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Petrolio, arriva Biden ma il mercato guarda all’Opec

I prezzi dell’oil risalgono nonostante l’impronta verde del nuovo presidente Usa e fanno da traino alla old economy. Come mai? Ecco su cosa scommette il mercato ma attenzione al rischio

Petrolio, arriva Biden ma il mercato guarda all’Opec

Non è che gli analisti abbiano sbagliato di nuovo? Tutte le previsioni che hanno preceduto il voto Usa davano per scontato che l’industria del petrolio fosse schierata dalla parte di Trump. Non a caso gli ultimi provvedimenti del presidente uscente riguardano il tentativo di vanificare la legge della California sulle emissioni, fortemente negativa per i motori a combustione ed il via libera a nuovi oleodotti che la nuova amministrazione si accinge a bocciare come ha già anticipato John Kerry, prossimo zar dell’ambiente per la Casa Bianca.

Tempi amari per l’oil, dunque. O no? L’affermazione di Joe Biden, infatti, ha coinciso con la formidabile ripresa del greggio assieme alle quotazioni del settore petrolifero e di quello, non meno malandato degli oil equipment, per tradizione il settore più legato ai capricci del business più vicino alla politica. Ma stavolta la sconfitta dei petrolieri ha messo le ali ai titoli più coinvolti. Esemplare il caso di Vallourec, Il concorrente francese dell’italiana Tenaris (attiva soprattutto in Sud America, tra Messico ed Argentina) ha messo a segno uno strabiliante +165% dalla fine di ottobre, allungando in passo nell’ultima settimana (+20% martedì).  Brillante, del resto, anche il comportamento della controllata della famiglia Rocca oggi +0,9% dopo il balzo di ieri (+8,9%, miglior titolo di giornata). Sugli scudi anche Saipem, dopo una lunga eclisse in Piazza Affari, solo in parte mitigata dalla diversificazione del fatturato voluta da Cao per ridurre il danno.

 Il clima, del resto, non è certo più brillante se si guarda alle majors del petrolio. ExxonMobil, in particolare, ha subito l’onta dell’esclusione dal Dow Jones, l’indice dominato per decenni dal gigante di Houston. Ma il segno più clamoroso dei tempi è stata la notizia che Aramco, lo scrigno del petrolio saudita, ha dovuto emettere un’obbligazione per poter distribuire il dividendo agli azionisti, compreso il principe Mohammed Bin Salman che si è messo in affari con Israele (vedi visita di Netanyahu) per compensare i minori introiti oil. Un disastro, almeno finché l’incertezza sulle elezioni Usa, combinata con la pandemia, ha duramente punito il greggio. Ma dopo l’esito delle urne (anche oggi contestato dal tycoon) il clima è cambiato all’improvviso. Mercoledì mattina, 25 novembre, il Brent sale oltre la barriera di 48 dollari, consolidando il recupero della vigilia (+3,8%). E tra i trader si fa strada l’idea che l’oro nero possa risalire fino ai prezzi precedenti la pandemia, oltre l’asticella dei 70 dollari, trascinando al rialzo i settori più legati ai consumi del greggio, dall’auto ai viaggi. Non è che la tutela dell’ambiente abbia perso appeal, ma la chiusura delle pompe, combinata con il lockdown, è stata davvero drastica. Forse troppo, hanno pensato gli operatori che confidano nell’effetto FOMO (che sta per Fear of missing out, ovvero la paura di perder l’occasione). Di qui la decisione di approfittare del calo momentaneo dei prezzi per sfruttare il rimbalzo che potrebbe coincidere con le decisioni della riunione dell’Opec + del 30 novembre. Il cartello  potrebbe decidere di estendere gli attuali tagli di 3-6 mesi, in attesa che il mercato della domanda torni alla normalità dopo i vari lockdown. Oppure, vista la ripresa della domanda, ridurre i tagli da 7,7 milioni di barili al giorno (bpd) a circa 5,5 milioni di barili a partire da gennaio così garantendo ai ritardatari di sfruttare gli scampoli del formidabile rimbalzo dei prezzi delle commodities e delle majors. Ma attenzione: in epoca di smartworking (in Occidente i consumi di carburante, aerei compresi, sono scesi del 10 per cento) puntare sul greggio è comunque un azzardo. 

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