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Per fortuna c’è il Quarto capitalismo delle medie imprese che restano le più solide e più dinamiche

Le medie imprese manifatturiere restano, malgrado le difficoltà della crisi, il segmento più dinamico e più solido del sistema industriale italiano: secondo l’indagine 2012 di Mediobanca-Unioncamere vincono nettamente il confronto sia con le grandi che con le piccole aziende – Continuano a investire e ad assumere ma il fisco e il credito le penalizzano

Per fortuna c’è il Quarto capitalismo delle medie imprese che restano le più solide e più dinamiche

Meno male che c’è il Quarto capitalismo delle medie imprese industriali: anche in tempi di crisi si conferma la parte più solida e più dinamica del sistema imprenditoriale italiano. Quando dodici anni fa Fulvio Coltorti, lo storico direttore dell’ufficio studi di Mediobanca, lanciò con l’Unioncamere una linea di ricerca inedita sulle medie imprese pochi avrebbero scommesso sulle potenzialità delle aziende intermedie, nè troppo grandi nè troppo piccole ma con un fatturato annuo compreso tra i 15 e i 330 milioni di euro e un numero di dipendenti che va dalle 50 alle 499 unità. La dodicesima indagine, che è stata presentata ieri a Milano, conferma che, anche in tempi di crisi acuta, le medie imprese soffrono ma reggono meglio delle grandi e delle piccole aziende. Molte di esse continuano ad investire e addirittura ad assumere e soprattutto restano il volano dell’export, l’unica leva in grado di attenuare i rigori della recessione e di lasciare aperta la porta della speranza della ripresa sul finire dlel’anno possimo.

I numeri della dodicesima indagine di Mediobanca e Unioncamere sulle medie imprese parlano chiaro. Anche nel difficilissimo 2012 il 38% delle medie imprese manifatturiere italiane prevede un aumento del fatturato (certo la crisi morde: nel 2011 quelle che l’hanno aumentato a consuntivo erano il 50,2%, una su due) e il 32% prevede un aumento della produzione (nel 2011 era stato il 39,7%). Elevatissima resta, in ogni caso, la propensione all’export: il 90% delle medie imprese sono esportatrici e le vendite all’estero restano determinanti per il risultato di bilancio. Gli investimenti si concentrano in macchinari e in apparecchiature e servizi informatici e proseguono malgrado la crisi, così come un nucleo rilevante di medie imprese segnala che tra il 2012 e il 2012 la base occupazionale si sta ampliando: in sostanza le medie imprese continuano ad assumere. Malgrado le difficoltà del credito e un fisco penalizzante.

Tutti parametri di riferimento – da quelli economici a quelli patrimoniali – dicono che le medie imprese seguitano a vincere il confronto sia con le grandi che con le piccole aziende del Paese. Siamo, in sostanza, di fronte a una delle più belle realtà imprenditoriali. Il che non manca di sollevare tuttavia qualche riflessione e qualche interrogativo.

Il primo problema è questo: le medie imprese manifatturiere calcolate secondo i criteri di Mediobanca-Unioncamere sono circa 4mila: troppo poche, soprattutto se si considera che sono per lo più dislocate nel Nord e che al Sud sono quasi inesistenti. Dunque il contributo che il Quarto capitalismo puà dare all’economia italiana è positivo ma troppo limitato. Purtroppo non bastano le multinazionali tascabili a portarci fuori dalla recessione e a rilanciare la crescita. Bisogna gettare le basi perchè il Quarto capitalismo sia molto più diffuso. Ma non solo.

Seconda questione in Italia non c’è mai stato un problema di natalità imprenditoriale. Anche in tempi di crisi da noi di imprese ne nascono fin troppo, anche se molte non sono altro che partite Iva. Il problema vero è la loro crescita perchè, pur operando in nicchie di mercato, senza un’adeguata solidità patrimoniale e una relativa forza dimensionale le imprse non possono cogliere tutte le opportunità, soprattutto sul piano dell’innovazione e dell’internazionalizzazione. Quindi il problema più urgente è facilitare la crescita da piccole a medie imprese senza snaturarle. Senza dimenticare che non tutte le medie imprese potranno diventare grandi e che in molti casi è la media dimensione è un punto d’arrivo e non una tappa, ma che un maggior numero di grandi imprese servirebbero eccome al nostro Paese, pur considerando che i campi in cui siamo forti – il made in Italy dei prodotti per la casa e per la persona, la’limentare e soprattutto la meccanica – non sono caratterizzati dalla prevalenza di grandi imprese.

Terza questione: non scordare mai i paradossi della dimensione, intravisti già dodici anni fa da Coltort e confermati dalla recente indagine. La dimensione non è sempre determinante e in molti casi e in certi mercati la crescita può essere addirittura rovinosa. “Nel decennio 2000-2009 – dice l’indagine Mediobanca-Unioncamere – 620 imprese sono divenute grandi, ma ciò ha comportato per le stesse aziende un aumento dei casi di default”. Insomma crescere sì, ma il giusto, senza scordare la particolarità del mercato e delle sue nicchie dove molte medie imprese sono leader nel mondo. In altre parole: quel che conta non è la dimensione assoluta di un’impresa ma quella relativa, cioè quella connessa al suo particolare mercato di riferimento.

Ancora una volta tutti gli imprenditori, tutti gli economisti ma soprattitto tutti gli uomini di governo dovrebbero leggere le pagine dell’indagine di Mediobanca e dell’Unioncamere: ne ricaverebbero un’immagine e una conoscenza della verà realtà delle medie imprese per quella che è e forse suggerimenti e proposte di politica industriale meno vaghi e meno banali di quelli ricorrenti.

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