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Scuola, vorreste davvero un insegnante amico? Riflessioni controcorrente sul video di Vecchioni

Il video di Vecchioni commissionato dal Ministero dell’Istruzione riesce a trasmettere fiducia, ma augurarsi che insegnanti e presidi indossino la giacchetta dell’amico per accattivarsi le simpatie degli studenti non è il modo di affrontare seriamente i problemi della scuola e dell’educazione

Scuola, vorreste davvero un insegnante amico? Riflessioni controcorrente sul video di Vecchioni

Basterà un video accattivante, con la voce suadente di Roberto Vecchioni, a rifare il maquillage della scuola e renderla attraente agli occhi del mondo degli studenti, diversi non solo per età e per stili di apprendimento, ma anche per condizione sociale, per motivazione, per comportamenti a rischio, per aspettative ed ambizioni? Ma soprattutto, basterà a sollecitare da parte loro un senso civico, un senso di appartenenza alla cosa pubblica, di rispetto per il bene comune che contribuiscano alla rinascita di credibilità della scuola? Non sembra crederci troppo neppure la sempre brillante Isabella Bossi Fedrigotti, che pure dalle colonne del “Corriere della sera” invita tutti gli operatori della scuola a non ignorare la bella immagine di Vecchioni insegnante-amico e a farne tesoro per la loro attività educativa.

Ma veramente quel che serve alla scuola è un insegnante amico?

E’ innegabile che il video di Vecchioni, commissionato dal Ministero dell’Istruzione, riesca a trasmettere messaggi di fiducia e di ottimismo e forse il Ministero non ha sbagliato a curare anche questo risvolto della comunicazione, ma la scuola ha bisogno di ben altro. Augurarsi che insegnanti e presidi indossino la giacchetta dell’amico per accattivarsi le simpatie di studenti talvolta borderline, talvolta arroganti e presuntuosi, spesso fragili e insicuri, non è certo il modo di affrontare seriamente i problemi della scuola.

Merito, regole, prestigio degli insegnanti, competenze professionali hanno poco a che fare con l’amicizia. I ragazzi trovano amici in abbondanza tra i loro pari. Ma da chi vanno quando hanno bisogno di essere educati? L’insegnante non può essere semplicemente un amico, uno di quelli con cui si confidano sul muretto. L’insegnante deve essere educatore autorevole, giudice severo quando serve ma umano, capace di ascoltare e di cogliere i segni del disagio. Se fa l’amico, genera confusione e disorientamento nei rapporti, propone un modello di relazioni fuorviante, non prepara i giovani alle impegnative realtà che li attendono nel mondo del lavoro. Insomma, viene meno ai suoi compiti. Che sono gravosi e richiedono grande professionalità e competenze piuttosto che facile buonismo.

Compiti tanto più gravosi quando ci si trova nelle scuole di frontiera, quelle dove è alta la dispersione, dove lo Stato cerca di strappare manovalanza alla mafia, per farne cittadini onesti, dove sembra già un risultato sentir enunciare concetti comprensibili e non suoni indistinti. Nella famosa Finlandia – quella che sta in cima ai risultati delle indagini Ocse – gli insegnanti migliori, quelli meglio retribuiti, quelli più prestigiosi vanno proprio nelle scuole più difficili e non vanno a fare gli amici degli studenti, vanno a educarli.

I mali della scuola italiana sono tanti e a volerli catalogare tutti ci vorrebbe un’enciclopedia, ma non si può condividere l’apocalittica visione di Giorgio Israel che su Il sussidiario.it tuona contro tutti, contro il ministro Profumo, contro Vecchioni e contro il decadimento dei tempi presenti. Israel ha però ragione quando afferma che “è semplicemente penoso confrontare le barriere sociali che pone la scuola di oggi – tanto più quanto più solletica idee ludiche e si prostra davanti al soggetto studente – di fronte all’ascensore sociale che era possibile nella scuola italiana postunitaria; quando il futuro ‘signor scienza italiana’ Vito Volterra, figlio di una vedova indigente e destinato al mestiere di impiegato, riuscì a farsi valere in un istituto tecnico sotto la guida di un professore di fisica che ebbe l’autorità (quale professore di istituto tecnico l’avrebbe oggi?) per farlo entrare alla Normale di Pisa”.

Non è una sterile laudatio temporis acti, ma una considerazione seria che dovrebbe indurre a riflettere. Tutti – l’utenza più sensibile alle lusinghe del presunto volto amico, i sostenitori del buonismo rinunciatario, i fieri oppositori di ogni forma di valutazione del servizio scolastico e del lavoro degli insegnanti – dovrebbero cominciare ad auspicare una scuola che contribuisca allo sviluppo formando cittadini, lavoratori qualificati e competitivi, e che lo faccia attraverso innovazioni che introducano la meritocrazia, eliminino i pesanti fardelli burocratici, snelliscano le procedure formali a vantaggio dei valori sostanziali, permettano la valutazione della qualità. Il volto amico non c’entra.

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