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Populismo, ignoranza e dirigismo: la grossolana mossa del Governo sulle banche nasce da qui

Chi decide che un profitto va considerato extra? I guasti della sorprendente sovratassa sulle banche va molto al di là delle reazioni di Borsa e mina la credibilità dell’intero sistema finanziario e del Paese stesso

Populismo, ignoranza e dirigismo: la grossolana mossa del Governo sulle banche nasce da qui

Se nel nostro ordinamento il profitto è (ancora) lecito, quand’è che diventa “extra”? E chi lo decide? Secondo quale ratio? Le domande suggerite dal fulmine a ciel sereno della sovrimposta sugli utili delle banche sono tanti e tutti con un peso che va ben al dilà dei pur pesanti effetti che ha provocato sul mercato finanziario. Oltre a queste domande, sulle quali ora ci addentreremo, ce n’è poi una, preliminare a tutte, ma che lasciamo all’analisi di chi nella materia è più ferrato di noi: è costituzionale un onere imposto retroattivamente sui profitti di una attività economica svolta in regime di libero mercato, per di più principalmente da aziende quotate in borsa la cui proprietà è disseminata direttamente o indirettamente nelle migliaia e migliaia di risparmiatori italiani e non?

I guadagni delle banche dall’aumento dei tassi di interesse dopo anni di forti perdite

Ma andiamo con ordine: che le banche hanno conseguito fior di profitti in seguito all’aumento dei tassi di interesse determinato dalla Bce come cardine della doverosa politica antinflazionista è cosa sotto gli occhi di tutti. Ma era sotto gli occhi di tutti – per dire – anche la forte perdita di profittabilità che le banche subirono negli anni del denaro facile con i tassi a zero o addirittura negativi. Come per tutte le attività economiche esercitate in regime di libero mercato, ci sono periodi di vacche grasse e periodi di vacche magre; così va il mondo nei regimi che sono o dovrebbero essere di libero mercato e, quindi, tenuti in equilibrio da prezzi determinati dall’incontro tra una libera domanda ed una libera offerta. I servizi bancari non sfuggono a questa regola assolutamente fondamentale per garantire la certezza delle condizioni nelle quali vengono decise le iniziative imprenditoriali come quelle di allocazione del risparmio.

Migliaia di risparmiatori hanno investito nelle azioni delle banche

Ecco perché fulmini a ciel sereno come questa sovrattassa determinano guasti che vanno molto al dilà della oggettiva reazione del mercato per coinvolgere la credibilità dei fattori sulla base dei quali vengono decise le iniziative produttive e l’impiego del risparmio. Non so se ci si rende conto che le migliaia e migliaia di risparmiatori che avevano investito nelle azioni delle banche avendo visto correttamente la convenienza di quell’impiego, prospettata dal recupero delle quotazioni rispetto al tempo delle vacche magre, ora vengono defraudate da buona parte del frutto del loro investimento, con conseguenze sistemiche che chiunque appena appena avveduto può valutare da se.

Il divario tra tassi attivi e passivi

È vero, come si è detto, che i tassi passivi non hanno seguito, se non in piccola parte, il notevole rialzo dei tassi attivi, ma prima di intervenire sarebbe stato opportuno che i nostri ineffabili Robin Hood al governo si fossero chiesti perché questo divario ha potuto formarsi. In altre parole: perché le banche hanno potuto mantenere compressi i primi mentre si allargava la forbice con i secondi? In parte la risposta l’abbiamo già data ricordando che c’era un recupero di redditività da conseguire rispetto agli anni dei tassi quasi nulli. Ma in parte la praticabilità di questa tattica è stata certamente favorita dal ruolo ancora modesto che nell’offerta dei servizi bancari svolge, o dovrebbe svolgere, la concorrenza. Ci sono ragioni storiche evidentemente molto radicate per cui il cliente medio di una banca ne accetta le condizioni supinamente senza discuterle, senza confrontarle, e conseguentemente senza attivarsi per individuare le più convenienti che il mercato può offrire. Il grado di fidelizzazione del cliente bancario tipo è più elevato che in ogni altro settore, al punto che hanno riscosso scarsa evidenza e scarso esito le banche – poche, ma ci sono state – che i tassi sulla raccolta hanno cominciato ad alzarli. Tra queste ragioni c’è anche la diffusa concezione che il conto corrente sia un impiego del risparmio e non, più correttamente, un servizio di cassa, con la conseguenza, che dovrebbe essere implicita, che se è giusto attendersi che l’impiego renda, è altrettanto giusto che il servizio vada remunerato.

Misura grossolana generata dal populismo

In definitiva, se storture ci sono, sono storture di origine culturale che certo non si curano con misure estemporanee che intervengono nella direzione opposta a quella che sarebbe necessaria per stabilire fiducia e certezza nelle condizioni nelle quali sarebbe bene che possano operare banchieri, imprenditori, risparmiatori ed ogni comune cittadino che, magari a sua insaputa, è sempre e comunque anche un operatore economico. Al dilà delle sue conseguenze pratiche, questa sovrattassa sul frutto dell’intermediazione del denaro è una misura grossolana dettata da un populismo non nuovo che nasce da una cultura che considera escremento del diavolo tutto quanto attiene al denaro (in primis, quindi, gli utili delle banche) e dall’ignoranza del senso profondo che provvedimenti legislativi come questo possono avere dietro la loro formulazione letterale.

Se dovessimo ipotizzarne l’effetto operativo, infatti, il risultato non sarà quello di ristabilire un rapporto ritenuto corretto tra tassi attivi e tassi passivi, ma presumibilmente le banche saranno indotte a mantenere i tassi passivi molto bassi per determinare un margine che, oltre ad assicurare la redditività prevista dai piani industriali, consenta anche di pagare questo nuovo ed estemporaneo balzello. Il rischio che questa tassa non penalizzi tanto le banche, ma soprattutto chi nelle banche deposita il proprio risparmio, è quindi tutt’altro che remoto. Con buona pace dell’ “equità sociale” sbandierata dal ministro Salvini! Il governatore della Banca d’Italia di un passato non troppo lontano amava ripetere che le banche sono, si, imprese volte al profitto, ma non sono imprese come le altre perché il passivo del loro stato patrimoniale è il denaro delle imprese e dei cittadini. Vallo a far capire a chi ha messo la firma su questo decreto frutto di una deleteria miscela di approssimazione, di incultura e di inclinazioni dirigiste.

1 thoughts on “Populismo, ignoranza e dirigismo: la grossolana mossa del Governo sulle banche nasce da qui

  1. Non mi sembra vi siate stracciati le vesti quando hanno fatto retroattivamente la stessa cosa con il superbonus lasciando in braghe di tela migliaia di cittadini.. Meglio tardi che mai!

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