SAIPEM TAGLIA LA CEDOLA MA ARCHIVIA L’ANNO NERO. PERCHE’ NON PENSARE AL MODELLO PRYSMIAN?
No news, good news. Il mercato apprezza il fatto che, una volta tanto dal consiglio di amministrazione di Saipem (+0,67% ad un’ora dalla fine delle contrattazioni) non siano emerse sorprese rispetto al profit warning. Il consuntivo 2012, infatti, è in linea con le indicazioni che hanno preceduto il tonfo del titolo il 30 gennaio scorso.
Il taglio di conti e previsioni non ha inciso più di tanto sul dividendo: 0,68 euro per azione ordinaria, in calo del 2,8% rispetto alla cedola riconosciuta nell’anno precedente in ossequio alla politica di pay-out che prevede di destinare un terzo dell’utile netto consolidato a remunerare i soci.
La società ha archiviato il 2012 con un utile netto di 902 milioni di euro, in calo del 2,1% sul 2011. Più consistente il ribasso accusato dai profitti nell’ultima frazione dell’esercizio: -30,2% a 180 milioni. Contestualmente gli investimenti tecnici sono ammontati a 1,01 miliardi, i ricavi sono aumentati del 6,2% 13,37 miliardi , utile operativo e’ sceso dello 0,8% a 1,48 miliardi. Sul fronte dei nuovi ordini si ridimensiona l’allarme: sono cresciuti del 7% a 13,39 miliardi, mentre il portafoglio residuo contava a fine dicembre commesse per 19,74 miliardi (-3,3%). L’indebitamento finanziario netto di Saipem a tutto dicembre era pari a 4,28 miliardi, in rialzo di 1,09 miliardi da fine dicembre 2011 a causa soprattutto dell’aumento del capitale circolante derivante dall’impatto dei termini contrattuali di alcune commesse in esecuzione.
Fin qui l’ennesima raffica di numeri dopo il profit warning e l’annuncio, successivo al tracollo del titolo, di nuove commesse per 3,3 miliardi. Senza dimenticare i due capitoli più caldi: a) la vendita, alla vigilia del profit warning del 2,3% da parte di BlackRock , il più importante gestore del mondo che ha “rifilato” le azioni prima del calo del 30% al Massachusetts Financial Services, un fondo americano con asset in gestione per 338,2 miliardi di dollari; b) la madre di tutti i problemi, ovvero la presunta tangente pagata da Saipem a notabili algerini per ottenere una commessa da Sonatrach. Una vicenda che è costata a Paolo Scaroni, presidente e ad dell’Eni, una perquisizione in casa ed in ufficio oltre al coinvolgimento nell’affaire in qualità di indagato per corruzione internazionale.
Per quanto riguarda l’inchiesta Consob sulla vendita del pacchetto Saipem, è probabile che gli ispettori di Vegas non potranno che prender atto delle dichiarazioni dei gestori Usa: difficile imbastire ipotesi di insider a fronte di operazioni “chiuse” tra controparti professionali di quelle dimensioni. Sul fronte del dossier Algeria, non resta che attendere. E prender atto che questa ennesima “picconata” all’economia pubblica potrebbe accelerare l’evoluzione dell’Eni. Dopo l’uscita da Snam, lo stesso Scaroni non esclude “un ripensamento” sul futuro di Saipem anche se la questione “non è all’ordine del giorno”.
Ma chi può rilevare una quota così importante? Delle due l’una: o si procederà ad una vendita in Borsa, ovvero alla creazione di una public company modello Prysmian. O alla cessione ad un socio istituzionale, vedi Cdp. La natura della società (industriale, non di servizi) potrebbe consigliare la prima strada. Però, in tal caso, sarà necessario disporre di una squadra di manager come la pattuglia ex Pirelli capitanata dall’ingegner Battista: dopo tanto stress e legami con la politica, chissà se nell’area pubblica esiste ancora un nucleo duro all’altezza…