Nessuno ne parla eppure le politiche sociali saranno una delle materie che maggiormente potranno beneficiare della Riforma Costituzionale, che ne riattribuisce la potestà legislativa allo Stato dopo che la Riforma del 2001 l’aveva interamente attribuita alle Regioni.
La modifica del 2001 aveva aperto la strada a una serie di ricorsi delle Regioni che, in molti casi, hanno costretto lo Stato a cancellare o modificare numerose iniziative nazionali in materia di politiche sociali, impedendo l’adozione di misure omogenee in tutto il territorio nazionale e lasciando inalterate se non accentuando disparità territoriali che già erano un punto di debolezza del nostro Paese.
All’indomani della Riforma costituzionale del 2001, infatti, le Regioni hanno impugnato quasi tutte le principali iniziative e strumenti nazionali in materia di politiche sociali. Dal Fondo per gli asili nido alle misure abitative per le famiglie, dal bonus bebè ai fondi per le politiche della famiglia a quelli per disabili e anziani, fino all’impugnazione dello stesso Fondo nazionale per le politiche sociali (istituito nel 1997).
Le motivazioni di tali ricorsi erano legate non solo al modificato articolo 117 della Costituzione (che attribuisce alle Regioni la competenza legislativa esclusiva in queste materie), ma anche all’articolo 119, che impedisce allo Stato di stanziare Fondi ad hoc mirati ad affrontare specifiche “priorità” nelle materie di competenza regionale (perché considerati invasivi dell’autonomia finanziaria delle Regioni e una ingerenza nell’esercizio delle loro funzioni). Lo Stato può, certo, dare alle Regioni risorse finanziarie aggiuntive, ma in modo del tutto svincolato da qualsiasi uso specifico o priorità definita a livello nazionale nelle materie di competenza regionale. Solo le Regioni possono definire a chi, cosa e quanto dare e in base a quali criteri.
Sulla base di questi principi la Corte ha accolto molti dei ricorsi delle Regioni sulle politiche sociali.
Un esempio concreto che dà un’idea delle implicazioni di quella Riforma (e, per converso, dei potenziali benefici della nuova Riforma Costituzionale), è rappresentato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 423 del 2004.
Quella sentenza affronta vari ricorsi di due Regioni che impugnavano norme che, nel rifinanziare il Fondo nazionale delle politiche sociali, davano delle indicazioni sull’uso delle risorse e sulle priorità da affrontare, come, per esempio, la norma secondo cui almeno il 10% delle risorse dovesse andare “a sostegno delle politiche a favore delle famiglie di nuova costituzione, in particolare per l’acquisto della prima casa di abitazione e per il sostegno alla natalità”, o come la norma che indicava come priorità il “finanziamento di politiche in favore delle famiglie”. E fu impugnata anche la disposizione che istituiva un co-finanziamento statale per l’istituzione di un reddito di ultima istanza. Tutte queste tre norme sono state dichiarate incostituzionali.
Altre sentenze, ispirate dagli stessi principi, hanno portato la Corte Costituzionale a dichiararel’illegittimità costituzionale di norme con le quali venivano istituiti nuovi Fondi vincolati a determinate politiche sociali, come il Fondo per gli asili nido (sentenza 370 del 2003), del Fondo di rotazione per il finanziamento dei datori di lavoro che realizzano servizi di asilo nido o micro-nidi (sentenza 320 del 2004), nonché del Fondo finalizzato alla Costituzione di garanzie sul rimborso di prestiti fiduciari in favore degli studenti capaci e meritevoli (sentenza n. 308 del 2004). Vale forse la pena ricordare – anche se non riguardano le politiche sociali – che sempre su questi principi sono stati dichiarati incostituzionali anche il Fondo nazionale per il sostegno alla progettazione delle opere pubbliche delle Regioni e degli enti locali, il Fondo nazionale per la realizzazione di infrastrutture di interesse locale, il Fondo per la riqualificazione urbana dei comuni, il Fondo per “la realizzazione di nuovi impianti sportivi o alla ristrutturazione di quelli esistenti”, e altri ancora.
Con alcune sentenze la Corte ha aggiustato un po’ il tiro, e, facendo riferimento al comma 5 dell’articolo 119 (che dà la possibilità allo Stato di effettuare interventi finanziari speciali “in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni” e solo per scopi particolari), ha creato un certo margine di azione per il legislatore nazionale – purché le misure varate siano legate a risorse aggiuntive, a funzioni o progetti non ordinari, e destinate solo ad alcuni comuni o province (laddove siano destinati alle Regioni queste ne definiranno i criteri di ripartizione al loro interno).
Al di fuori di questo margine l’unico modo per poter convogliare risorse su determinate politiche sociali è quello di passare attraverso le intese con la Conferenza Unificata Stato-Regioni: un processo che spesso si rivela lungo e che non tutte le Regioni riescono a realizzare nei tempi e modi sperati.
Un esempio significativo è l’intesa raggiunta a Settembre del 2007 per la realizzazione di un Piano straordinario triennale per lo sviluppo dei servizi socio educativi per la prima infanzia, per il quale la Finanziaria approvata a Dicembre 2006 aveva riservato circa mezzo miliardo di euro: l’intervento più importante in materia di servizi per l’infanzia degli ultimi anni
Il problema è che alcune Regioni hanno impiegato anni prima di adempiere tutti i passaggi amministrativi e burocratici necessari per stilare i programmi regionali, fare bandi, procedure di autorizzazione e accreditamento, mentre altre non sono proprio state in grado fare programmazione e di utilizzare gran parte dei fondi a disposizione.
Senza contare le difficoltà legate al fatto che le procedure per l’erogazione dei fondi statali, che non potevano essere definite dallo Stato ma solo dalla Conferenza Unificata, sono cambiate continuamente, perché le varie intese siglate negli anni hanno di volta in volta definito procedure di erogazione diverse.
Questo ha fatto sì che, nonostante l’ammontare di risorse stanziate e i significativi miglioramenti ottenuti in alcune regioni, sono rimaste quasi inalterate le differenze territoriali e ci sono stati scarsi miglioramenti laddove ce n’era più bisogno.
E’ evidente che l’impianto costituzionale attuale ha indebolito e in alcuni casi bloccato o ritardato molte iniziative nazionali in materia di politiche sociali.
Con la nuova Riforma costituzionale, non solo si rafforzerà la competenza legislativa dello Stato che potrà definire piani nazionali con maggiore dettaglio e accuratezza (senza ledere l’autonomia organizzativa delle Regioni, alle quali resta la programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali), ma potrà anche intervenire con più vigore nei confronti degli Enti Locali inadempienti.
Per consultare il documento integrale “L’economia del Sì” a cura di Irene Tinagli cliccare qui.