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“Razionamento gas è realistico. Ma sulle rinnovabili bisogna correre”, parla Tabarelli (Nomisma Energia)

INTERVISTA A DAVIDE TABARELLI presidente Nomisma Energia. “Dobbiamo prepararci a interruzioni controllate anche nell’elettricità. Stop ai motori termici nel 2035: si rischia il flop come per i chip

“Razionamento gas è realistico. Ma sulle rinnovabili bisogna correre”, parla Tabarelli (Nomisma Energia)

Le navi rigassificatrici? Ottima idea. Riaprire momentaneamente le centrali a carbone? Inevitabile. Ma guai a non spingere subito per una nuova poderosa accelerazione delle energie rinnovabili. E attenzione ad inseguire scelte suggestive ma velleitarie e irrealistiche, come quella dello stop europeo dal 2035 alle auto a combustione interna. L’energia è nell’occhio della grande crisi innescata dal conflitto in Ucraina, che fa da volano a problemi non nuovi. Ma ora il tempo stringe davvero. Servono scelte energetiche importanti ma anche insidiose. Ecco i consigli di Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia.

Possiamo realisticamente superare la dipendenza energetica della Russia? E come?

“Dipende dall’orizzonte temporale. Se ci concentriamo sul prossimo inverno la risposta è no. Non ce la faremo, a meno di un improbabile interruzione in tempi brevissimi del conflitto con una ripresa dell’import di gas della Russia con volumi compatibili con le nostre necessità di riempimento degli stoccaggi vista della prossima stagione invernale. Se ragioniamo invece nella prospettiva di tre o quattro anni possiamo anche farcela, ma tutto dipende dalle azioni che siamo e saremo in grado di mettere in campo. Serve una differenziazione delle fonti più decisa e più veloce di quella che siamo in grado momento di garantirci”.

Metano razionato. Ci dobbiamo rassegnare?

“Dobbiamo prepararci realisticamente all’ipotesi, facendo naturalmente di tutto per scongiurarla. E dobbiamo prepararci a vari livelli di possibile emergenza perché se è improbabile che la Russia tagli del tutto le sue forniture di gas bisogna anche dire che tutti gli accadimenti degli ultimi mesi hanno sorpreso perfino i più attenti analisti”.

Come potrebbe concretizzarsi il razionamento? E quali conseguenze pratiche potrebbe avere?

“Difficile pensare di attuare una fornitura a singhiozzo del metano alle famiglie. Più plausibile pensare a un razionamento per i grandi consumatori industriali, soprattutto in alcune giornate di forte freddo quando la richiesta di riscaldamento è difficilmente comprimibile. Quanto alle conseguenze pratiche, oltre al momentaneo stop alle produzioni industriali che dipendono dal gas, come già è successo in passato, le conseguenze più tangibili saranno sulle forniture elettriche, considerando che con il gas produciamo tuttora una quota rilevante della nostra elettricità”.

Razionamento in vista anche qui? Magari diminuendo temporaneamente la potenza disponibile anche per le utenze domestiche grazie alla capacità delle nuove reti intelligenti e dei contatori digitali?

“No, un’ipotesi di questo genere non è né utile né percorribile. Ci garantirebbero in caso di necessità al massimo 300 o 400 megawatt di minore richiesta di elettricità. Potrebbero servirne alcune migliaia, come abbiamo del resto sperimentato nella crisi del giugno 2003. Dobbiamo essere pronti a intervenire. E qui l’accresciuta intelligenza ed efficienza delle reti può sicuramente aiutarci ad attuare, se necessario, interruzioni controllate e guidate”.

Sapendo che nel frattempo il prezzo del metano rischia di mantenersi a livelli elevatissimi per molto tempo ancora, con un impatto davvero critico sui tentativi di ripresa economica dopo la crisi del Covid. Un tetto al prezzo del metano importato, da coordinare con gli altri paesi europei, è percorribile?

“È tardi, troppo tardi. Dovevamo semmai agire prima, anche perché l’emergenza prezzi è preesistente rispetto alla guerra in Ucraina. Ora con i prezzi strutturalmente così alti è davvero difficile tentare di imbrigliarli con un meccanismo di cap, quale che esso sia”.

Rassegnarci all’emergenza, dunque. Pensando semmai ad un futuro, magari non troppo lontano, strutturalmente più al sicuro. Torniamo dunque riequilibrio dei canali di approvvigionamento e delle fonti. Primo versante stiamo correndo ad acquistare le navi rigassificatrici, anche a costo di pagarle care, più care dei prezzi di mercato. Una scelta corretta?

“Una scelta giusta, proprio in nome dell’emergenza. Le navi rigassificatrici sono un’ottima carta da giocare in termini di rapidità realizzativa e flessibilità operativa. Servono per fronteggiare appunto l’emergenza. Servono per accompagnare la transizione. Perché se dobbiamo guardare avanti la vera strategia deve essere un’altra: l’accelerazione sul fronte delle energie rinnovabili, superando il prima possibile la comprensibile disattenzione in questo momento di crisi estrema che ci sta anzi portando a rimettere in produzione persino le centrali a carbone che stavamo chiudendo”.

Rinnovabili decisive per superare strutturalmente la crisi: qualcuno ci crede poco.

“E fa male. Basta fare quattro conti per capire che il futuro è e deve essere quello. Fotovoltaico e eolico danno ora all’Italia 45 Terawattora all’anno, che equivalgono a 9 miliardi di metri cubi di gas rispetto ai 29 miliardi di metri cubi che ogni anno importiamo dalla Russia. Sia l’eolico che il fotovoltaico continuano a crescere, ma poco. Se quest’anno riuscissimo a crescere del 10% aggiungeremmo al parco rinnovabili altri quattro Terawattora, equivalenti ad un altro miliardo di metri cubi di gas risparmiato. Un passo tutt’altro che insignificante verso l’affrancamento dalla Russia, ma soprattutto verso la vera transizione energetica”.

A proposito di transizione si fa un gran parlare del progetto europeo per lo stop dal 2035 alla vendita di auto a combustione interna a favore dei mezzi elettrici. Il nostro ministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani, frena e chiede tempi comunque più lunghi. Per “motivazioni tecniche non politiche” insiste. E ammonisce: “Si rischia una nuova dipendenza della Cina”. Ha ragione?

“Sì, ha ragione. Doppiamente ragione. Perché si tratta di rivoluzionare completamente tutto lo scenario della mobilità e l’operazione è realisticamente impercorribile. La tecnologia e le infrastrutture non sono pronte oggi e non lo saranno nel 2035, perché nell’orizzonte che stiamo tracciando la densità energetica di un litro di benzina non potrà essere raggiunta neanche lontanamente da un sistema di batterie al servizio di un motore elettrico. Capisco che lo stop al 2035 per i motori termici possa apparire in linea con gli obiettivi europei sulla transizione verde, assolutamente condivisibili, ma la realtà è che rischiano un flop dal punto di vista della tecnologia e un pericolosissimo flop, oltretutto, sulla filiera al servizio di questa scelta. L’industria occidentale si sta davvero attrezzando per essere competitiva con quella asiatica? Ho molti dubbi. La verità è che rischiamo ciò che è già accaduto con i pannelli fotovoltaici e con i chip“.

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