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Pavanetto (Associazione Azionisti Veneto Banca): “Il futuro delle banche è digitale”

INTERVISTA A EMANUELE PAVANETTO, imprenditore e consigliere dell’Associazione Azionisti Veneto Banca – Gli italiani utilizzano poco il web per l’acquisto di beni e servizi e le banche investono ancora poco nelle tecnologie digitali ma il futuro è lì – Le cause dell’arretratezza italiana nel web e il modo di superarle in campo bancario

Pavanetto (Associazione Azionisti Veneto Banca): “Il futuro delle banche è digitale”

Emanuele Pavanetto (giovane imprenditore veneto, laureatosi all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Economia e Commercio con indirizzo “economia e legislazione per le imprese” e studioso delle nuove tecnologie applicate al settore bancario nonchè consigliere dell’Associazione Azionisti Veneto Banca), è convinto che il futuro delle banche sia sempre più digitale e che Internet influenzerà la nuova era della finanza. Ecco come lo spiega a FIRSTonline.

Dottor Pavanetto, dalla sua esperienza di imprenditore e azionista di Veneto banca, che idea si è fatto del futuro del sistema bancario in Italia?

“Le banche, dopo aver cambiato veste giuridica come stanno facendo le Popolari, dovranno cambiare anche i propri connotati per proiettarsi nel nuovo mondo digitale. Lo richiede il mercato ma ancor prima ne va della sopravvivenza delle stesse. Un recente studio di McKinsey in collaborazione con Google Italia fatto sulle maggiori banche dei 5 paesi europei più importanti dell’Unione Europea (Italia, Germania, Spagna, Francia e Uk), ha rivelato lo stato di arretratezza del nostro sistema, ne ha spiegato le sue cause, ma anche le possibili soluzioni da intraprendere per modernizzarle e condurle in un nuovo sicuro sentiero di crescita; nonché concorrere alla pari con altri soggetti non bancari che si stanno affacciando prepotentemente nel mercato un tempo esclusivamente bancario”.

Quanto vengono oggi utilizzati gli strumenti online da parte di un cliente medio di una banca?

“Gli italiani utilizzano poco il web per l’acquisto di beni e servizi, un terzo in meno degli altri Paesi, ma si affidano molto nella fase di decisione, il 30% degli acquisti in filiale avviene perché influenzato o generato dal web, gli italiani si dicono ROPO, (research on line, purchase off line), un esempio è il mercato dei mutui e dei prestiti. Il mercato italiano, del settore bancario, e’ composto principalmente da soggetti che appartengono al segmento dei “digital as-add-on” ovvero coloro che preferiscono recarsi allo sportello e usano internet solo per una ricerca di base. Questo è anche il segmento di mercato meno profittevole.

Al suo estremo si trova il segmento dei nativi digitali, i futuri clienti e quelli che genereranno più profitti. In Italia sono il 12% contro il 10% degli altri paesi. Questi devono essere coltivati fin d’ora perché sono coloro che ancora non lavorano, sono a scuola o ci andranno, quindi entreranno tra un po’ nel mondo del lavoro ed inizieranno ad usare i prodotti bancari. Nel mezzo si trovano le categorie dei digitali: per convenienza, per scelta e per opportunità, dispongono di un reddito più alto e sono propensi all’acquisto via internet, in Italia sono il 33% contro il 43% dell media dei 5-EU”.

Secondo lei perchè in Italia vi è ancora una certa diffidenza ad usare questi strumenti?

“Le ragioni di questa arretratezza sono: a) gli italiani si fidano poco dell’acquisto on line, b) la maggior diffusione di filiali sul territorio, 521 per milione di abitanti rispetto alle 383 della media; c) un cattivo sviluppo del canale web, il quale è pensato come supporto al canale tradizionale; d) i servizi offerti sono pochi e poco evoluti; e) l’acquisto on line e’ meno conveniente; e) i siti sono poco usufruibili in quanto  più difficili da trovare e poco intuitivi, in media sono 2,5 volte più lenti; f) gli investimenti sono scarsi.

Il post-vendita e’ trascurato sia delle banche ma ancor di po’ dai siti istituzionali i quali dovrebbero dare un supporto “terzo”. È’ molto alta la frequentazione di blogs, forum e social-network,  circa il 60% delle persone condividono pareri attraverso i canali digitali nella fase di scelta”.

Secondo lei quale potrebbe essere il futuro?

“Il settore necessita di nuovi investimenti, le banche italiane investono solo 1/10 di quelle europee. Il salto di qualità si avrà quando tutti i canali saranno integrati, web, app, call-center, filiale. Il cliente indipendentemente dal canale utilizzato dovrà sentirsi al centro, l’architetto dell’informazione che vuole ricevere e nel momento in cui vorrà riceverla. Il suo profilo continuamente aggiornato gli permetterà di non sentire alcuna differenza tra i diversi canali  e percepirà la banca come un tutt’uno.

Tutto questo non è un mero esercizio di stile e di restyling in quanto gli effetti sono straordinari. Le banche che più hanno investito nel digitale hanno aumentato la loro performance commerciale, più 50% rispetto alle tradizionali, inoltre migliora il cross-selling; le performance di borsa migliorano, il price-to-book ratios passano da 0,9 a 1,5 e gli earnings ratios da 22,8 a 29,4, oltre ad abbassare il cost-income.

Gli investimenti e lo sviluppo in questo mercato sono necessari anche per affrontare la concorrenza delle aziende hi-tech che stanno cercando di imporsi nel mercato, ora, per esempio, dei pagamenti e delle assicurazioni, domani sicuramente qualcos’altro. La trasformazione e’ più semplice di quanto possa sembrare in quanto idee e strumenti sono già presenti nel mercato, europeo o italiano”.

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