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“Sulle tracce dei ghiacciai”, il riscaldamento globale raccontato con le foto

La missione, condotta dal fotografo-alpinista Fabiano Ventura e finanziata in buona parte da Enel Green Power, andrà a fine aprile a verificare lo stato di salute di alcuni ghiacciai dell’Himalaya e andrà ad arricchire la documentazione fotografica che mostra gli effetti devastanti del riscaldamento globale in tutto il pianeta – L’intervista a Ventura: “Lo scopo è di sensibilizzare l’opinione pubblica”.

“Sulle tracce dei ghiacciai”, il riscaldamento globale raccontato con le foto

Raccontare gli effetti (devastanti) del riscaldamento globale attraverso le immagini. E’ questo l’obiettivo del progetto “Sulle tracce dei ghiacciai”, lanciato nel 2009 dal fotografo Fabiano Ventura e che dal 20 aprile andrà alla scoperta di quel che rimane dei ghiacciai di tre delle sei montagne più alte del mondo, sull’Himalaya. Il progetto fotografico-scientifico, che si avvale anche del contributo scienziati glaciologi, ha già svolto quattro missioni – K2 nel 2009, Caucaso nel 2011, Alaska nel 2013 e Patagonia nel 2016 – le cui fotografie, che confrontano lo stato dei ghiacciai rispetto all’archivio fotografico di precedenti missioni, sono disponibili sul sito www.sulletraccedeighiacciai.com e in varie mostre itineranti.

“A metà aprile, prima di partire per l’Himalaya, saremo in mostra a Roma, in occasione del National Geographic Festival delle Scienze che si terrà all’Auditorium Parco della Musica”, racconta a FIRSTonline Fabiano Ventura, 42enne di Roma che ha iniziato questo lavoro quasi 25 anni fa, seguendo una passione che aveva maturato fin dai tempi del liceo: quella per l’astronomia e per l’astrofotografia. “Da lì è poi arrivata la passione per la montagna, poiché proprio in altitudine mi dovevo recare per trovare cieli limpidi dove poter osservare e fotografare le stelle”. Dalle stelle ai ghiacciai il passo è breve: sarebbe meglio però parlare di ex ghiacciai, visto che molti dei confronti fotografici sono letteralmente impressionanti, con ghiacciai ritirati nel giro di pochi decenni di diversi km se non addirittura scomparsi, come nel caso di Upsala, in Patagonia (nella foto).

“Il progetto – spiega ancora Ventura, intervistato da FIRSTonline nel corso di un evento all’Envipark di Torino – effettua misurazioni glaciologiche e nuove riprese fotografiche che riproducono lo stesso punto geografico nel medesimo periodo dell’anno di quelle realizzate dai fotografi-esploratori di fine ‘800 e inizio ‘900. L’arretramento dei ghiacciai evidenziato dai confronti fotografici diviene così un case study, per prendere coscienza delle conseguenze dell’evoluzione climatica. Lo scopo del progetto è proprio quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche dei cambiamenti climatici”.

Partiamo dal futuro, ovvero dalla prossima spedizione. Dove andrete e quando?

“Partiremo il 20 aprile e faremo ritorno il 6 giugno. In questo mese e mezzo visiteremo i ghiacciai di tre delle sei montagne più alte del mondo: la prima è il Kangchenjunga, che con i suoi 8586 metri di altitudine è il terzo “ottomila” del pianeta, dove seguiremo le orme della spedizione del 1899 delll’alpinista inglese Douglas William Freshfield, di cui ho recuperato le foto alla Royal Geographical Society di Londra. Ho consultato, guardandole una per una, ben 15.000 foto di quella spedizione. Il Kangchenjunga è al confine tra India e Nepal, per cui voleremo su Kathmandu, dopodichè ci vorranno 8 giorni di trekking per giungere al campo base. Poi faremo ritorno a Kathmandu e in una seconda tranche della spedizione visiteremo, al confine tra Nepal e Cina, l’Everest e il Cho Oyu, che sono rispettivamente la prima e la sesta vetta più alta del mondo. Proprio sul ghiacciaio dell’Everest toccheremo il punto più alto della spedizione, a 6.500 metri”.

Chi farà parte di questa spedizione?

“Saremo fondamentalmente io e il filmaker Federico Santini, che è di Grosseto e ha la mia età. Poi ci raggiungerà un giornalista freelance, mentre sul posto ci sarà un team locale composto da una cinquantina di portatori e dalle guide alpine, prima nepalesi e poi tibetane. Abbiamo scelto di essere in pochi rispetto alle precedenti missioni, perchè questa è una spedizione particolarmente impegnativa. I portatori sono invece tanti perchè abbiamo parecchio da trasportare, non solo materiali ma anche cibo: dobbiamo essere autonomi per un mese e mezzo, non è poco”.

Prima di partire ha studiato quei ghiacciai attraverso 15.000 foto di archivio, ci ha detto. Quante conta invece di farne?

“Quindicimila sono quelle che ho consultato a Londra, scegliendone poi 600 da confrontare. Ma ho anche attinto all’archivio della Fondazione Sella, dove ci sono quelle scattate dal fotografo italiano Vittorio Sella, che pure ha visitato quei luoghi. Lì ne ho selezionate una trentina, di cui penso di replicarne circa cinque. Mentre delle altre, sarebbe già un successo replicarne 10-15. Non conta tanto la quantità di foto, quanto la qualità, la precisione e il significato, il messaggio da comunicare”.

Non avete un po’ paura ad affrontare una spedizione così impegnativa, a oltre 6.000 metri sopra il livello del mare?

“Paura c’è sempre, è un istinto umano. Già ai 5.000 metri c’è la metà dell’ossigeno che abbiamo sul livello del mare, si rischia la vita anche in condizioni meteorologiche normali, come quelle che ci aspettano perchè la stagione è sicuramente favorevole e farà sì che le temperature non dovrebbero scendere sotto i -15/-20 gradi, di notte. Il rischio più grande è quello del classico mal di montagna, che può provocare spossamento, vertigini, insonnia, ma anche edema cerebrale e polmonare”.

Per affrontare questi rischi occorrono una preparazione e un’alimentazione specifiche?

“L’alimentazione deve essere la più sana e regolare possibile, come quella che comunemente si consiglia a tutti. Nell’ultimo periodo però occorre assumere un’alimentazione più grassa, ricca di carboidrati. Non c’è comunque una dieta specifica. La preparazione fisica è invece fondamentale, soprattutto per fiato e gambe. Quasi ogni mattina mi sveglio alle 6.30 per andare a correre, a Roma, e per prepararmi ancora meglio vado sulle montagne qui intorno. Non conta l’altitudine ma il dislivello: bisogna correre in salita e in discesa in modo da fare, ad esempio, 2.000 metri di dislivello tra andata e ritorno in un singolo allenamento. Salire ad esempio da 1.000 a 2.000 metri sopra il livello del mare e poi scendere, sempre correndo”.

Come comunicherete da lì e come vi nutrirete?

“Grazie alla collaborazione con Intermatica saremo dotati di telefoni satellitari e di tutte le apparecchiature necessarie per restare in contatto col mondo. Avremo la possibilità sia di ricevere telefonate che di essere connessi ad Internet, e pubblicheremo costanti aggiornamenti sui nostri canali social, in particolare Facebook e Instagram. Avremo un gruppo elettrogeno e anche dei piccoli pannelli solari per alimentare tutto il materiale. Per quanto riguarda il cibo mangeremo quello che ci cucineranno i tre cuochi, nepalesi, che ci accompagnano nella missione”.

Cosa le mancherà di più della vita in città?

“Le mie due figlie, di 7 e 9 anni. Il resto mi mancherà poco, anzi ne faccio volentieri a meno: il periodo di tempo è limitato e ogni tanto fa bene staccare dal mondo, smetterla di vivere col cellulare in mano e passare del tempo in zone remote dove non c’è assolutamente nulla. E’ vero, saremo comunque connessi, anche perchè abbiamo degli impegni comunicativi, ma soltanto in brevi momenti della giornata”.

Lei ha già visitato diversi ghiacciai in tutto il mondo: dove è più evidente lo scioglimento?

“In Alaska e in Patagonia, dove però concorrono altri fattori oltre a quello del riscaldamento globale. Quei ghiacciai poggiano sul mare, dunque entrano in gioco fattori come la salinità dell’acqua, la composizione dei fondali, le correnti marine o lacustri”.

E in Italia, sulle Alpi, come siamo messi?

“Le Alpi saranno oggetto di una spedizione specifica nel 2020, che chiuderà il ciclo decennale del progetto “Sulle tracce dei ghiacciai”. Per quello che ho visto finora gli effetti sono già molto evidenti e lo saranno sempre di più. Penso all’Adamello Brenta, alla Marmolada, ma soprattutto alla Mer de Glace, il ghiacciaio situato sul lato nord del massiccio del Monte Bianco, al confine tra Italia e Francia”.

Quanto costa una spedizione lunga e impegnativa come quella che state per affrontare in Himalaya e come viene finanziata?

“Questa costerà complessivamente 150.000 euro tutto compreso, dagli spostamenti in aereo a tutta la logistica, al team di collaboratori locali. Per i materiali abbiamo molti sponsor tecnici, ai quali diamo visibilità, mentre il main sponsor da qualche anno è Enel Green Power, con la quale stiamo già studiando una missione “green” per l’ultima tappa sulle Alpi, tra due anni. Il partner per la comunicazione è invece National Geographic”.

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