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Tabacci: “Referendum, che pasticcio: ecco perchè voterò NO”

INTERVISTA A BRUNO TABACCI, leader del Centro democratico – “Il numero dei parlamentari non è un tabù ma in passato le proposte di riduzione erano ancorate al superamento del bicameralismo paritario mentre ora c’è solo la demagogia di chi non riconosce la funzione di rappresentanza della sovranità popolare nel mandato parlamentare e vagheggia di democrazia diretta” – Gli effetti del referendum sul Governo, sui Cinque Stelle e sul Pd

Tabacci: “Referendum, che pasticcio: ecco perchè voterò NO”

Bruno Tabacci, leader del Centro democratico e politico di lungo corso, è uno dei 15 parlamentari che si è sempre opposto alla riduzione unilaterale del numero dei parlamentari e non ha cambiato idea: per questo voterà convintamente NO al referendum del 20 e 21 settembre. Il perchè lo spiega in questa intervista a FIRSTonline: “Siamo di fronte a una vicenda costituzionalmente ipocrita senza precedenti nella storia del nostro Paese”. Per Tabacci la riduzione del numero dei parlamentari non è un tabù ma a condizione che la si collochi all’interno di una riforma costituzionale che per prima cosa superi il bicameralismo paritario. Altrimenti il taglio dei parlamentari diventa solo demagogia, antipolitica, populismo puro. Ma ecco nel merito le riflessioni di Tabacci.

Onorevole Tabacci, lei è uno dei 15 parlamentari che si è sempre opposto – in 4 votazioni su 4, compresa l’ultima al taglio del numero dei parlamentari: quali sono le ragioni di fondo del suo reiterato NO?

Ho voluto oppormi a una vicenda costituzionalmente ipocrita che appare senza precedenti nella storia del nostro Paese. Ora siamo davanti a un referendum di cui addirittura ci si vergogna e perfino le tribune politiche per informare gli elettori vengono disertate da alcuni partiti del SI’. E pensare che l’ultimo voto in Parlamento sul taglio dei parlamentari è stato quasi plebiscitario e solo una quindicina di noi hanno avuto il coraggio di dissentire e, come ricordava la domanda, io ero tra questi. In realtà non c’è uno straccio di motivazione seria che giustifichi il taglio e non c’è alcuna riflessione sulle funzioni delle Camere, sulle modalità di selezione dei candidati, sul rapporto tra elettori ed eletti, sulle modifiche ai regolamenti parlamentari, sulla riduzione dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica. Sullo sfondo resta solo l’attacco al parlamentarismo e alla democrazia rappresentativa, dipingendo i parlamentari come una massa di fannulloni tanto per omaggiare il peggior populismo e giustificare così il taglio. Perfino il numero dei parlamentari che dovrebbero restare dopo il taglio è arbitrario: perché 400 alla Camera e 200 al Senato? Non c’è alcun senso dello Stato e alcuna logica costituzionale.

Il suo è un NO senza se e senza ma che confermerà nel referendum del 20 e 21 settembre oppure potrebbe ancora diventare un SÌ se maturassero precise novità politiche?

Non c’è più il tempo per cambiare e non ci sono le condizioni politiche perché si possa correggere la rotta e per questo andrò a votare al referendum costituzionale e voterò NO come ho sempre fatto in Parlamento.

Il taglio dei parlamentari è un errore in assoluto o potrebbe diventare sostenibile se accoppiato al superamento del bicameralismo paritario e a una buona legge elettorale?

Il numero dei parlamentari non è certo un tabù ma le cautele dell’allora Presidente della Costituente, Umberto Terracini, sono ancora attuali. In passato le proposte di riduzione dei parlamentari erano ancorate al superamento del bicameralismo paritario ma ora c’è solo la demagogia del taglio di chi non riconosce la funzione di rappresentanza della sovranità popolare nel mandato parlamentare e vagheggia di democrazia diretta con una strumentazione tipo piattaforma Rousseau tanto superficiale quanto ambigua.

Con quali conseguenze?

In questo clima di progressivo antiparlamentarismo ci si è piegati allo squilibrio dei poteri con il trasferimento di funzioni parlamentari, specie quella legislativa, al Governo. Intendiamoci: non di questo Governo in particolare ma di quasi tutti i Governo della cosiddetta seconda Repubblica. Ricordo ad esempio che Berlusconi si era spinto a proporre una modifica dei regolamenti parlamentari per attribuire il voto ai capigruppo per conto dei singoli parlamentari aderenti, come si vota nella assemblee delle società per azioni. Emerge in sostanza una desolante crisi dei partiti e la pretesa di continuare a nominare la rappresentanza parlamentare con leggi elettorali che hanno via via tolto il potere di scelta agli elettori con il risultato di premiare la fedeltà del candidato piuttosto che la sua qualità.

Che effetti avrà, sul piano politico generale, un’eventuale vittoria o anche soltanto una buona affermazione popolare del NO? Quali sarebbero gli effetti sul Governo, ma anche sui Cinque Stelle e sul Pd?

Questo Governo non c’entra e Conte ha fatto bene a tirarsi in disparte ma è stato un grave errore voler considerare la materia costituzionale nell’accordo di Governo. E ora che il Movimento Cinque Stelle non è in grado di garantire le riforme che dovevano accompagnare la riduzione dei parlamentari, si evidenziano le difficoltà del Pd rispetto ai suoi elettori. Come andrà a finire non lo so ma, quale che sia l’esito del referendum, è un grande pasticcio che mina ancor di più il prestigio della nostra democrazia parlamentare. Ecco perché non mi resta che votare NO, mantenendo ferma la posizione espressa in Parlamento.

Se il NO dovesse riportare una buona affermazione al referendum, è impensabile che non ci siano strascichi sul Governo e sui due principali alleati.

Per il Governo mi sembra difficile immaginare sconvolgimenti perché in Parlamento i numeri restano quelli che sono e i Cinque Stelle sono ancora il maggior gruppo parlamentare. Per i due principali partiti della coalizione il discorso è diverso. Per i Cinque Stelle un insuccesso al referendum approfondirebbe la loro crisi senza che abbiano reali alternative per uscirne: diventerebbero ancor più prigionieri di se stessi. Così come Zingaretti che ha spinto il Pd verso il SI’ con un’autentica capriola dopo tre voti contrari in Parlamento, disorientando così i suoi stessi elettori e mettendo in discussione il patrimonio costituzionale che un partito come il suo ha.

Anche questo referendum sembra assumere un valore politico che va oltre il merito del quesito referendario: la battaglia del fronte del NO è anche una picconata al populismo di cui i Cinque Stelle sono portatori e un altolà all’eccesso di tatticismo e di opportunismo che induce il Pd a preferire le convenienze immediate anziché le scelte politiche chiare e la fedeltà ai propri valori identitari?

Sì la battaglia per il NO ha certamente anche questi obiettivi più generali.

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