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Riforma Titolo V ed Energia: Stato ricentralizza, si riapre la corsa a idrocarburi, gasdotti, reti

Dopo il nuovo passo avanti della riforma del Titolo al Senato, si riapre la corsa alle infrastrutture dell’energia, per troppo anni bloccate dai veti localistici – Dal deposito nazionale dei rifiuti nucleari alla riconversione della raffineria di Gela fino ai progetti in Valdagri, in Piemonte, Marche, Puglia e Abruzzo: ecco che cosa cambierà

Riforma Titolo V ed Energia: Stato ricentralizza, si riapre la corsa a idrocarburi, gasdotti, reti

Gasdotti, produzione di idrocarburi, reti elettriche: ora si può ripartire. Tornano sotto la competenza esclusiva dello Stato le grandi infrastrutture nel settore strategico dell’energia, bloccate (o fortemente ritardate) dai veti locali per molti anni. La fine delle competenze regionali, così come erano state finora regolate dal Titolo V della Costituzione, è una delle novità della riforma del Senato  approvata mercoledì 13 ottobre a Palazzo Madama. E questa volta si cambia davvero dopo i tentativi, più timidi e meno risolutivi, portati avanti con lo Sblocca Italia.

 Quali infrastrutture potranno dunque ripartire? Gli esempi non mancano: si va dai progetti di sviluppo dei giacimenti petroliferi della Valdagri in Basilicata, a diversi progetti di ricerca in Piemonte come anche nelle Marche, in Puglia e Abruzzo. Ma potranno avere una strada più facile anche altri importanti interventi come per esempio il Deposito nazionale dei rifiuti nucleari o la dorsale adriatica del gasdotto Snam e magari ricevere un’accelerazione anche altre grosse operazioni come la valorizzazione in Sicilia dei campi gas off shore Argo e Cassiopea, legata all’accordo sulla riconversione della raffineria di Gela che l’Eni ha chiuso (in ballo ci sono 2,2 miliardi di investimenti tra il 2015 e il 2018, di cui 1,8 miliardi concentrati su otto pozzi e una nuova piattaforma oltre ai gasdotti di collegamento, tutto ad una ventina di chilometri dalla costa, nelle acque tra Gela e Licata).

Progetti che attendono dal 1998, e anche prima. Che stanno avanzando, nel caso Eni-Gela, ma che ora potranno seguire un percorso meno accidentato. Naturalmente, ci vorrà ancora un anno prima di arrivare al referendum costituzionale, previsto nell’autunno 2016. E poi un passaggio alla Consulta. Ma all’inizio del 2017 la riforma sarà realtà e quei grandi gruppi che avevano abbandonato l’Italia – come Bg, ExxonMobil, Chevron – stanno già mettendosi alla finestra, interessati dalle novità in arrivo e pronti a posizionarsi al momento opportuno.

Un ritorno di interesse che non è sfuggito al ministero dello Sviluppo e agli osservatori più attenti e che riporta l’attenzione sul nostro Paese il quale, ricordiamolo, offre una piattaforma logistica eccezionale al centro del Mediterraneo. Per avere un’idea dei valori in ballo, il ministero dello Sviluppo ha calcolato, su una 40ina di progetti fermi, investimenti per 15 miliardi solo nella produzione di idrocarburi e un potenziale occupazionale di 25.000 persone in quattro-sei anni.

Cosa prevede la riforma costituzionale? Intanto la “produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia” torna sotto l’esclusiva competenza dello Stato (articolo 31) così come le “infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza; porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale”. Non solo, ma “su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. E’ una clausola di supremazia dello Stato che consentirà di bypassare le criticità, quando le competenze esclusive sono regionali, se è in gioco l’interesse comune.

Al momento, la Basilicata non rilascia le intese sull’aumento della produzione di petrolio in Valdagri (in attesa di autorizzare il progetto di sviluppo fermo dal ’98). A Sulmona, in Abruzzo, si è inceppata la dorsale adriatica del gasdotto Snam per le proteste locali e il rifiuto della Regione a concedere l’intesa. Si tratta di un progetto strettamente collegato al Tap, il gasdotto che approda in Puglia e importerà gas dall’Azerbaijan, all’interno di un pacchetto di investimenti da 3,1 miliardi che Snam ha in programma per servire meglio il Nord e per esportare gas in Europa. Ritardi, blocchi, estenuanti braccio di ferro con le Regioni. Il destino di tutti questi progetti (e di quelli elencati più sopra) è di ripartire con la nuova modifica costituzionale che porta certezza e referenti chiari. 

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