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Patto di stabilità: meglio nuove regole oggi che più rigore domani. E’ l’opinione di Messori e Buti

Senza l’adozione delle nuove regole fiscali il paracadute europeo verrebbe meno e la pressione dei mercati finanziari obbligherebbe il governo italiano ad adottare politiche fiscali nazionali ancora più stringenti

Patto di stabilità: meglio nuove regole oggi che più rigore domani. E’ l’opinione di Messori e Buti

Nella discussione in Italia circa il prolungamento dell’attuale ‘Patto di stabilità e crescita’ (Psc) oppure passare all’adozione delle nuove regole fiscali entro l’anno, c’è qualcosa di “non detto”.
In linea teorica sarebbe anche possibile prolungare anche per il 2024 la clausola di sospensione del Psc avviata nel marzo 2020 per aiutare i paesi colpiti dall’emergenza pandemica e in scadenza a fine anno: ma le conseguenze della non adozione delle nuove regole fiscali sarebbero deleterie per l’Italia che rischierebbe di cadere dalla padella alla brace per almeno tre motivi: politico, istituzionale ed economico.
E’ l’analisi degli economisti Marco Buti e Marcello Messori sul Sole24ore.

Il percorso a ostacoli delle nuove regole fiscali

L’obiettivo di approvare le nuove regole fiscali entro la fine del 2023 è, secondo i due economisti “realistico e necessario”. La definizione di tali regole fiscali (presentate dalla Commissione Ue nell’aprile scorso) prima delle elezioni europee di giugno 2024 è indispensabile per fare sì che la loro operatività parta da inizio 2025 e per definire accordi transitori a esse conformi per il 2024. Non mancano difficoltà per arrivare a questo risultato: prima di tutto il quadro normativo proposto dalla Commissione dovrà essere avallato dal Consiglio europeo e votato dal Consiglio Ue. Ma lo scoglio maggiore potrebbe essere il varo di una sua componente essenziale, ossia il regolamento che stabilisce le regole per la riduzione degli alti debiti pubblici, che dovrà essere poi adottato con una decisione dell’intero Parlamento europeo.

Posticipare l’adozione delle nuove regole fiscali potrebbe rivelarsi un boomerang

Ed ecco il cuore della questione evidenziata dai due economisti: in teoria non sarebbe drammatico rimandare l’approvazione delle nuove regole a dopo le elezioni europee, con la speranza di ottenere un risultato più vicino alle preferenze dei governi nazionali. Nel caso dell’Italia, si tratterebbe di scomputare alcune spese di investimento dal deficit pubblico, dicono Buti e Messori. Ma “pensiamo che sia un calcolo avventato. Lo stesso governo italiano sostiene, a ragione, che una tale riattivazione avrebbe effetti negativi per la gestione dei bilanci pubblici. Noi aggiungiamo che, a prescindere dalla sua fattibilità, anche il semplice prolungamento della sospensione del Psc avrebbe impatti deleteri per almeno tre motivi” e gli economisti individuano tre filoni: economico, istituzionale e politico.

Il profilo economico: in balia degli investitori finanziari internazionali

Sotto il profilo economico la valutazione di sostenibilità degli squilibri nei bilanci pubblici dei paesi Ue più fragili come l’Italia “non si fonderebbe più sull’implicita rete di sicurezza garantita dalla Ue” sottolineano gli economisti, “ma sarebbe dominata dalle scelte degli investitori finanziari internazionali”.

Inoltre, senza regole fiscali condivise (come ha spesso sostenuto anche la presidente della Bce Christine Lagarde) gli assetti della Ue sarebbero più fragili in caso di shock esogeni o di tensioni finanziarie. Di conseguenza, il paracadute europeo verrebbe meno e la pressione dei mercati finanziari obbligherebbe il governo italiano ad adottare politiche fiscali nazionali più stringenti rispetto a quelle praticabili in presenza di nuove regole fiscali. In un paese come l’Italia dunque, l’eventuale prolungamento della clausola di sospensione del Patto di stabilità e crescita “porterebbe malefici anziché benefici”.

Dopo le elezioni europee del 2024, c’è il rischio infatti che i vari governi nazionali si accordino per ripristinare il vecchio Patto o per varare nuove regole fiscali molto simili alle vecchie.
L’Italia, già segnata dalle difficoltà di realizzare il proprio Pnrr, di procedere a faticosi aggiustamenti di bilancio e di collocarsi su sostenibili sentieri di crescita, “rischierebbe di essere la vittima sacrificale di un simile accordo”.

Il profilo politico: l’eventuale maggiore pressione dei governi più rigoristi

Sotto il profilo politico, vi è un’alta probabilità che dalle elezioni del prossimo giugno si rafforzerà il blocco dei governi fiscalmente rigoristi che avranno quindi ulteriori spazi di pressione sulla nuova Commissione per imporre vincoli fiscali centrali più stringenti rispetto ai percorsi nazionali di aggiustamento previsti dalle nuove regole.

Il profilo istituzionale: rischio di subire regole fiscali più drastiche

Sotto il profilo istituzionale, l’indebolimento della propensione solidaristica fra paesi della Ue,
ha irrigidito la posizione di quegli Stati membri che criticano le nuove regole fiscali, proposte dalla Commissione, perché non sufficientemente rigorose. Cercando di prolungare la sospensione del vecchio Psc, il rischio è di fornire nuovi argomenti a favore di quella posizione. La conseguenza paradossale sarebbe di pagare tale ulteriore sospensione con un accresciuto rischio di subire uno stabile ripristino di regole fiscali simili a quelle esistenti se non più drastiche.

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