che vale per le poche grandi imprese, pubbliche e private, che hanno retto alla grande crisi che attanaglia il tessuto industriale italiano ormai da un quarto di secolo. E’ un dato di fatto di cui occorrerà tener conto se si vorrà difendere il “quarto capitalismo” fatto di medie imprese : o si favorirà ò loro crescita, tramite fusioni o altri stimoli alle aggregazioni, oppure i vari campioni della meccanica, della moda o dell’alimentare piuttosto che della chimica e del pharma saranno destinati a finire nell’orbita di gruppi internazionali. L’estate del 2014 sarà ricordata al proposito per il ritorno di interesse dei gruppi scandinavi per la farmaceutica di casa nostra, vedi Rottapharm, piuttosto che per la crescita di interesse di indiani, cinesi e russi per le medie realtà nostrane.

Ma torniamo ad occuparci delle notizie di giornata. Fiat ha superato “le recenti stravaganze dei mercati azionari” per dirla con Sergio Marchionne. Ovvero quell’”andamento delle azioni Fiat negli ultimi giorni che ha aggiunto a questo processo un grado di complessità inatteso e, a mio modo di vedere, ingiustificato”. In realtà, come l’ad di Fca (che fatica rinunciare alla vecchia Fiat!) , le obiezioni di alcuni azionisti istituzionali, tipo Norges Bank, erano in buona parte legate all’adozione nel nuovo statuto di clausole a vantaggio dell’attuale maggioranza che moltiplica per due la sua capacità di voto (a scapito della contendibilità). Una clausola prevista in altri statuti illustri, tipo Ford, ma che in quei casi risale ad epoche passate, in cui la sensibilità per la governance era bel diversa. L’ostacolo, comunque, è stato superato: Fiat-Chrysler marcia alla volta di Wall Street dove conta di sbarcare già a metà ottobre (o poco dopo, vista la complessità del prospetto), con l’obiettivo di spuntare quotazioni più elevate, vista la diversa valutazione di Gm e Ford rispetto ai parametri in uso in Europa. Non andrà così, profetizza il Crédit Suisse che attribuisce al titolo un valore non superiore ai 6 euro, motivando la bocciatura con il livello elevato dei debiti, la scarsa visibilità dei nuovi investimenti, i rischi connessi alla esecuzione degli ambiziosi piani per l’Alfa e la Jeep.

Marchionne, finora non ha reagito. Né lo farà probabilmente domani, in occasione della giornata conclusiva del Meeting di Rimini, di cui sarà l’indiscusso protagonista. L’appuntamento in Romagna servirà semmai a ribadire, magari con nuovi annunci, l’italianità della nuova Fiat globale. Poi, da lunedì, prenderà velocità la sfida americana. Facile prevedere il varo di alcune operazioni finanziarie (cessioni delle azioni proprie, vendita di una quota di Cnh) forse già prima della quotazione che sarà seguita, se le condizioni di mercato lo consentiranno, da un convertendo che fornirà al gruppo le munizioni finanziarie per accelerare gli investimenti sul fronte di Alfa e Jeep senza procedere a quell’aumento di capitale che gli analisti suggeriscono ma di cui Marchionne non intende sentir parlare. Intanto, in vista dell’arrivo a Wall Street, Fiat ha lanciato un nuovo spot all’insegna dell’ecologia sul mercato Usa. E’ un cartoon in cui gli animali del bosco lodano la 500 ecofriendly. Alla fine, il procione, indicando una 500, assicura: “quella macchina ha molti amici tra gli Orsi”. Forse, alla vigilia dell’arrivo in Borsa, era meglio fare appello ad un Toro (seppur non granata, per carità).

Ben più incerta promette di essere la trama dell’ennesima avventura di Telecom Italia. La società guidata a Marco Patuano esce dalla sfida su Gvt con l’orgoglio e la consapevolezza di aver giocato una partita coraggiosa  e sensata, ma che alla fine si è tradotta in un vantaggio solo per Vivendi che ha spuntato un prezzo eccellente per la società brasiliana (che aveva tentato invano di vendere un anno fa) e, per giunta, ha oggi l’occasione di sostituire Telefonica come primo azionista di Telecom Italia. Con quali obiettivi? L’interesse di Vivendi, da cui arriva il messaggio che il ritorno nelle tlc “non è strategico”, è di trovare un canale di sbocco per i suoi contenuti media e spettacolo. La presenza in Telecom Italia garantisce un approccio convincente al mercato italiano, magari da completare con un accordo ad hoc con Mediaset Premium, in cui tra i soci figura Telefonica.

Difficile che Vincet Bolloré si spinga più in là. Certo, Vivendi potrebbe far confluire la sua quota in un sindacato con l’alleata Mediobanca e Generali più Intesa. Ovvero i partner italiani di Telco, un anno dopo l’accordo per cedere le proprie azioni a Telefonica, dovrebbe ro tornare sui propri passi. Oppure l’uscita di Telefonica, bloccata dai suoi conflitti di interesse, potrebbe rilanciare l’appeal di Telecom nei confronti d possibili compratori (Sawiris?) o di alleati italiani (la stessa Cdp).

Molto dipenderà dalle scelte sul Brasile. Da Telecom si fa sapere che i piani per Tim Brasil non cambiano: l’offerta di Oi viene respinta senza mezzi termini, poi si fa sapere che potrebbe essere Tim a comprare il quarto gestore carioca. Difficile però che Vivendi, nel caso diventi azionista, o Telefonica permettano a Telecom di imbarcarsi in un’impresa del egnere. Di sicuro la Borsa, che ha registrato con sollievo il no di Vivendi che ha impedito a Ti di indebitarsi per un altro paio di miliardi, sia pronta a seguire il management in una campagna di acquisizioni. Altrettanto difficile che il gruppo, data la situazione finanziaria, possa procedere ad un convincente piano di investimenti in Italia ed in Brasile sul fronte della banda larga ed ultra-larga. Per questo sono in molti a scommettere che, prima o poi, Telecom Italia uscirà dal Brasile (purché ad un prezzo che rifletta almeno le valutazioni di Gvt) per concentrare le risorse in un grande piano in Italia. Senza fare affidamento solo su padroni in arrivo da fuori. Ma questo richiama la responsabilità del Paese: la classe politica ma, prima ancora, gli ex salotti buoni che non hanno garantito, a differenza di quel che è successo in Spagna, il retroterra finanziario e strategico di cui ha bisogno un grande player ai tempi della connettività sempre ed ovunque.

Commenta