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Riforma pensioni 2022, ipotesi di compromesso governo-sindacati: uscita a 64 anni con un taglio massimo del 9%

Due ipotesi a confronto: penalizzazione del 3% per ogni anno di anticipo, da calcolare solo sulla componente retributiva; oppure, ricalcolo completo ma il taglio arriverebbe al 30%

Riforma pensioni 2022, ipotesi di compromesso governo-sindacati: uscita a 64 anni con un taglio massimo del 9%

Sulla riforma delle pensioni continua il confronto tra governo e sindacati. Martedì le parti si sono incontrate per l’ultimo dei tavoli tecnici, cui seguirà la settimana prossima un vertice politico alla presenza del ministro dell’Economia, Daniele Franco, e di quello del Lavoro, Andrea Orlando. L’obiettivo è modificare la riforma Fornero per aumentare la flessibilità in uscita, come chiedono da anni i rappresentanti dei lavoratori, senza però mettere a rischio il bilancio pubblico.

Vediamo quali sono le posizioni sul tavolo.

Riforma pensioni 2022: proposta di anticipo triennale con ricalcolo completo

L’idea di cui si parla da più tempo prevede di abbassare l’età pensionabile da 67 a 64 anni mantenendo il requisito contributivo a 20 anni. Per sfruttare questa possibilità, tuttavia, bisognerebbe accettare il ricalcolo dell’intera pensione con il metodo contributivo, che tiene conto solo dei contributi versati nella vita lavorativa ed è quindi molto meno vantaggioso del retributivo, in cui il punto di riferimento è invece l’ultimo stipendio (di solito il più alto della carriera). In base alla riforma Dini (non alla Fornero), oggi chi va in pensione e ha iniziato a lavorare prima del 1995 si ritrova un assegno calcolato con metodo misto: retributivo per i contributi fino al 95 e contributivo per quelli dal 96 in poi.  

La posizione di Draghi e quella dei sindacati

La proposta di anticipo triennale a fronte di un ricalcolo completo è appoggiata dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, perché non altera l’equilibrio dei conti pubblici e otterrebbe senza dubbio il via libera della Commissione europea.

Di parere opposto i sindacati, che considerano l’ipotesi “inaccettabile” perché comporta un taglio della pensione molto pesante: fino al 30% dell’importo, una penalizzazione analoga a quella prevista da Opzione donna. Cgil, Cisl e Uil spingono quindi per un’uscita con 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica, ma l’esecutivo ha già bocciato la proposta.  

Riforma pensioni 2022: un’ipotesi di compromesso

Da qualche giorno si fa strada un’ipotesi di compromesso. L’idea sarebbe di mantenere l’anticipo triennale (da 67 a 64 anni) con il requisito contributivo stabile (almeno 20 anni), ma a fronte di un abbassamento della pensione molto più contenuto del 30%. La penalizzazione massima sarebbe del 3% per ogni anno di anticipo (quindi non più del 9%) e graverebbe solo sulla parte retributiva della pensione (che oggi, mediamente, pesa sull’assegno per il 30%).

Inoltre, questo canale d’uscita non sarebbe utilizzabile in caso di pensione troppo bassa: per poter lasciare il lavoro, infatti, l’assegno maturato dovrebbe superare di un certo numero di volte la pensione sociale. È lo stesso meccanismo già previsto per i “contributivi puri”, quelli che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995 e oggi possono andare in pensione a 64 anni solo con un assegno di almeno 1.310 euro, pari a 2,8 volte il minimo. Questo multiplo è considerato troppo alto dai sindacati, ma il governo potrebbe accettare di abbassarlo se decidesse di adottare questa soluzione anche per chi è nel sistema misto. Ad oggi, sembra questa la strada più promettente per arrivare a un accordo sulla riforma delle pensioni.

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