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Oscar 1973 a Marlon Brando per “Il padrino”: quando non è mai troppo tardi per dire mi dispiace

Nel 1973 Marlon Brando vinse l’Oscar per il film Il padrino ma lo rifiutò per difendere gli indiani d’America. Ecco cosa successe e le scuse postume dell’Academy

Oscar 1973 a Marlon Brando per “Il padrino”: quando non è mai troppo tardi per dire mi dispiace

Oltre l’atto estremo di Canossa, la storia, fortunatamente, offre molti casi di «mi/ci dispiace». Senza andare troppo indietro come non ricordare quello della regina Elisabetta II al popolo irlandese in impeccabile lingua celtica e con la dimessa solennità della quale questa persona era così capace.

Il midispiaciutismo

Belli, anche se tardivi seppur sinceri, il «ci dispiace» dei bianchi australiani e neozelandesi ai popoli indigeni che sono stati prevaricati e oppressi nell’errata e opportunistica convinzione di civilizzarli sotto la bandiera del progresso.

Altamente significativo anche il mea culpa e il pellegrinaggio di penitenza di Papa Francesco in Canada per gli abusi della chiesa cattolica nei confronti dei bambini nativi di quel grande paese.

Il “povero” Presidente della Repubblica federale tedesca, Steinmeier, ha messo in fila una impressionante sequela di «ci dispiace» durante il suo mandato. Per ultimo quello ai parenti degli atleti israeliani morti a Monaco nel 1972 anche a causa, ma non certo la sola, della dabbenaggine della polizia tedesca. C’è da capirlo, sul senso di colpa si è un po’ fondata la nazione che presiede.

C’è molto midispiaciutismo in giro anche dove non ci sarebbe da aspettarselo. Per esempio uno, piuttosto inatteso, è giunto dalla Academy of Motion Picture Arts and Sciences (che assegna gli Oscar), una istituzione molto assertiva che ha anche l’ambizione, un po’ superba, di interpretare i tempi che corrono e premiare le opere che li riflettono.

Ed è proprio del tardivo e inatteso, ma doveroso, «ci dispiace» dell’istituzione hollywodiana nei confronti di Sacheen Littlefeather, che vi vorremmo parlare.

Accadde nel 1973 a Hollywood

L’attivista e attrice apache, presidente all’epoca del National Native American Affirmative Committee, fu incaricata da Marlon Brando di rappresentarlo per rifiutare in suo nome l’Oscar al miglior attore per l’interpretazione di Don Vito Corleone ne Il Padrino (su Prime Video) di Francis Ford Coppola.

Sul palco del Dorothy Chandler Pavilion a Los Angeles la Littlefeather, nel respingere con un gesto perentorio la statuetta offertagli da Roger Moore, fu fischiata e anche applaudita durante la solenne cerimonia dell’assegnazione dei premi Oscar del 27 marzo 1973.

La giovane attivista, in costume tradizionale con risolutezza e commozione, al cospetto di Roger Moore e Liv Ulmann, i due conduttori, spiegò di essere lì per conto di Marlon Brando, il quale, nel ringraziare l’Academy, dichiarava di non poter accettare il premio «per il trattamento che il cinema riservava agli indiani d’America».

Il gelo avvolge gli Oscar

Successivamente la Littlefeather consegnò alla stampa un comunicato di sei minuti con le motivazioni del rifiuto di Marlon Brando. Non gli era stato possibile leggerlo in diretta perché l’organizzazione le aveva concesso solo un minuto per parlare invece di quei 5-6 normalmente a disposizione del vincitore o della vincitrice di un Oscar. Le fu detto che se avesse sforato il minuto sarebbe stata arrestata.

La sua carriera artistica fu rovinata da questa inattesa esibizione e soffrì anche personalmente per lo stigma che ne seguì.

In un video su YouTube, realizzato e pubblicato il 18 settembre 2022 (50 anni dopo gli eventi) dall’Academy Musuem of Motion Picture, un video quindi ufficiale, Sacheen Littlefeather recita il testo integrale del discorso di Marlon Brando, peraltro molto rispettoso dell’istituzione e dei convenuti alla cerimonia.

Il Duca pronto ad azzuffarsi

La presenza dell’attivista apache (la prima nativa americana a partecipare a quell’evento) irritò enormemente John Wayne che era presente nel backstage e anche in sala. 

Marty Pasetta, uno dei produttori dello show, rammenta, in una intervista su YouTube, che ci vollero sei minuti e l’intervento della sicurezza per trattenerlo a forza, evitando una scenata pubblica del Duca e magari una scazzottata con gli organizzatori dell’evento.

Il Duca non era nuovo a questo tipo di baruffe. Nel film del 2015 di Jay Roach Trumbo (su Prime Video), che rievoca il calvario del grande sceneggiatore durante il maccartismo, si vede il Duca che, a un evento della Motion Picture Alliance, viene trattenuto dal colpire Dalton Trumbo (interpretato da Bryan Cranston, il Walter White di Breaking Bad – su Netflix) che con alcuni attivisti comunisti (tra cui l’attore Edward G. Robinson) gli aveva porto un volantino che rivendicava la libertà di opinione e di parola di fronte alla caccia alle streghe avviata del senatore Joseph McCarthy anche a Hollywood.

In una scena intensa Trumbo rinfaccia a Wayne, che straparla dell’eroica guerra vinta (ricorda qualcuno?), di averla combattuta sul set dei film, mentre lui era a Okinawa e Robinson in Europa. Il Duca si oscura in volto e gli si avvicina minaccioso. “Se vuole colpirmi, dice Trumbo, allora mi tolgo gli occhiali”. Si toglie gli occhiali e gli porge la guancia per consentire al Duca di sferrare un cazzotto a colpo sicuro. 

Ma torniamo alla nostra storia.

L’atto di riparazione dell’Academy

Il 18 giugno 2022 David Rubin, Presidente dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, ha indirizzato una lettera alla signora Sacheen Littlefeather. Ne riporto integralmente il contenuto perché merita di essere letta per intero.

«Cara Sacheen Littlefeather,
oggi le scrivo una lettera, che avremmo dovuto inviarle da molto tempo, a nome dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, in segno di umile riparazione per la sua esperienza alla 45ª edizione degli Academy Awards.
Nel 1973, quando è salita sul palco per rifiutare l’Oscar per conto di Marlon Brando, come atto di protesta per la rappresentazione ingannevole e il maltrattamento dei nativi americani da parte dell’industria cinematografica, ha fatto una dichiarazione forte che continua a rammentarci la necessità del rispetto e dell’importanza della dignità umana.
L’abuso che ha subito a causa di questa sua dichiarazione è stato ingiustificato e ingiustificabile. Il peso emotivo che ha portato e il costo per la sua carriera nel cinema sono irreparabili. Per troppo tempo il coraggio che ha dimostrato non è stato riconosciuto. Per questo, le porgiamo le nostre più sentite scuse e la nostra sincera ammirazione.
Non possiamo realizzare la missione dell’Academy di «ispirare l’immaginazione e connettere il mondo attraverso il cinema» senza un impegno a promuovere la più ampia rappresentazione e inclusione che rifletta la diversità dei popoli del nostro pianeta.
Oggi, quasi 50 anni dopo e con la guida della Indigenous Alliance of Academy, siamo fortemente impegnati a garantire che le voci indigene siano visibili e rispettate nella comunità cinematografica globale. Ci impegniamo a promuovere un’industria più inclusiva e rispettosa, che dia spazio all’equilibrio tra arte e attivismo per essere una forza trainante del progresso.
Ci auguriamo che riceviate questa lettera in uno spirito di riconciliazione e come riconoscimento del ruolo essenziale da lei svolto nel nostro percorso come organizzazione. Il suo esempio rimarrà per sempre impresso con rispetto nella nostra storia.
Con i più cordiali saluti,
David Rubin
Presidente dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences»

Academy of Motion Picture Arts and Sciences

Parole forti e chiare. Qualcuno potrebbe vederci un eccesso di wokism. Qualcun altro potrebbe vederci un significato morale, che non è veramente mai troppo tardi per dire «mi dispiace».

Non è una bella azione prevaricare una persona o una qualsiasi entità. Franz Beckenbauer aiutava sempre l’avversario a rialzarsi. Ci vorrebbe ovunque lo spirito di Beckenbauer.

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