Negli ultimi anni si è parlato molto di stipendi, taglio del cuneo fiscale, Irpef semplificata e sgravi per i lavoratori dipendenti. Il governo ha promesso più soldi in busta paga e, in effetti, molti italiani hanno visto un leggero aumento dello stipendio netto.
Ma c’è un effetto poco noto e spesso sottovalutato che può vanificare questi benefici: il cosiddetto fiscal drag, o drenaggio fiscale. In parole semplici: guadagni un po’ di più, ma finisci per pagare più tasse, anche se il tuo potere d’acquisto (quello che realmente puoi comprare) non aumenta affatto.
L’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha studiato questo fenomeno, fornendo anche cifre precise e spiegando chi ne beneficia e chi invece rischia di perderci.
LEGGI ANCHE Upb, crescita moderata per l’Italia, ma non senza rischi
Cos’è il taglio del cuneo fiscale
Il cuneo fiscale è la differenza tra quanto un’azienda spende per un lavoratore e quanto il lavoratore riceve effettivamente in busta paga. Questa differenza è fatta da tasse e contributi che pagano sia il datore di lavoro che il dipendente.
Per ridurre questa “distanza”, il governo ha introdotto un taglio dei contributi che funziona così:
- Per chi guadagna fino a 20mila euro l’anno, si traduce in un bonus diretto in busta paga.
- Per chi guadagna tra 20mila e 40mila euro, diventa una detrazione fiscale.
Questa misura è diventata permanente con la legge di bilancio 2025 e in teoria dovrebbe portare più soldi in tasca ai lavoratori e un sistema fiscale più semplice.
Stipendi, Irpef 2025: cosa cambia
Oltre al taglio del cuneo fiscale, la riforma ha semplificato anche l’Irpef, l’imposta sul reddito in Italia. Essendo progressiva, più aumentano gli stipendi, più cresce la percentuale di tasse da pagare. Con la nuova riforma, gli scaglioni sono passati da quattro a tre:
- 23% per i redditi fino a 28mila euro
- 35% da 28.001 a 50mila euro
- 43% oltre i 50mila euro
Questa struttura punta a ridurre la pressione fiscale sui redditi medio-bassi. Però il problema è che gli scaglioni non vengono aggiornati con l’inflazione, cioè non tengono conto del fatto che i prezzi aumentano nel tempo.
Cos’è il fiscal drag: stipendi più alti, ma paghi più Irpef
Il fiscal drag si verifica quando:
- I prezzi aumentano (inflazione),
- Il tuo stipendio aumenta in euro, ma solo per compensare l’aumento dei prezzi, quindi non hai più potere d’acquisto,
- Però, a causa degli scaglioni fissi, lo Stato ti tassa come se fossi diventato più ricco.
In pratica, paghi più tasse anche se non hai guadagnato davvero di più.
Negli ultimi anni, però, è successo spesso il contrario: l’inflazione è salita molto, mentre gli stipendi sono rimasti fermi o sono aumentati poco. In questo caso, il potere d’acquisto cala, ma il lavoratore resta nello stesso scaglione Irpef, pagando quindi le stesse tasse di prima nonostante la perdita economica.
Stipendi e fiscal drag: quanto costa davvero
Questo meccanismo non è nuovo e non è stato introdotto dal governo Meloni, ma come si legge nel rapporto dell’Upb, con le regole attuali è diventato più evidente e pesante. Per esempio, se l’inflazione fosse al 2%:
- Nel 2022, questo avrebbe significato 2,9 miliardi di euro in tasse in più per lo Stato.
- Con l’Irpef vigente dal 2025, lo stesso aumento di prezzi genererebbe invece 3,3 miliardi di euro in entrate fiscali extra.
Quindi: circa 370 milioni di euro di tasse aggiuntive solo perché gli stipendi sono leggermente saliti per colpa dell’inflazione.
Stipendi Irpef, fiscal drag: chi ci perde? Esempi
Il fiscal drag non colpisce tutti allo stesso modo. I più penalizzati sono i lavoratori dipendenti, che ricevono il taglio del cuneo fiscale. Invece, pensionati, autonomi e chi ha redditi da rendita quasi non ne risentono.
Tra i dipendenti, l’impatto varia:
- Operai: nel 2022, con un’inflazione al 2%, le tasse aumentavano mediamente del 3,2%, mentre nel 2025 la stessa inflazione fa salire le tasse di circa il 5,5%. In euro, si passa da 67 euro in più a 79 euro in più.
- Impiegati: l’aumento era dell’1,7% nel 2022 e arriva al 2,3% nel 2025. In euro, da 116 euro in più a 141 euro in più.
Questo significa che anche se lo stipendio cresce per compensare l’inflazione, il fiscal drag fa aumentare le tasse, lasciando meno soldi in tasca ai lavoratori.
Perché il fiscal drag rende meno efficaci gli aumenti in busta paga
Questo fenomeno rischia di ridurre l’efficacia delle misure pensate per aiutare i redditi bassi, come il taglio del cuneo fiscale e la riforma dell’Irpef. Quando gli stipendi crescono poco e ogni aumento comporta un salto nelle tasse, i lavoratori si ritrovano con meno soldi in tasca, anche se nominalmente guadagnano di più.
L’Upb avverte che, senza correttivi, l’inflazione combinata al fiscal drag può erodere nel tempo i benefici di queste misure, con possibili effetti negativi sui consumi, sulla domanda interna e sulla fiducia nel sistema fiscale.
Per ridurre l’impatto del drenaggio fiscale, molti esperti suggeriscono: aggiornare automaticamente gli scaglioni Irpef in base all’inflazione, così da evitare che piccoli aumenti di stipendio causino un salto nelle tasse; rivedere le detrazioni fiscali per renderle più stabili di fronte all’aumento dei prezzi; adottare politiche fiscali più mirate a proteggere chi è più vulnerabile, come giovani, donne e lavoratori precari.