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Renzi e Calenda firmano la pace di Milano per fare del Pd il primo partito

Il segretario del Pd e l’effervescente ministro dello Sviluppo economico insieme a Milano per “Obiettivo Governo” per lanciare la candidatura di Giorgio Gori alla Regione Lombardia e capovolgere i sindaggi elettorali conquistando per il Pd il primato di partito il 4 marzo – “Rottamare e cambiare, gli altri conservano” – Attacchi al centrodestra ma nessuna polemica con LeU

Renzi e Calenda firmano la pace di Milano per fare del Pd il primo partito

La solita marea di citazioni, da Diocleziano a Elliott passando per Fossati e la versione di Barney, nessuna polemica aperta con Liberi e Uguali (ma una frecciata alla fine del discorso sì) e la pace, seppur con una battuta sull’utilizzo spregiudicato di Twitter, con il ministro Carlo Calenda. Matteo Renzi torna a Milano e incassa gli applausi del Teatro Parenti, dove ha partecipato all’incontro “Obiettivo Governo” per sostenere la campagna elettorale di Giorgio Gori per la Regione Lombardia, alla presenza del sindaco Beppe Sala e del ministro del Mise, con il quale non sono mancate le divergenze di recente.

A salire per primo, tra i due, sul palco è proprio Calenda, che due giorni dopo il lancio del Piano industriale per rilanciare l’Italia, firmato a due mani con il segretario generale della Fim Cisl Marco Bentivogli, manda ancora un segnale di unità e compattezza all’interno del centrosinistra: “Mi spenderò per Giorgio Gori – ha intanto garantito il ministro uscente -. La battaglia che ci aspetta è difficilissima perché dovremo remare contro la corrente. E’ un momento difficile, questo, per chi vuole fare cose concrete, perché tocca lottare contro chi cavalca la paura. La paura c’è, va capita e non negata, ma il nostro compito è di offrire soluzioni. La globalizzazione ha prodotto più ricchezza ma ha accentuato drammaticamente le fratture sociali, perché abbiamo presunto di non doverla governare: è questa, oggi, la sfida del Pd”.

Poi l’assist a Renzi, per aprire una nuova stagione che vada oltre la rottamazione: “Noi non siamo stati rottamatori, siamo stati costruttori. Questo governo non voleva abolire il Senato per una questione di poltrona, ma per dare una governabilità più forte al Paese. Questo governo non ha abolito l’articolo 18, ha fatto il Jobs Act e tutta una serie di altri provvedimenti propositivi, rivolti al futuro e non solo ostili rispetto alle soluzioni del passato”. “Guai inoltre a fare delle eccellenze il nostro unico mondo di riferimento: non siamo la società delle eccellenze, che ci sono e vanno incoraggiate, ma nessun Paese è fatto solo di eccellenze e di vincitori. Ci sono anche le persone normali e gli sconfitti, gli ultimi, che vanno recuperati”, ha detto Calenda, ricevendo consenso e applausi almeno al pari dell’amatissimo primo cittadino e di quelli che poi prenderà il segretario Renzi, che ha chiuso l’incontro milanese.

Renzi che prima di tutto, pur sollecitato da alcuni cittadini in platea, ha evitato la polemica diretta contro Liberi e Uguali, dopo la scelta della formazione di sinistra di correre da sola anche il Lombardia, che da molti è stata interpretata come un assist al centrodestra che già parte con i favori del pronostico: “Oggi è una bella giornata ma sarà meno bella delle 49 che ci aspettano: 49 giorni di campagna elettorale saranno una grandissima esperienza umana, prima ancora che politica”, ha detto il segretario aprendo il proprio intervento. Politica che però va difesa a tutti i costi dai populismi: “Abbiamo avversari temibili perché giocano sulla paura, che è un sentimento più facile. Bisogna invece credere nella politica. Solo con le competenze non si va da nessuna parte, cosi come si va contro un muro senza le competenze. E il Movimento 5 Stelle dell’incompetenza ne fa addirittura un motivo di orgoglio”.

Poi la risposta a Calenda, sulla rottamazione: “E’ vero, non è più tempo di rottamazione. Ma senza rottamazione questo palco oggi sarebbe diverso, non avremmo rinnovato il ceto politico, non avremmo ora un partito capace di guardare al futuro e non solo al passato o al presente”. Non sono mancate nemmeno le battute sul centrodestra: “E’ un remake del passato, con Salvini al posto di Bossi, Meloni al posto di Fini e… Berlusconi al posto di Berlusconi. Ma se andate a vedere le loro proposte servono almeno 200 miliardi: dove li trovano?”. Un attacco, seppur velato, a LeU alla fine è arrivato: “Nella versione di Barney si parla di chi colleziona francobolli e di chi colleziona rancore. Ecco, ci sono persone che collezionano rancore. Ricordiamogli che ad aver inserito nel Jobs Act la norma sulle dimissioni in bianco siamo stati noi, visto che qualcuno pensa di essere più di sinistra di altri”. Un tuono, prima dello scroscio di applausi. E poi una speranza: “Alle ultime elezioni, quando mancavano 50 giorni il Pd aveva 11 punti di vantaggio nei sondaggi e poi è finita come sappiamo: speriamo di fare il contrario, stavolta”.

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