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Referendum, l’economia del SI’: cosa cambia per il lavoro con la riforma

La nuova Costituzione prevede all’art. 117 una modifica sostanziale della suddivisione delle competenze legislative tra Stato e Regioni in materia di lavoro. Da materia concorrente, la “tutela e sicurezza del lavoro” diventa di competenza esclusiva dello Stato. E si aggiungono anche: “le politiche attive del lavoro”.

Referendum, l’economia del SI’: cosa cambia per il lavoro con la riforma

E’ la prima volta che l’espressione “politiche attive del lavoro entra nel testo costituzionale. Era già apparso in  alcuni provvedimenti legislativi (riforma Monti-Fornero e Jobs Act). Ora assume un rilievo ancor più importante. Riuscirà questo cambiamento di competenze a risolvere qualcuno dei problemi in cui si dibattono le politiche attive del lavoro in Italia ? 

Il ruolo che esse svolgono per combattere la disoccupazione strutturale e per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro è di fondamentale importanza. Così come fondamentale è la funzione di attivare nella ricerca di lavoro i beneficiari degli interventi di sostegno del reddito, si tratti di disoccupati con sussidi di disoccupazione o disabili o di  poveri che sono, sia pure parzialmente, abili al lavoro.

Tutti i Paesi Europei si sono dotati di una Agenzia Nazionale, con un duplice compito: erogare i sussidi e spingere i beneficiari a cecare lavoro, assistendoli nella ricerca.

Anche in Italia con il Jobs Act  si è costituita una Agenzia Nazionale per le politiche attive, ma la rete sul territorio degli uffici che svolgono le funzioni fondamentali di intervento nel mercato del  lavoro, cioè i Centri per l’Impiego, sono ancora gestiti dalle Regioni (fino a poco tempo fa la funzione era delegata alle Province), così come impone la Carta Costituzionale in vigore.

Questo modello ha funzionato e funziona molto male. La gestione delle politiche passive (i sussidi) è di livello nazionale, in quanto affidata all’INPS, mentre la gestione delle politiche attive è affidata alle Regioni.

In questo schema le Regioni non hanno incentivi a far funzionare bene le politiche attive per ridurre i sussidi, perché non sono loro ad erogarli. Nonostante i ripetuti interventi legislativi volti ad instaurare un forte coordinamento tra Regioni e INPS, le Regioni non hanno mai manifestato un impegno sufficiente per svolgere la funzione di attivazione al lavoro dei disoccupati beneficiari dei sussidi.L’opportunità  di integrazione delle politiche passive e delle politiche attive non è mai stata sfruttata. Non è un caso che negli altri Paesi sia stata creata una unica struttura di livello nazionale (e articolata sul territorio) per gestire sia i sussidi di disoccupazione, sia i servizi per il lavoro.

La Francia lo ha fatto venti anni fa; in Germania esiste da un secolo. E anche in Gran Bretagna le funzioni gestionali sono unificate presso il Ministero del Lavoro. In questi stessi Paesi, l’investimento in una unica struttura efficiente ha comportato rilevanti risparmi nella spesa per gli ammortizzatori sociali.

In Italia, come si sa, si spende molto per le politiche passive e poco per le politiche attive. In genere nel nostro Paese si preferisce investire nei trasferimenti monetari e poco sui servizi. La nuova Costituzione, nell’affidare la competenza legislativa in via esclusiva allo Stato, pone le basi di un’ importante ristrutturazione delle nostre politiche del lavoro. 

Tra l’altro si tratta di una ristrutturazione necessaria se vogliamo partecipare, alla pari dei nostri partners comunitari, a quel progetto di “sussidio europeo di disoccupazione”, di cui, guarda caso, siamo noi i principali sostenitori.

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