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Porti: Bolloré vende l’impero in Africa e prepara l’opa su Vivendi

Il finanziere bretone sta trattando la vendita del suo impero africano valutato tra i 9 e i 10 miliardi. Perché? E cosa farà con questa cifra? Ecco le mosse per rafforzare la presa sul suo colosso mediatico, senza tralasciare Mediobanca e Generali

Porti: Bolloré vende l’impero in Africa e prepara l’opa su Vivendi

Il fronte del porto, così sensibile da Trieste a Los Angeles, continua a muoversi sull’onda della rivoluzione della logistica. L’ultima notizia, davvero clamorosa, arriva da una fonte autorevole, cioè  Le Monde, il quotidiano parigino che senza troppi condizionali rivela la trattativa del secolo: Vincent Bolloré, il finanziere bretone ben noto alle cronache italiane (ancor oggi socio rilevante di Telecom Italia e di Mediobanca) grazie a Vivendi, sta trattando con Morgan Stanley la cessione del suo impero africano: 42 porti in cui operano 20.800 dipendenti, 16 terminali , una quasi esclusiva porta d’accesso per l’import/export dell’Africa occidentale già colonizzata da Parigi, nonché strade, ferrovie e quant’altro consente un solido controllo della Françafrique. Ovvero il cuore della fortuna imprenditoriale di Bollò, già allievo di Antoine Bernheim, che all’epoca dello sbarco nelle ex colonie disponeva in pratica solo di una vecchia cartiera di famiglia, peraltro indebitata. Una mossa che può cambiare molti equilibri nella finanza europea, Italia compresa. Vediamo perché.

Dal 1986 in poi Bolloré, che quell’anno si è assicurato, su consiglio di Bernheim, il controllo di Scac, una società commerciale attiva nei carburanti ed in altre materie prime ha avviato una sua brillante ed aggressiva politica africana, accompagnando l’azione di altre società parigine, per lo più vicine all’Eliseo (come Eramet, prima tappa delle fortune di Romain Zaleski) fino a diventare il personaggio chiave in Paesi ricchi di materie prime, a partire dall’uranio. Un impero che, secondo le prime stime, vale non meno di 3 miliardi di euro. Più almeno altrettanti nel caso il gruppo intenda uscire del tutto dal business della logistica cedendo le attività europee.

Ma perché cedere il primo amore, oggi più strategico che mai? Un po’ pesa il parere di Cyrille, il figlio più giovane del tycoon cui è affidato il dossier.  Molto, però, contano le disavventure giudiziarie di Bollò l’africain che per evitare la galera ha dovuto spiegare ai giudici parigini di aver condizionato, a suon di mazzette e di manovre delle sue società di pubbliche relazioni (Havas e Publicis), le elezioni in Guinea (paese chiave per la bauxite preziosa per le batterie elettriche) e in Togo. Bolloré ha evitato la condanna, ma si è impiegato a pagare una multa di 12 milioni di euro al Togo. Ma soprattutto, la condanna definitiva complica il business delle sue aziende africane: per statuto, molte multinazionali non possono fare affari con il gruppo. Di qui la tentazione di far fagotto, anche perché i potenziali compratori non mancano: la francese Cma Cgm, i danesi di Maersk oppure le potenze emergenti, dal Dubai Ports World ai cinesi di Cosco. Ma la vera domanda è: che ci farà Bolloré, già arricchito dalla cessione miliardaria di una fetta di azioni Universal, di tutti quei soldi, ovvero un tesoretto che, nel migliore di casi, può sfiorare i 9-10 miliardi di euro?

La risposta sta in una prossima scadenza. Bolloré che ha messo in tasca tre miliardi di euro con il collocamento delle azioni Universal e si accinge a lanciare un’0pa sul gruppo Lagardère (TF1 e altri media, tv e giornali), ha promesso di andare in pensione il 17 febbraio del 2022 quando il gruppo compirà 200 anni. Allora il bastone del comando dovrebbe passare nelle mani di Yannick e Cyrille, i due eredi della dinastia. Papà Vincent, prima di cedere il bastone del comando potrebbe lanciare l’Opa sul colosso Vivendi, gigante dell’informazione e della musica, di cui controlla il 27% assieme alla maggioranza di Hvas e Publicis, i gruppi leader della pubblicità in forte crescita nel digitale, nonché presente con un piede nelle tlc italiane ma anche in Brasile. Un colosso mediatico con ambizioni globali paragonabile al gruppo Murdoch, l’unico in grado di contrastare la leadership americana nei media, ma anche capace di condizionare da destra l’asse politico in Francia e non solo. Anche in Italia, Paese in passato al centro delle strategie di Bollò, poi rientrate dopo l’aspra battaglia su Mediaset, Bolloré ha ancora un ruolo rilevante, a partire da Mediobanca, in cui mantiene una quota (partecipazione non strategica, peraltro) che avrà il suo peso nella sfida sul controllo delle Generali. In questo caso, pare, il tycoon sta con Alberto Nagel.

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