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Tamburi (Tip): “Con Draghi l’Italia ha svoltato ma imprese da rafforzare”

INTERVISTA A GIOVANNI TAMBURI. fondatore e Ceo di Tip – “Il rischio inflazione? Una fesseria”. Ottimista sul boom economico, il fondatore di Tip mette in guardia: “Le aziende sono sottocapitalizzate. E’ questo il vero problema”. Ed è pronto a sostenere un’agenzia ad hoc. Intanto prepara il decollo di Oviesse

Tamburi (Tip): “Con Draghi l’Italia ha svoltato ma imprese da rafforzare”

Se non ora quando? Giovanni Tamburi, demiurgo di Tip, architetto del salotto buono del made in Italy, non è tipo da sedere sugli allori. Anzi. E’ pronto a mettere la sua lunga esperienza di mercato al servizio di una possibile agenzia per accelerare tempi e modi del rafforzamento del capitale delle imprese italiane, il vero punto debole del capitalismo italiano, popolato di aziende troppo piccole e troppo fragili, data la dipendenza dal sistema bancario. “Perché no?”, dice. “A suo tempo ho fatto parte della commissione per le privatizzazioni del ministero del Bilancio e dell’advisory Board per le privatizzazioni di Milano. Non mi tiro indietro se c’è da fare”. Anche se il da fare non gli manca di sicuro, visto il pacchetto di partecipazioni custodite nel forzieri di questa finanziaria che siede su un miliardo abbondante di plusvalenze sui valori di Borsa, ma che non è certo un partner dormiente, semmai un motore in costante movimento, specie ai tempi della grande ripartenza.

Quando tutto sembra bello. O no?

“Il governatore Visco ha parlato di una crescita a fine anno del 5%. In via riservata, però, già si parla del 6%. Sembra di sognare visto che veniamo da un lungo periodo di incrementi a zero virgola”.

Tutto bello, forse troppo. La corsa dei prezzi può inceppare la macchina, dicono molti esperti…

“E lasciamoli dire fesserie. Sono anni che ripetono questo ritornello. Almeno dal 2015 quando mi mettevano in guardia contro la bolla. Ho la sensazione che dare spazio a queste Cassandre non sia un buon servizio per i risparmiatori”.

Il solito Tamburi ottimista ad oltranza.

“Finora non mi sono sbagliato sulle qualità delle nostre imprese. Oggi, poi, possiamo aggiungere diversi fattori macro nuovi e positivi: i capitali in arrivo dall’Europa, quasi 300 miliardi a disposizione per la crescita, una cifra che non abbiamo mai nemmeno immaginato.  Il calo costante del costo del debito pubblico che libera altre risorse. Infine, il fiscal Compact è finito in soffitta e ci resterà se faremo le cose giuste”.

E quali sono le cose giuste?

“Il vero anello debole è la sottocapitalizzazione delle imprese, che mette il nostro sistema in condizioni di inferiorità. Abbiamo aziende troppo piccole, condizionate da una visione di breve respiro, all’insegna dell’individualismo”.

Possiamo crescere e far crescere questo sistema?

Purtroppo per ora non vedo granché in materia. Ed è un vero peccato perché è il momento giusto per la svolta. Sono convinto che Mario Draghi, il grande artefice delle privatizzazioni, è in grado di mettere a punto, come probabilmente già sta pensando, un pacchetto di stimoli fiscali in grado di invogliare gli indecisi. C’è, poi, un alibi formidabile: il Covid -19. Ho dovuto fondere l’azienda o vendere perché costretto dal contagio”.

Insomma, a rendere difficile il processo di M&A è anche una sorta di blocco psicologico degli imprenditori che stentano ad uscire dal ruolo di padrone o padroncino.

 “E’ senz’altro così.  Ma, soprattutto, pesa una certa fiducia irragionevole, alimentata dal clima che si è creato con la pandemia. Alcuni sono portati a credere che le moratorie bancarie dureranno chissà quanto. E che, via Sace o chissà quale altro canale, continueranno a piovere aiuti pubblici. Ma i quattrini in arrivo dal cielo prima o poi cesseranno. Credo più prima che poi”.

Anche perché sta cambiando la mentalità. Fino a non molto tempo fa andava di moda l’Iri 2, ovvero l’intervento pubblico sotto la regìa di Cassa Depositi e Prestiti. Oggi…      

Questa idea, così come quella di un fondo sovrano è finita in soffitta. Per fortuna. 

Ma Draghi durerà?

“Non può non durare. Lui fa comodo a tutti, anche a quelli che fingono di dissentire. Non chiedetemi previsioni sul Quirinale, perché non è questo il mio mestiere. Ma sono convinto che, sostenuto dall’accordo con Bruxelles, Draghi porterà a compimento quel che ci serve: la riforma della giustizia, la revisione della burocrazia che soffoca le imprese, ed un pacchetto fiscale che favorisca le ricapitalizzazioni, vuoi con agevolazioni, incentivi sui dividendi ed altre operazioni che, con un costo modesto nel breve, possano aumentare in maniera considerevole le entrate fiscali nel tempo”. 

Sembra un libro dei sogni.

“Tutt’altro. Purché collaborino tutti, banche comprese. Non si tratta di imporre agli industriali di vendere la barca. Ma di convincerli a mettere la liquidità, i 1.800 miliardi in circolo, dentro le aziende. Le banche, da erogatrici di credito spesso condizionato a esigenze sociali, a registe di questa rivoluzione, in cui l’istituto finanzia solo il circolante, non l’equity. E’ una rivoluzione possibile, date le condizioni attuali dei mercati. Già nel 2022 molti nodi arriveranno al pettine”.

A costo di ripetermi. I sogni finiscono. E l’inflazione può inceppare il motore.

 “Ma guardiamo i numeri veri. Le nostre aziende aumentano gli ordini dl 20, 30, financo del 40%. E’ ripartito anche il mercato interno. Certo, aumentano le materie prime, ma questo è una garanzia di equilibrio, un fattore di stabilizzazione della crescita”.

Ma la Cina sta frenando, o no?

“E fanno bene, perché così evitano squilibri finanziari insostenibili. Pechino inoltre può ormai contare su un mercato interno in forte crescita. Siamo di fronte ad una globalizzazione di nuovo tipo. Il Covid ha insegnato alle aziende che è necessario essere presente nelle tre aree del mondo industrializzato. Guai a concentrare tutto in un solo Continente”.

Lo scontro è sempre più duro, ad ogni livello. E vincono i più forti. Prendiamo il caso di Stellantis. Grazie ai fondi pubblici messi a disposizione dal governo, il gruppo ha deciso di aprire la prima fabbrica elettrica nel Regno Unito anche se poi farà una gigafactory a Termoli.

Credo che il nazionalismo economico sia una fesseria. Sono convinto che ci sia sempre da imparare dagli altri a fare le cose meglio. Prendiamo il caso della grande distribuzione, un primato della Francia. Ebbene Conad ha rilevato Auchan Italia. Nulla è irreversibile”.

Vediamo la qualità della ripresa italiana. E’ omogenea o a macchia di leopardo?

“Alcuni settori soffrono ancora. E’ il caso del turismo, compreso quello legato al food e dell’hospitality. Per il resto la ripresa mi sembra avviata. Certo, in Occidente pesa l’uscita dallo smart working o la difficoltà a reperire personale specializzato. Di questo passo si riapriranno le porte dell’immigrazione. Per il resto vedo molto bene l’auto, la meccanica, l’energia, le tlc, Prysmian”.

A proposito di Prysmian non è pentito di aver venduto una parte della quota?

“Ho venduto una parte di titoli di Club Deal ma ho tenuto una quota in Tip. Ho ceduto le azioni dopo dieci anni con un ottimo margine. Ma è destino di chi gestisce i capitali dover vendere per assicurare la remunerazione dei soci. Detto ciò, Prysmian è un gioiello che ha varcato la soglia degli 8miliardi di capitalizzazione”.

Con ottime prospettive di crescita sul mercato Usa, per giunta…

“Mi consento una nota di merito personale. Il nostro ruolo in consiglio di amministrazione fu a suo tempo determinante per appoggiare l’acquisizione di General Cable, garantendo un salto dimensionale e di mercato mettendo a tacere gli analisti che temevano l’aumento dei rischi”.   

Tip non è un partner dormiente che si limita a staccare cedole, dunque.

“Non è la nostra funzione. In questi giorni stiamo lavorando al decollo di Oviesse, una società in cui credo molto, come dimostrano i tentativi di imitare la nostra piattaforma. Oggi Oviesse controlla un quinto circa del mercato bambini con prospettive di  sviluppo”. 

E il turismo?

“E’ a metà del guado. Abbiamo rafforzato la flotta aerea e messo in cantiere un cinque stelle a Venezia, con investimenti nell’ordine di 300 milioni. Siamo fiduciosi”.

Un settore su cui puntare.

“Mi piace molto la meccanica e l’elettromeccanica. L’Italia siede su una miniera di occasioni tra metà Piemonte, metà Veneto e tutta l’Emilia”.

La novità che le piace di più?

“Il decollo dell’Aim: più di 160 aziende che hanno dimostrato che c’è spazio in Borsa anche per i piccoli che ntendono crescere. Noi partecipiamo a Digital Magics e ad altri investimenti. Ma, confesso, le dimensioni di Tip oggi sono troppo importanti per disperderci su un mercato di pochi milioni di euro”.

E la novità che piace di meno?

“Non mi piacciono le Spac. Se un imprenditore guarda alla Borsa non ha nessun motivo per procedere attraverso questa formula indiretta. Anche a Wall Street, del resto, le performances delle Ipo battono le Spac. E poi…

Poi?

“Mi piacciono quelli che ci mettono la faccia”.   

Come del resto lui continua a fare da sempre.        

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