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Standard & Poor’s declassa l’Italia ma i mercati la contraddicono

Proprio nel giorno in cui il tasso sui Btp a 10 anni scende sotto il 2% e lo spread Btp-Bund cala a 120 punti base, Standard & Poor’s abbassa il rating dell’Italia alla soglia della classe “spazzatura” – Ma i mercati, ricordando gli infortuni su Lehman, Enron e Parmalat, voltano le spalle alle agenzie di rating su cui fa luce un nuovo libro de “Il Mulino”

Standard & Poor’s declassa l’Italia ma i mercati la contraddicono

Proprio nel giorno in cui il tasso d’interesse sui BTP a dieci anni cala sotto al 2% e lo spread con gli omologhi titoli tedeschi scende a 120 punti base, Standard & Poor’s abbassa il rating dell’Italia alla soglia della classe “spazzatura”. Infatti, lo ha ridotto di un gradino, da BBB a BBB- e un’eventuale discesa di un ulteriore gradino porterebbe il rating italiano a BB+, il grado più elevato all’interno dell’area c.d. “non investment” (o spazzatura), un’area meno volentieri frequentata dagli investitori.

A prima vista si tratta di una brutta notizia per il Bel Paese, che attraversa una fase di depressione economica e per uscirne avrebbe invece un gran bisogno di ottimismo. Però, dopo i molti e grossolani errori di cui le principali agenzie di rating si sono rese protagoniste dalla crisi asiatica, ai casi Enron e Parmalat, alla finanza strutturata e a Lehman Brothers, agli eccessivi downgrading nelle crisi sovrane europee (cfr. G. Ferri e P. Lacitignola, “Le agenzie di rating”, Bologna, Il Mulino, 2014) è legittimo dubitare della correttezza dei loro giudizi.

E allora forse la cosa migliore da fare è vedere se i mercati credono effettivamente ancora a quei giudizi.Mettendo assieme i rating assegnati da S&P e i tassi di interesse sui titoli a dieci anni per quindici paesi sviluppati o emergenti, risulta che, in effetti, vi è una correlazione negativa tra livello del rating e tasso di interesse che i mercati pretendono dai vari paesi.

Ma, al tempo stesso, la misura della bontà di tale relazione ci dice che il grado di approssimazione è molto parziale: da solo, il livello del rating spiega solo il 39% delle differenze tra i tassi che i vari paesi pagano sui titoli a dieci anni. Perciò il restante 61% è spiegato da altri fattori che i mercati giudicano più importanti del rating stesso.

Proviamo allora a calcolare la differenza tra il tasso di interesse che ciascun paese paga effettivamente e il tasso che dovrebbe invece pagare esclusivamente in base al rating che riceve da S&P. Ebbene, assieme al Giappone, Italia, Spagna e Portogallo sono i paesi per i quali i tassi di interesse richiesti dai mercati risultano più bassi rispetto a quanto questi paesi dovrebbero pagare in base al rating loro assegnato. Il nostro paese paga attualmente 150 punti base di meno di quanto dovrebbe pagare.Non sarà che hanno ragione i mercati?

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