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Reale,il ministro che voleva essere ricordato per una riforma diversa da quella sull’ordine pubblico

Nel 1975 la legge Reale non bloccò l’espandersi della violenza urbana e del terrorismo. Nel 1977 l’aggressione a Lama, poi il delitto Moro e i 61 alla Fiat. Più che di leggi speciali la polizia ha oggi bisogno di mezzi. Il cruccio del ministro repubblicano: “Sarò ricordato per quella e non per la riforma del diritto di famiglia”.

Reale,il ministro che voleva essere ricordato per una riforma diversa da quella sull’ordine pubblico

Uno dei crucci di Oronzo Reale, racconta Gianna Radiconcini, militante repubblicana, che era stata sua amica e collaboratrice e che è impegnata ad organizzare un convegno dedicato alla sua storia politica, era che alla fine sarebbe stato ricordato per quella legge sull’ordine pubblico che porta il suo nome. Intendiamoci, Reale non disconosceva certo quella legge, che da Guardasigilli aveva preparato nel 1975, per affrontare una difficilissima situazione di ordine pubblico, caratterizzata da cortei violenti e dall’affacciarsi dei primi fenomeni di terrorismo. Però riteneva che, nel suo lungo percorso di uomo politico, avesse fatto di meglio e di più.

Si deve infatti all’uomo politico leccese la riforma del diritto di famiglia, anche essa del 1975, con la quale si stabiliva, finalmente, la parità giuridica tra i coniugi, e venivano riconosciuti pari diritti per i figli naturali. Reale poi, già nel 1968, da ministro della Giustizia aveva presentato un disegno di legge per abrogare le attenuanti per il cosiddetto delitto di onore. Le quali furono poi abolite soltanto nel 1981. La legge Reale, che in questi giorni è stata evocata dal ministro dell’Interno Maroni e dal leader dell’Idv Di Pietro, prevedeva soprattutto l’introduzione del fermo di polizia che poteva prolungarsi per 48 ore, senza doversi dar conto alla magistratura. La quale a sua volta poteva prolungare successivamente il fermo per altre 48 ore.

La legge nasceva da un clima pesante per l’ordine pubblico: i cortei violenti si succedevono senza alcun preavviso, il servizio d’ordine era spesso violento con i famosi katanghesi, armati di spranghe, che comparivano in quelli del movimento studentesco, gli espropri proletari. Dinanzi a questi fatti l’opinione pubblica benpensante chiedeva provvedimenti adeguati a impedire e reprimere la violenza. Fu così che alla polizia (alla quale allora nessuno aveva sottratto mezzi con i tagli lineari) furono concessi poteri straordinari. Reale, al quale non mancava certo il senso dell’autorità dello Stato, fece la sua parte. La legge fu poi approvata con il voto contrario del Pci, il quale tuttavia cambiò radicalmente idea successivamente, soprattutto dopo la dura contestazione subita dal segretario della Cgil Luciano Lama nel 1977 all’Università di Roma.

Come ha ricordato Miguel Gotor su “la Repubblica”, in quell’occasione a guidare gli autonomi c’era Bruno Seghetti, spalleggiato da Emilia Libera e Antonio Savasta, che ritroveremo più avanti come protagonisti della storia delle Brigate rosse. Da allora il Pci fu il più impegnato, assieme alla Dc, a sostenere la validità della legge, in occasione del referendum proposto dai radicali per ottenerne l’abolizione. Erano i tempi nei quali Kossiga e Pecchioli si scrivevano con la k. La domanda è ora: servì la legge Reale a impedire la violenza dei cortei? Sembra di no. Visto che, in costanza di tale legge, la violenza e il terrorismo continuarono addirittura in progressione: dalla contestazione a Lama (1977), al delitto Moro (1978), alla violenza diffusa provocata da infiltrazioni terroristiche nelle fabbriche.

Vale la pena di ricordare il processo contro i 61 alla Fiat di Torino. La domanda successiva è: può servire riproporre oggi la legge Reale? Anche questa volta i dubbi sono molteplici. Anche perchè oggi la polizia e le forze dell’ordine hanno molti meno mezzi di quanti ne avessero negli anni ’70, quando nessuno pensava di poter sottrarne alla tutela della sicurezza dei cittadini. E quindi prima che di leggi speciali hanno bisogno di mezzi ordinari per fare il proprio mestiere.

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