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Rapporto della Fondazione Rosselli – Per le banche italiane 32 mila sportelli sono ormai un lusso

RAPPORTO DELLA FONDAZIONE ROSSELLI sul sistema finanziario italiano – Le banche hanno bisogno di stabilità e maggiore redditività, tagliando i costi e accelerando sull’innovazione e sull’internazionalizzazione senza perdere i legami con il territorio – Le nuove tecnologie offrono opportunità anche per ridimensionare la ridondante rete degli sportelli.

Rapporto della Fondazione Rosselli – Per le banche italiane 32 mila sportelli sono ormai un lusso

In Europa lo scenario economico-finanziario è oggi caratterizzato da quattro elementi principali: difficoltà nella crescita economica, politica monetaria accomodante, rischio da debito sovrano e nuove architetture della vigilanza.

Dal 2006 il Rapporto sul Sistema Finanziario della fondazione Rosselli ha individuato nel modello di banca commerciale territoriale (Bct) il principale tratto distintivo dell’industria finanziaria italiana. Intanto, la Grande Crisi iniziata nel 2008 continua a caratterizzare il quadro di riferimento europeo e italiano, mantenendo alta l’incertezza sulle prospettive di un’uscita stabile e robusta dal ristagno.

In una simile cornice, quali sono allora le problematiche rilevanti per il modello Bct? I parametri fondamentali per l’efficacia di un modello di intermediazione sono essenzialmente due: stabilità e redditività. È un binomio ineludibile, in quanto i requisiti della stabilità e della redditività sono due facce della stessa medaglia: l’una non può alla lunga esistere senza l’altra.

1. LA BANCA COMMERCIALE TERRITORIALE

Per mettere in luce l’importanza del binomio stabilità-redditività occorre come sempre partire da quelle che sono le caratteristiche del modello Bct, che sono state progressivamente meglio chiarite e approfondite nella loro evoluzione attraverso le successive edizioni del Rapporto, inclusa l’ultima.

I tratti distintivi del modello Bct sono essenzialmente tre:
1. nella composizione delle passività, il ruolo dominante è rappresentato dalla raccolta al dettaglio di depositi;
2. nella composizione delle attività, la componente prevalente è costituita dal credito commerciale alle imprese;
3. il rapporto tra raccolta di depositi e erogazione del credito tende a essere stabile nel tempo e omogeneo geograficamente.

Le prime due caratteristiche differenziano la banca commerciale dagli altri modelli di intermediazione bancaria e finanziaria; la terza caratteristica distingue, tra le varie tipologie di banche commerciali, quelle in cui la riallocazione interna dei flussi è molto accentuata – pensiamo al modello della banca internazionale o a quello della banca divisionale – da quelle in cui lo è meno – pensiamo alle banche multi-regionali o multi-nazionali.

Queste caratteristiche della Bct si traducono anche in due tratti distintivi della attività di intermediazione. Da un lato è rilevante la capacità di coniugare nell’erogazione del credito l’utilizzo di informazioni sia oggettive (hard information) che soggettive (soft information), specializzandosi nel cosiddetto credito di relazione da standardizzare (standardized relationship banking). Dall’altro lato, è fondamentale la capacità di indebitamento stabile, in quanto basato sulla raccolta al dettaglio presso famiglie e imprese. Inoltre, le due caratteristiche sono coniugate, in quanto la raccolta del risparmio è reinvestita in erogazioni di credito commerciale, contribuendo così a dare stabilità temporale e geografica al volano risparmio-credito.

2. UNA STABILITÀ DA PROTEGGERE

Considerando le performance in termini di stabilità e redditività, il sistema bancario italiano nell’ultimo periodo ha mostrato buona stabilità ma redditività molto bassa. Lo strabismo tra stabilità e redditività è il risultato ultimo che finisce per produrre il modello Bct quando opera in un sistema Paese che soffre da almeno un ventennio di un perdurante problema strutturale di bassa competitività, e ora anche di un inasprimento sul fronte del debito sovrano. .

Il percorso è così sintetizzabile. La tipica banca italiana nasce come quella che gli anglosassoni chiamerebbero banca di comunità: gestisce il risparmio e finanzia l’investimento su base territoriale. La banca di comunità italiana adotta modelli di organizzazione diversi e quindi moltiplica le sue forme organizzative: banche cooperative, banche popolari, società per azioni. Le banche di comunità finiscono per avviarsi lungo percorsi dimensionali diversi: banche locali, nazionali e anche internazionali. Rimangono alcuni connotati di fondo – prima individuati – che aiutano a capire quanto ciascuna banca sia ancora coerente con il modello originale: peso del credito commerciale sul totale dell’attivo, peso della raccolta al dettaglio sulla raccolta totale, stabilità della localizzazione territoriale del risparmio raccolto.

Il modello di banca della comunità ha nei suoi cromosomi – se la gestione è sana e prudente – una propensione al rischio fisiologicamente bassa. Di conseguenza, quando più aumenta il livello di competitività dei mercati, il modello tende a produrre intermediari – capitale umano incluso – caratterizzati appunto da buona stabilità e limitata redditività. Nei due decenni passati, l’intreccio tra globalizzazione dei mercati ed esuberanza finanziaria ha investito anche l’industria bancaria italiana, modificandone temporaneamente ma sensibilmente il profilo di redditività verso l’alto, senza che ne fosse pregiudicata la stabilità.

Spariva il trade-off tra stabilità e redditività. Poi è arrivata la Crisi; le due facce delle italiche banche di comunità sono riemerse in tutta evidenza. Consideriamo il lato buono della medaglia: la robustezza delle banche italiane. Anche le più recenti Considerazioni Finali della Banca d’Italia ne hanno fornito una chiara evidenza empirica. Dall’inizio della Crisi, il cosiddetto capitale di migliore qualità è salito dal 7,1% al 10,7% dell’attivo; per le prime cinque grandi banche il miglioramento si registra con un passaggio dal 5,7% al 10,9%.

Inoltre, la Banca d’Italia ha giustamente sottolineato come il rafforzamento delle banche italiane non sia “drogato” dall’aiuto pubblico: mentre in Italia – includendo il Monte dei Paschi di Siena (Mps) – l’aiuto pubblico si è finora fermato allo 0,3% del Pil, l’analoga stampella ammonta all’1,8% in Germania, al 4,3% in Belgio, al 5,1% nei Paesi Bassi, al 5,5% in Spagna, al 40% in Irlanda. Anche la prudente leva finanziaria gioca a favore delle banche italiane, con un livello di 14 contro una media europea di 20.

Nelle passate edizioni del Rapporto si era evidenziata la capacità del modello Bct di essere affidabile, in termini di stabilità sistemica. Ricordiamo che un sistema bancario è affidabile quando è in grado di assorbire gli shock, nel senso di garantire una dinamica regolare e sana degli impieghi e del risparmio. Sappiamo che l’affidabilità può essere verificata a due livelli.

A un primo livello, un sistema bancario è tanto più affidabile quanto meno ci sono casi di instabilità aziendale: l’inatteso fallimento di più banche distrugge valore in quanto ne sono colpiti i risparmiatori e le imprese che si affidavano ai servizi di quelle banche. La bancarotta di singoli intermediari può poi trasformarsi in crisi di fiducia, che a sua volta può essere il preludio di una crisi anche economica. Negli ultimi sei anni abbiamo assistito a fallimenti bancari rilevanti in diversi Paesi, ma non in Italia: l’unico caso di instabilità aziendale importante è stato, infatti, quello del Monte dei Paschi di Siena.

A un secondo livello, un sistema bancario è tanto più affidabile quanto più ampia è la sua capacità aggregata di offrire credito, evitando una restrizione sistematica che colpisca imprese e famiglie, in situazioni di incertezza o di caduta dell’attività reale e riducendo quindi i rischi di fenomeni di razionamento.La perdurante incertezza del quadro congiunturale – internazionale e nazionale – ha incrinato l’affidabilità sistemica, essendo aumentati in aggregato i rischi di razionamento, con una riduzione del credito alle imprese del 5% su base annua, mentre fino al maggio 2011, immediatamente prima della crisi del debito sovrano, i prestiti in Italia crescevano ancora a tassi annui superiori al 6%.

Occorre oramai prendere atto dell’inefficacia che le abbondanti iniezioni di moneta a tassi di interesse minimi attuati dalla Banca Centrale Europea (Bce) stanno avendo in termini di credito per la parte del tessuto produttivo più rilevante in termini di occupazione: le piccole e medie imprese (Pmi). La ragione va ritrovata nella rottura dell’ingranaggio che parte dalla moneta, passa dal credito e dai depositi e arriva a dar frutti in termini di investimenti, crescita economica e occupazione.

In tempi normali il meccanismo di trasmissione invierebbe regolarmente gli impulsi della politica monetaria fino agli investimenti delle Pmi, utilizzando come scatola di trasmissione il sistema bancario. La banca centrale può aumentare la liquidità acquistando titoli di Stato sul mercato o erogando il credito alle banche, che offrono titoli in garanzia, tipicamente obbligazioni di Stato. Le Bct utilizzano le proprie disponibilità liquide per aprire linee di credito a favore delle Pmi, con garanzie di copertura. In aggregato, l’apertura di linee di credito, che vengono utilizzate, creano depositi. Per cui, in un ingranaggio monetario ben funzionante, le crescite della moneta, del credito e dei depositi si muovono tutte nella stessa direzione, con effetti positivi anche sugli investimenti reali.

Purtroppo questo ingranaggio durante la Crisi si è inceppato, particolarmente nei Paesi periferici dell’Unione europea, tra cui l’Italia. La Bce ha posto in atto una politica monetaria molto espansiva. Le banche hanno avuto accesso alla liquidità a tassi inferiori dell’1%. Ma lì il meccanismo si blocca: le Bct non hanno sufficienti incentivi a creare significative dosi di nuovo credito commerciale, per il combinato disposto di tre fattori.

Da un primo lato, la domanda di credito espressa dalle Pmi viene percepita come eccessivamente rischiosa o improduttiva, rispetto a quelli che sono i possibili rendimenti attesi in termini di tasso. Qui si coglie un subdolo effetto distorsivo e non voluto di una politica monetaria attuata con tassi tenuti molto bassi per periodi di tempo prolungati: la remunerazione attesa non copre il rischio percepito, quindi si rinuncia a far credito. Inoltre il modello di divisione del lavoro tra le imprese italiane è particolarmente disintegrato, con catene del valore molto articolate e complesse.

Le catene del valore molto frantumate, in presenza di congiuntura sfavorevole, possono essere catalizzatori di rischio sistemico, che si trasmette dalle imprese alle banche e non solo alle più piccole. Di qui un aumento dell’avversione al rischio delle banche e il conseguente impiego di gran parte dei fondi Bce in carry trading sui titoli di Stato o in riacquisto a sconto di proprie obbligazioni, conseguendo benefici sui ricavi, che non sono comunque riusciti a tradursi in profitti, proprio a causa dell’esplosione delle rettifiche sui crediti deteriorati, i quali hanno raggiunto 240 miliardi di euro (14% del complesso dei prestiti), con un flusso di nuove sofferenze annue che supera ormai il 4% degli impieghi complessivi.

Da un secondo lato, il generale e perdurante contesto di incertezza finanziaria, legata all’accrescersi dei rischi macroeconomici, ha dato un’ulteriore spinta all’avversione al rischio delle banche rispetto all’eventualità di rimanere illiquide, per cui le disponibilità monetarie assumono una funzione assicurativa. Ma assicurarsi costa, visto che il funding bancario è divenuto più oneroso, vuoi per la concorrenza tra banche, vuoi per la competizione, diretta e indiretta, esercitata dai titoli di Stato.

Complessivamente, il peggioramento nel livello e nella distribuzione dei rischi macroeconomici può avere effetti su dinamica e qualità del credito bancario, mentre ridotto si è dimostrato l’effetto della dinamica dello spread Btp-Bund anche grazie all’intervento della Bce.

Da un terzo lato, infine, le Bct – date anche le caratteristiche della regolamentazione – hanno la necessità di far crescere la raccolta di capitale di rischio ogni qualvolta fanno crescere il credito, soprattutto se lo si indirizza verso impieghi relativamente rischiosi, come sono quelli a favore delle Pmi. Nell’attuale fase congiunturale, però, la raccolta di capitale di rischio risulta particolarmente difficile e neppure gli aumenti di capitale risolvono la difficoltà di finanziarsi, almeno fino a quando le banche non torneranno a essere redditizie senza l’aiuto della Bce: una redditività sufficiente è dunque una condizione necessaria sia per la stabilità finanziaria sia per la ripresa del credito.

Nell’attuale situazione di bassa – o inesistente – redditività e di difficoltà a finanziarsi, l’incentivo a far credito si riduce ulteriormente e inoltre il cattivo andamento congiunturale peggiora anche la qualità del credito già erogato, con un’ulteriore esigenza di capitale di rischio e disincentivo a erogare nuovi prestiti commerciali.

Va inoltre ricordato che lo stato anemico del credito viene accentuato dall’avversione degli operatori bancari esteri, esistenti o potenziali, a investire in mercati ad alta rischiosità, come quelli italiani, a causa dell’inasprimento del rischio sovrano e più in generale di un rischio Paese caratterizzato da ben noti problemi quali bassa produttività, incerta stabilità politico-istituzionale, alta inefficienza delle infrastrutture pubbliche, regolamentari e giudiziarie.

Ma, se in aggregato il credito non cresce, non aumentano neppure l’attività economica e i depositi. Per cui a una dinamica eccezionalmente espansiva della liquidità non corrisponde una corrispondente espansione né nel credito né nella raccolta. Di riflesso, a tassi sulla liquidità eccezionalmente bassi non corrispondono tassi bassi sul credito: i tassi creditizi nei Paesi periferici continuano a divergere da quelli chiesti nei Paesi centrali, con in aggiunta il già discusso aumento dei fenomeni di rischio razionamento.

Il rischio razionamento può essere certo temperato dalla capacità del modello di Bct di attuare il sopra definito standardized relationship banking. È questo un risultato, già registrato negli ultimi due anni dal Rapporto, che viene confermato anche in questa edizione. La resilienza del rapporto tra banca e impresa cresce con la qualità del relationship banking e con la prossimità della banca al territorio, che abbiamo visto essere tratti distintivi del modello Bct. Complessivamente, il Rapporto conferma il lato buono della medaglia, rappresentato dalla sua affidabilità.

3. LA SFIDA DELLA REDDITIVITÀ

Poi c’è il rovescio della medaglia del modello Bct: la bassa redditività. La banca di comunità può accompagnare la crescita economica, ma non è certo un acceleratore della crescita stessa. Quando la banca commerciale intreccia la sua attività con un sistema economico in declino strutturale almeno ventennale, una Crisi profonda come l’attuale può solo accentuarne le incognite in termini di redditività. Molte recenti analisi hanno evidenziato la caduta tendenziale della redditività delle nostre banche nel periodo 2007-2012, con il dato più recente prossimo allo zero. Nel 2012 l’utile consolidato dei gruppi bancari italiani si è ridotto da 5 miliardi a un solo miliardo di euro, valore che si trasforma in una perdita aggregata di 1,8 miliardi se si aggiungono le rettifiche delle componenti straordinarie dei bilanci, come le svalutazioni di acquisizioni passate.

Sul fronte dei ricavi, né i prezzi (tassi), né le quantità dei servizi (livelli di attività) offrono nel prossimo futuro alla Bct prospettive di significativi contributi positivi, per cui vanno ricercati ricavi da servizi non legati al solo margine di interesse (gestione del risparmio, prodotti assicurativi e previdenziali, private banking, mercati dei capitali, ecc.). Ma in realtà diverse banche, per soddisfare i nuovi requisiti di capitale di rischio, sono state recentemente indotte a cedere proprio le attività legate a questi servizi e a questi ricavi, così rimanendo ancor più concentrate sull’attività di pura Bct.

Di conseguenza, le attenzioni vanno concentrate sul taglio dei costi operativi, per i quali esistono ancora ampi margini di miglioramento: non solo riduzione di personale, razionalizzazione dei fornitori, riduzione dei consumi, freno alle spese discrezionali, ma anche digitalizzazione dei processi e ottimizzazione dei crescenti costi di controllo, compliance e auditing. Alcuni risultati sono già visibili, con una riduzione dei costi di oltre due punti percentuali nell’ultimo anno, che però non compensa la crescita del costo del rischio, salito nella Crisi fino ad assorbire il 30% dei margini.

La caduta tendenziale della capacità delle banche italiane di produrre reddito – almeno rispetto agli altri sistemi europei – è confermata. Questo è un trend non sostenibile.Il modello Bct è dunque oggi caratterizzato da una rilevante incognita, che si chiama redditività. Un sistema economico in crescita può essere senza problemi accompagnato da un modello di banca commerciale territoriale, che finanzia gli investimenti che imprese e famiglie hanno deciso di fare, sulla base di condizioni economiche, effettive o prospettiche, favorevoli.

Ma quando – come è oggi la situazione italiana – il sistema economico attraversa una crisi strutturale di produttività, accompagnata e aggravata da una crisi congiunturale della domanda interna, la redditività del modello Bct può essere assicurata solo dalla ricerca di nuove economie di scala e di scopo, che riguardano i ricavi e i costi così come l’innovazione tecnologica. In altri termini, la desiderabilità del modello Bct in termini di efficacia riguardo alla stabilità può trovare vincoli severi – fino a diventare insormontabili – in termini di redditività, efficienza e innovazione dei servizi.

Possiamo affermare che, così come le aziende italiane rimangono sempre troppo dipendenti dal credito della Bct, così anche la Bct rimane troppo dipendente dall’andamento economico delle aziende. Risulta allora cruciale il disegno dei rapporti tra banche e imprese, partendo dal quesito fondamentale: un sistema a imprenditorialità diffusa – cioè dominato dalle Pmi – e caratterizzato da bassa produttività e domanda interna anemica può evitare il declino? Il Rapporto ha sempre mantenuto fermo un principio: il credito commerciale finanziato da depositi deve essere utilizzato solo per investimenti produttivi delle imprese clienti che presentino un profilo di rischio coerente con la sana e prudente gestione che l’obiettivo della stabilità – prima discusso – impone.

Dato tale principio, nelle passate edizioni il Rapporto ha indicato due sentieri virtuosi, tra loro intrecciati: innovazione e internazionalizzazione, che si aggiungono alla necessita della crescita dimensionale. Ed allora: qual è il contributo del modello Bct all’innovazione e all’internazionalizzazione del tessuto produttivo italiano?

Finora è emerso che la tendenza all’innovazione e all’internazionalizzazione delle imprese servite può essere associata al modello di Bct e che tale relazione è progressivamente tanto più forte quanto più il modello di Bct viene assunto dalle grandi banche, meglio idonee a supportare le imprese con strutture e competenze specializzate in Italia e all’estero. In particolare, negli ultimi due anni il Rapporto segnalava come per le grandi banche si poteva rilevare una relazione robusta tra stabilità del rapporto banca-impresa e capacità di innovare e di esportare.

Tre nuove evidenze empiriche su questa tematica sono presentate nel XVIII Rapporto. Da un lato si mostra che esiste un circolo virtuoso tra la dotazione di capitale tecnologico per la produzione e gestione dell’informazione (Ict) e la robustezza del rapporto tra grande banca e impresa: più la dotazione è robusta, più l’impresa è – oppure si segnala come – innovativa e migliori sono le condizioni di credito. Dall’altro lato, si dimostra l’effetto positivo che può avere – sempre sul rapporto tra grande banca e impresa e scontando un periodo di apprendimento – la capacità delle Pmi di sviluppare anche le tecnologie legate al commercio elettronico, nonché gli accordi reciproci di cooperazione.

Inoltre dalla finanza innovativa, che include la partecipazione diretta delle banche al capitale delle aziende, può trarre giovamento anche il rapporto tra le piccole banche e le Pmi, soprattutto se operanti nelle regioni del Centro-Nord.Ma la sfida dell’innovazione, e in particolare dell’impiego delle tecnologie dell’informazione e di Internet, vale per le banche stesse ancor più che per le imprese servite, dal momento che la quasi totalità delle attività svolte da una banca sono immateriali e quindi potenzialmente automatizzabili.

Anche gli italiani, e soprattutto le nuove generazioni, stanno diffusamente utilizzando Internet per le transazioni bancarie: il tasso di incremento degli utenti on-line è stato del 18% all’anno nell’ultimo quinquennio e ormai il 40% dei clienti si connette stabilmente con la propria banca via Internet, pur essendo ancora lontani dalla situazione del Nord-Europa, dove tale percentuale già raggiunge l’ 80%. E l’on-line sta ricevendo una formidabile spinta dai nuovi dispositivi mobili, come gli smartphone e i tablet. Questa multicanalità offre alla Bct opportunità per nuovi servizi e quindi anche per nuove fonti di ricavo, ma rende ampiamente sovradimensionata l’attuale rete di 32 mila sportelli fisici, che in quattro anni ha dovuto subire una riduzione delle proprie transazioni per ben un terzo.

La Bct ha dunque la necessità di adeguare la struttura dei canali distributivi e i servizi offerti rispetto alle opportunità derivanti dalle nuove tecnologie e nel contempo di riallineare rapidamente la combinazione dei fattori produttivi, in particolare di personale e di strutture fisiche, perché il risultato non sia pari (o minori) ricavi e maggiori costi. Nel mondo digitale, poi, le logiche sono differenti: gli effetti di scala e di rete spingono i vantaggi competitivi, i vincitori tendono a dominare il mercato e chi sa e può innovare con successo ottiene enormi premi.

Accelerare l’innovazione spinta dalla tecnologia è allora una priorità, ma non tutti possono farcela e i grandi gruppi, nonché le realtà specializzate, possono godere di un vantaggio rispetto alle piccole e medie Bct. Dunque, la capacità di alzare il livello di redditività senza intaccare quello di stabilità passa attraverso un salto di qualità in termini di efficienza e di innovazione. Un salto di qualità che passa certamente dal rapporto tra banca, impresa e mercati, ma tocca anche la questione dell’assetto delle politiche pubbliche.

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