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Pizza Fritta, la Masardona porta a Roma i sapori napoletani di un tempo

La pizza fritta, cibo dei poveri del dopoguerra napoletano, entrato anche nel film de l’Oro di Napoli con una indimenticabile pizzaiola di strada nei quartieri spagnoli come Sophia Loren, sbarca a Roma con la Masardona. A guidarla Cristiano Piccirillo, quarta generazione della famosa famiglia di pizzaioli.

Pizza Fritta, la Masardona porta a Roma i sapori napoletani di un tempo

Dire Masardona a Napoli, e toccare il cuore della più autentica tradizione dei bassi e dei quartieri spagnoli, è tutt’uno. Dietro questo nome accattivante, che ha un ché di familiare, si cela una gustosa testimonianza della inventiva gastronomica napoletana, una pizza fritta, invece che cotta al forno, e farcita con fantasia. Le sue origini non sono remote nel tempo.

Dobbiamo risalire alle ristrettezze economiche dell’ultima guerra, quando il popolo dei bassi (umili abitazioni ricavate dai locali al piano terra che avevano solo la porta come rapporto con l’esterno, dove vivevano perfino numerosi nuclei familiari) si ingegnò per sbarcare il lunario. La legna costava cara, i forni per il pane e la pizza lavoravano al lumicino. Ma chi aveva la campagna, l’olio se lo poteva procurare e così le popolane non si persero d’animo: misero un banchetto sulla strada davanti all’ingresso della casa-basso e si misero a vendere un cibo umile ma saporito, le pizze fritte in casa, servite fumanti davanti al portone.

Con una regola d’onore, che oggi possiamo considerare un misto di solidarietà sociale (che a Napoli non manca mai) e lungimiranza piccolo-imprenditoriale: chi aveva fame e non poteva permettersi di acquistarla, la prendeva a credito nel senso che avrebbe potuto pagarla dopo otto giorni. Nacque così la pizza “a ogge a otto”.

Un cibo umile ma che ha avuto l’onore di essere immortalato nel film “L’oro di Napoli” di Vittorio De Sica, del 1954, dove una splendente e audace Sophia Loren gestisce con il marito Rosario una pizzeria da asporto nel rione Materdei. Lei bella e formosa ha una tresca con un giovane amante e da lui lascia l’anello. Verità inconfessabile al marito gelosissimo, non resta che affermare che sia finito in una delle tante pizze che la procace pizzaiola serve sull’uscio di casa agli abitanti del quartiere. Finché  l’amante lo riporta alla donna fingendo di averlo trovato in una pizza. L’onore, si fa per dire, è salvo. I sospetti restano.

Sono passati da allora molti anni, ma la pizza fritta è rimasta fortemente radicata nel costume napoletano. A Napoli, così come avviene per la pizza tradizionale, i più grandi pizzaioli della città in tutti i quartieri e anche in provincia, si cimentano nella sua preparazione vantando i meriti in eguagliabili del proprio prodotto.

Ma ora per i romani che vogliono mangiare la pizza fritta autentica non c’è più bisogno di spostarsi fino a Napoli perché in Piazza dell’Oro fra Via Giulia e via Acciaioli, siamo nel cuore della Roma papalina, ha aperto “La Masardona” erede in tutti i sensi della storica Masardona Napoletana, a pochi passi dalla stazione Garibaldi, tempio storico di questa specialità napoletana, dove la famiglia Piccirillo impera da quattro generazioni e dove dal 1945 sono state fritte migliaia e migliaia di pizze di tutti i sapori.

A dirigere la Masardona di Roma è venuto, infatti, Cristiano Piccirillo, ultimo rampollo di questa generazione di pizzaioli mentre il padre Enzo è rimasto a presidiare la sede storica di Via Giulio Cesare Capaccio e quella più moderna ed elegante di Piazza Vittoria a riviera di Chiaia.

Ed è Cristiano a spiegare la verità storica del termine Masardona: “Era il soprannome di Anna Manfredi la mia bisnonna. Nel secondo dopoguerra per guadagnare qualche soldo cucinava la pizza fritta sotto casa, così come faceva Sofia Loren nel film “L’Oro di Napoli”. Il soprannome risale però a molto prima, quando nonna Anna, da bambina, era stata incaricata da una persona di portare una ‘mbasciata riservata a una signora del quartiere, cosa che aveva fatto con molta precisione e puntualità”.

E fu così che le affibbiarono il soprannome di Masardona mutuandolo dai Masardoni, ovvero i messaggeri che al tempo dei briganti riportavano comunicazioni segrete dall’interno delle mura della città verso l’esterno”.

Sophia Loren venditrice di pizze in strada ne L'Oro di Napoli
Sophia Loren venditrice di pizze in strada ne L’Oro di Napoli

“Durante la guerra diverse massaie – ricorda Cristiano Piccirillo – si misero a vendere pizze a turno una volta a settimana, in modo che non si creasse concorrenza con le altre donne del quartiere, quello di mia nonna era la domenica. All’epoca si utilizzavano i mezzi che si riuscivano a reperire facilmente, si impastava a mano nella madia di legno (‘a martora), si acquistava la farina al forno, si utilizzava un solo bruciatore per friggere in questo grosso pentolone ed era un lavoro tutto al femminile.

Si realizzavano circa settanta – ottanta pizze alla volta, che venivano poi vendute a domicilio dagli amici del vicinato, in particolare da una “commara” (ai tempi, quando qualcuno faceva da padrino o da madrina ad uno dei figli, così veniva chiamato in dialetto, erano come parenti) che andava in giro per il quartiere, cercando di spingersi anche un po’ oltre confine, e a gran voce gridava “Brioche!” per richiamare i clienti, che si facevano mettere le pizze nel paniere.

Poi c’erano i clienti abituali, quelli che di prima mattina venivano a fare colazione con la pizza fritta dopo aver lavorato di notte al mercato o in ospedale. Perché la mia bisnonna si fece conoscere in città per la bontà della sua pizza e noi non abbiano fatto altro che raccogliere questa eredità facendola conoscere in Italia e all’estero”.

L’impasto è lo stesso della pizza “classica”: acqua, sale, farina e lievito. Può essere imbottita a piacere. Originariamente veniva riempita di ricotta e cicoli, pezzetti di grasso di maiale cotti a lungo dopo aver ricavato lo strutto e basilico, gli ingredienti più poveri che c’erano a portata di mano nelle campagne, con una spolverata di pepe a dargli sapore, quindi piegata a mezzaluna e messa a friggere in abbondante olio. Il risultato? Una delizia di sapore fra il croccante della pizza e i profumi del ripieno che si sciolgono all’interno durante la frittura.

Poi col tempo sono venute quelle più elaborate, con provola, pepe e basilico, con la scarola e olive, E troviamo le altre declinazioni quella con salsiccia e friarielli, quella alla scarola e quella con ricotta e salame, con melanzane, provola e pecorino romano, ricoperta di ragù napoletano, la Palummiello con polpo verace, insalate e olive e la Ciurillo con fiori di zucca, ricotta, salame e provola.

Nel menù de la Masardona sono presenti altri classici napoletani, come la montanara con pomodoro e basilico uno street food napoletano d’eccellenza il cui nome non deve trarre in inganno per una città di mare, è stata chiamata così perché era il cibo povero dei contadini che scendevano dalle montagne per lavorare a Napoli o nelle campagne.

enzo e cristiano piccirillo  due generazioni chef de La Masardona

L’impronta della Masardona romana è tutta opera di Cristiano Piccirillo, Laurea in Lingua e Letteratura moderne, solo per soddisfazione personale e della famiglia, esperienze in Spagna, una solida preparazione culinaria presso il favoloso Nino Di Costanzo, due stelle Michelin del ristorante Danì Maison di Ischia, ma in realtà un unico solo eterno amore nella sua vita: la Pizzeria.

A Napoli lo trovavi da ragazzo nel locale di Via Giulio Cesare Capaccio di primo mattino e vi rimaneva tutta la giornata sempre con il suo radioso sorriso stampato in volto che testimoniava la passione per questo mestiere che lui vuole rivalutare.

“Il lavoro del pizzaiolo è sempre stato visto come un lavoro di secondo ordine. Ricordo ancora quando a scuola c’era chi voleva diventare medico, chi ingegnere, pompiere o chi voleva fare l’astronauta mentre io sognavo di diventare come mio papà. Ricordo quando al liceo spiegavo ai miei amici che il sabato non potevo uscire con loro perché dovevo lavorare in pizzeria, così come quella volta che all’università la professoressa mi chiese cosa avrei voluto fare da grande ed il perché di quella laurea in lingue ed io sorridendo le risposi: “Voglio semplicemente continuare il mio lavoro: il pizzaiolo”.

Pizzaiolo dunque ma di livello. Intanto la prima novità per la storia della famiglia Piccirillo è costituito dal fatto per la prima volta fa la comparsa in un locale di famiglia un gran de forno a legna che sfornerà le classiche pizze napoletane in aggiunta a quelle fritte e poi ci saranno ancora le altre specialità della tradizione napoletana, crocche’, la frittatina di pasta.

Fra le pizze una ha un valore speciale è la San Vincenzo, farcita con ricotta di pecora, provola fresca affumicata, cicoli, pepe e basilico, un atto d’amore e di riconoscenza di Cristiano verso il padre Enzo al quale è molto legato. Inutile dire che i prodotti usati sono tutti garantiti made in Naples come la farina Caputo dal 1945, le mozzarelle di bufala, le provole, i fior di latte i salumi..

E già che parliamo di livello anche il contesto per Cristiano è stata una scelta mirata.

La pizza e tutte le specialità qui vengono proposte sono ambientate in un contesto artistico adeguato alla storia che si portano dietro. E così specialità di umili origini contadine vengono presentate su Piatti d’autore firmati da Antonio Nocera, pittore e scultore napoletano quotato sulle piazze, tutto il mondo; e attorno figurano opere di Mark Kostabi, pittore e compositore statunitense, autore delle celebri figure senza volto, senza tempo ispirate ai quadri di Chirico, conosciuto tra l’altro per molte copertine musicali che hanno fatto la storia. mentre diverse statuette sono firmate da Marco Ferrigno, artista storico e maestro presepiale di San Gregorio Armeno.

In breve la pizza qui è d’autore come le opere d’arte sparse per l’ampio locale a due passi da Castel Sant’Angelo.

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