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Riduzione consumi e prodotti a marchio: ecco come Unicoop Tirreno contiene aumenti prezzi. Parla il Dg Piero Canova

INTERVISTA A PIERO CANOVA, DG DI UNICOOP TIRRENO – Piano di riduzione dei consumi energetici, attenzione al cliente e prezzi equi sui beni indispensabili – Ecco come le Coop di Toscana, Lazio e Umbria stanno affrontando la crisi energetica

Riduzione consumi e prodotti a marchio: ecco come Unicoop Tirreno contiene aumenti prezzi. Parla il Dg Piero Canova

Secondo le stime preliminari dell’Istat, nel mese di ottobre l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, ha registrato un aumento del 3,5% su base mensile e dell’11,9% su base annua. Nello stesso mese i prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona sono passati da +10,9% a +12,7%, e quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto da +8,4% a +8,9%. Infine, i prezzi dei Beni alimentari sono saliti da +11,4% a +13,1%. Si tratta di percentuali che nel nostro Paese non si vedevano da quarant’anni e che stanno mettendo a dura prova aziende e famiglie alle prese con l’impennata dell’inflazione e con una crisi energetica che ha fatto lievitare il costo delle bollette.

Qual è l’impatto di questa realtà sui consumi delle famiglie? E sulle imprese? Ne abbiamo parlato con Piero Canova, direttore generale di Unicoop Tirreno, una delle sette grandi cooperative di consumo italiane che, sotto l’insegna Coop, è presente con 96 punti vendita in Toscana, Lazio ed Umbria.

Piero Canova, direttore generale di Unicoop Tirreno

Direttore Canova, Unicoop Tirreno ha presentato un piano di riduzione dei consumi per far fronte all’aumento dei prezzi e difendere il potere d’acquisto dei consumatori. Quali azioni avete previsto per far fronte alla crisi in corso?

«L’aumento dei costi dell’energia per le attività e le famiglie sta diventando una difficoltà seria. Ci siamo dunque chiesti se dei comportamenti virtuosi potessero contribuire a contenere questa spirale inflattiva che sta diventando sempre più onerosa per i consumatori e li abbiamo messi in atto. Abbiamo previsto una serie di misure come l’adeguamento della temperatura interna, la riduzione dell’orario di funzionamento degli impianti di condizionamento, lo spegnimento delle insegne e delle apparecchiature non necessarie dopo la chiusura dei punti vendita, l’abbassamento dell’intensità delle luci in alcuni momenti della giornata, la chiusura delle porte di ingresso dei punti vendita per evitare dispersioni termiche, l’interruzione durante le ore notturne del riciclo dell’aria, l’efficientamento dell’utilizzo celle e banchi frigoriferi, così come degli elettrodomestici in dotazione». 

Secondo le vostre stime queste azioni quali effetti produrranno in termini di riduzione dei consumi?

«Si tratta di misure che ci aiuteranno a ridurre i consumi del 5%. A questa percentuale bisogna poi aggiungere un ulteriore riduzione dell’1,5% derivante dai nostri investimenti nel fotovoltaico. Stiamo installando impianti fotovoltaici sui tetti e nei parcheggi, nonostante la burocrazia non ci aiuti. Pensi che in passato i tempi tecnici per le autorizzazioni erano di 60/90 giorni, oggi abbiamo superato i 12 mesi. In una situazione d’emergenza dove ogni kilowatt di elettricità che l’Italia riesce a immettere nella rete è un kilowatt in meno di energia che deve comprare a caro prezzo, la burocrazia dovrebbe darci una mano e non rallentarci. Noi però andiamo avanti e proviamo a fare tutto il possibile». 

Tutti stiamo facendo i conti con gli effetti del caro energia e dell’inflazione. Questi due fenomeni stanno avendo un impatto sulla spesa dei consumatori?

«Nel 2022, l’aumento medio dei prezzi è di circa il 13%. In questo momento fare la spesa ha un aggravio di costi estremamente importante per i consumatori. Sulla nostra rete abbiamo notato una tendenza a ridurre la dimensione del singolo scontrino, che sta perdendo valore. I consumatori non comprano più prodotti per metterli in dispensa, ma si compra solo lo stretto necessario, evitando al massimo gli sprechi». 

E sul vostro fatturato, qual è l’impatto?

«Sul breve termine sembra che l’equazione stia tenendo. Si vendono meno cose, ma dato che i prezzi sono più alti, alla fine si rimane sullo stesso livello. Le faccio un esempio pratico: il signor Mario per la sua spesa spendeva 20 euro lo scorso anno e anche quest’anno spende la stessa cifra. La differenza però è che lui con quei 20 euro compra meno prodotti rispetto a un anno fa, ma il nostro fatturato rimane lo stesso. Non sappiamo però se questa equazione continuerà a tenere. Se in inverno le bollette saliranno ulteriormente a causa del freddo potremmo cominciare a vedere una contrazione della domanda. Ad oggi non possiamo saperlo, ma ciò che è certo è che se accadrà, senza un intervento politico del Governo, la situazione potrebbe diventare ancora più difficile».


Di quali politiche di sostegno avreste bisogno?

«L’anno prossimo nei bilanci di tutti gli operatori non si vedranno grandi utili, ma in qualità di attività commerciali non si può nemmeno lavorare in perdita. La dimensione degli aumenti che stiamo subendo è al di sopra della redditività e degli utili che qualsiasi catena può generare. Nel 2017 spendevamo 16 milioni di euro di elettricità all’anno. Grazie ai nostri comportamenti virtuosi siamo scesi a 9. Quest’anno, a parità di consumo, potrebbero diventare 27 o 35 milioni. La grande distribuzione non è stata considerata dai Governi precedenti come un comparto industriale energivoro, quindi non abbiamo avuto gli aiuti e gli incentivi che altri comparti hanno ricevuto. È chiaro che le misure di sostegno potrebbero aiutarci perché ridurrebbero l’impatto del costo dell’energia e degli aumenti che riceviamo dai produttori. Le faccio un esempio: un primario produttore di prodotti caseari quest’anno ci ha presentato 5 listini, ognuno con aumenti di prezzo. Complessivamente i rincari superano il 30%. Data la nostra ragione sociale di cooperativa, abbiamo meno pressione rispetto agli altri per generare utili, ma di fronte a un’ondata di questo tipo le leve che abbiamo a nostra disposizione sono poca cosa. Stiamo cercando in tutti i modi di evitare che questi aumenti ricadano sui consumatori, ma resta il fatto che se il prezzo di un barattolo di yogurt è salito per noi da 40 a 65 centesimi, è difficile non chiedere a nostra volta un aumento ai clienti. Se su certe categorie merceologiche indispensabili di prodotti il Governo decidesse di mitigare o azzerare l’IVA, questa potrebbe essere un’azione che andrebbe a favore di una vasta fetta della popolazione». 

Nel 2020 e nel 2021, durante il periodo più duro della pandemia, la Gdo è stata uno dei pochi comparti a generare utili. Non potreste reinvestirli per contenere l’aumento dei prezzi?

«È un’osservazione che può avere un senso, ma io le parlo dei nostri bilanci. Il nostro fatturato è di circa 850 milioni. Nel 2020 abbiamo avuto un utile di circa 1 milione di euro, nel 2021 abbiamo sfiorato i due milioni. Io li investo volentieri per far spendere meno ai nostri clienti, ma purtroppo per far fronte all’incremento dei prezzi che subiamo l’impatto è davvero minimo. È come mettere un dito nel buco della diga mentre la diga sta crollando. Parliamo di un problema che supera gli interessi delle singole aziende e che non riguarda solo i costi delle bollette. I tassi d’interesse sono saliti e i prestiti sono più onerosi, il prezzo delle materie prime come la farina è lievitato, i costi dei carburanti sono cresciuti e via dicendo. È l’intero meccanismo che sta remando contro l’economia delle aziende di tutti i comparti. Non bisogna però piangersi addosso. Tutti siamo chiamati a trovare il miglior equilibrio e noi ci stiamo provando».

Come? 

«Concentriamo le nostre azioni su pochi prodotti ma indispensabili: pasta, latte, biscotti. Vendiamo in perdita, ma cerchiamo di garantire ai nostri clienti prezzi equi su prodotti necessari che li aiutino ad andare avanti. Abbiamo un fine sociale e intendiamo perseguirlo facendo tutto ciò che è in nostro potere. Per questo abbiamo cambiato politica e abbiamo deciso di puntare sui nostri prodotti a marchio. È su quelli che possiamo applicare gli sconti maggiori perché abbiamo un po’ più di controllo sulla filiera e riusciamo a farci carico dei costi intermedi. Sono prodotti di qualità sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale, e a prezzi equi, giusti, sia per chi li produce, sia per chi li acquista». 

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