Condividi

Privatizzazioni, nel 2010 ce ne sono state ben 500 (160 miliardi di euro) ma solo due in Italia

di Bernardo Bortolotti* e Alessandro Carpinella* – Secondo l’ultimo Rapporto del Privatization Barometer, curato da Kpmg e Fondazione Eni Enrico Mattei – che FIRSTonline pubblica per intero –
il 2010 ha segnato il rilancio delle privatizzazioni nel mondo ma il baricentro s’è spostato nei Bric. In Italia solo 2 vendite: Enel Green Power e Trieste Terminal.

Privatizzazioni, nel 2010 ce ne sono state ben 500 (160 miliardi di euro) ma solo due in Italia

Nel 2010 i governi del mondo hanno ricavato circa 160 miliardi di euro dalla vendita di asset pubblici. Nei prossimi anni toccherà all’Europa.

E’ partita una nuova grande ondata di privatizzazioni. Dopo i bail out nel settore finanziario e non solo, lo Stato (ri)comincia a ritirarsi dall’economia. Nel corso del 2010, a livello globale i governi hanno incassato circa 160 miliardi di euro. Si tratta di uno dei valori più alti mai registrati nella storia, secondo solo ai 184 miliardi di euro del 2009, un valore comunque drogato dal riacquisto delle azioni da parte delle banche americane che da solo valeva 118 miliardi di euro.

Il 2010 è comunque l’anno dei record: la cessione del 15% di Petrobras, che ha fruttato al governo brasiliano 52,4 miliardi di euro, è la più grande offerta pubblica di tutti i tempi, così come l’offerta pubblica iniziale di Agricultural Bank of China per 16,5 miliardi di euro. Il collocamento da 15 miliardi di euro di General Motors, che ritorna sul mercato dopo la nazionalizzazione del 2008, è la più grande IPO mai realizzata sulle borse americane.

Se guardiamo gli aggregati, in vetta alla classifica ci sono gli Stati Uniti, con quasi 36 miliardi di privatizzazioni, ma davanti a tutti ci sono i BRICs, con 80 miliardi, la metà del totale. I paesi dell’Unione Europea hanno realizzato operazioni per 33,1 miliardi di euro, pari al 20,6% del totale. La Francia dei campioni nazionali è il paese europeo che ha privatizzato di più; nel corso del 2010, con circa 10,5 miliardi di euro di cessioni, seguita dalla Polonia e dal Regno Unito. L’Italia vanta comunque un suo piccolo primato grazie alla cessione del 30 per cento di Enel Green Power che con un controvalore di 2,6 miliardi di euro e la più importante privatizzazione per OPV registrata quest’anno sui mercati europei.

Al di là delle cifre, è utile mettere in relazione il ritorno delle privatizzazioni con le tendenze profonde delle economie emergenti e più sviluppate. I governi dei paesi emergenti approfittano delle buone condizioni di mercato e della forte crescita delle loro economie per valorizzare attraverso le privatizzazioni le loro imprese pubbliche, aprendole ulteriormente al capitale privato nazionale e internazionale, rendendole più solide finanziariamente e quindi più competitive. Le privatizzazioni dei paesi avanzati sono invece legate alla debolezza della congiuntura e alle conseguenti condizioni critiche della finanza pubblica. A fronte del rischio di default degli stati sovrani, i governi occidentali rilanciano quindi le privatizzazioni, unica politica che consentedi realizzare il necessario deleveraging senza incidere sulla spesa pubblica e sul welfare, fondamentale per la tenuta sociale in tempi di crisi.

Un programma coerente di privatizzazioni genera anche un altro dividendo: riduce progressivamente l’ambito di discrezionalità della politica sulle imprese, aumenta la credibilità della politica economica e quindi da ultimo migliora il rating di mercato dello stato sovrano, con ricadute positive sugli spreads. Non a caso i leader europei hanno preteso dal governo greco un ambizioso piano di privatizzazioni per dare via libera alla nuova tranche di aiuti. Lo stesso stanno facendo quasi tutti i PIGS, che hanno già dichiarato di voler cedere asset per circa 35 miliardi di euro entro il 2013.

E l’Italia? Come purtroppo spesso accade, l’Italia è un caso a sé stante. L’esito del cosiddetto referendum sulla privatizzazione dell’acqua rende più difficile la riapertura del dossier paradossalmente proprio nel momento del bisogno. L’Italia non è a rischio di default, ma come ci ricorda il recente rapporto di Barclays,la sostenibilità del nostro debito nel medio-lungo termine non può darsi per scontata in assenza di interventi strutturali. E se servono misure straordinarie, un piano di privatizzazioni dovrebbe essere in cima alla lista.

Di certo, gli asset pubblici da vendere non mancano: tra partecipazioni, immobili, concessioni, crediti, servizi da mettere in outsourcing e molti altri cespiti, Italia SpA valeva nel 2004 1340 miliardi di euro, tralasciando le oltre 7000 aziende della galassia del capitalismo municipale. Privatizzare quindi si può. E’ necessario però affrontare il tema senza populismi e ideologie, partendo dalle esperienze accumulate ma aggiornando modelli e procedure al nuovo contesto per realizzare nell’interesse generale un nuovo e più sano equilibrio fra stato e mercato.

* Bernardo Bortolotti, docente di economia presso l’ Università di Torino e fondatore del Privatization Barometer
* Alessandro Carpinella, direttore corporate finance, KPMG

Commenta