Condividi

Oliver Glowig: stelle italiane per lo chef venuto dalla Germania

Lo chef tedesco, bistellato Michelin, è stato folgorato dal nostro Paese. 25 anni fa lasciò Dusseldorf per coscere la cucina italiana ai fornelli di Jean Michel Feret. Da li partì per Capri per collaborare con Gualtiero Marchesi. Poi il passaggio per Roma e infine la scelta di insediarsi ai Castelli Romani. Oggi è ambasciatore della cucina italiana nel mondo

Da Wolfgang Goethe a Thomas Mann, da Hermann Hesse a Michael Ende, il repertorio delle personalità artistiche musicali intellettuali tedesche che nei secoli sono scese giù per lo stivale folgorate da un colpo di fulmine per il Bel Paese è infinito. E questa passione ha colpito anche grandi Chef. A cominciare dal più famoso di tutti, quell’Heinz Beck approdato a Roma nel 1994 al ristorante “La Pergola” dell’Hilton, oggi Waldorf Astoria Resort “Cavalieri” dove ha messo solide radici conquistando tre stelle e cinque forchette Michelin, qualificandosi nel 2004 come il migliore ristorante dell’anno per la Guida BMW, assicurandosi 4 cappelli nella guida de L’Espresso, 95/100 in quella del Gambero Rosso, tre stelle del Veronelli. Per non parlare di Christoph Bob il grande chef tedesco dello scenografico ristorante Antico Monastero di Santa Rosa, arroccato come un bastione tra cielo e mare sulla costiera amalfitana, così innamorato di queste parti da aver sposato una ragazza di Vico Equense che gli ha trasmesso addirittura accenti sorrentini nel suo parlato teutonico-italiano.

E un colpo di fulmine decise 25 anni fa il destino di Oliver Glowig originario del Lander della Sassonia-Anhalt che, spinto da curiosità e passione per i sapori italiani, lasciò giovanetto Dusseldorf per andare a imparare come si fa cucina ai fornelli di Jean Michel Feret all’Acquarello di Monaco di Baviera. Non è certo normale che un tedesco vada da un francese per imparare a conoscere da vicino i colori e i sapori della gastronomia italiana. Ma tant’è, l’impatto è talmente emozionale, che da quel momento, il teutonico Glowig non pensa altro che a trasferirsi in Italia per approfondire la sua conoscenza di prodotti e sapori mediterranei. E dove può sbarcare un tedesco che voglia andare al cuore della cucina mediterranea se non a Capri, una delle mete più ambite dai giovani viaggiatori del Grand Tour seguendo il richiamo delle sirene che già aveva attirato illustri conterranei come Alfred Krupp, l’erede della grande dinastia degli acciai che sull’isola fece costruire a sue spese la famosa via che ancora porta il suo nome, o il grande fotografo Wilhelm von Gloeden, che soggiornò nell’isola per curarsi la tubercolosi prima di trasferirsi a Taormina o ancora Karl Wilhelm Diefenbach il pittore e utopista teosofico che predicò qui, in una caverna, una nuova filosofia di vita?  

Glowig al momento di partire per Capri non lo sa, ma stacca un biglietto di sola andata senza ritorno dalla Germania. Perché l’Italia diventerà la sua nazione d’adozione, perché tra l’altro a Capri conoscerà anche Paola, caprese doc, la donna che sposerà e che poi gli darà due figlie Gloria e Aurora.  

Sono passati quasi 25 anni da allora e Glowig non solo in tutto questo tempo ha potuto alimentare il suo amore per la cucina mediterranea e i suoi valori, ma addirittura è diventato forse più italiano di tanti altri chef che nella penisola sono nati e cresciuti, nella ricerca maniacale delle origini e nella riproposizione dei sapori della tradizione della nostra cucina, un amore che si è rinverdito attraverso le importanti esperienze vissute con grandi Chef. A cominciare da Gualtiero Marchesi che Glowig incontrò e affiancò al Grand Hotel Quisisana di Capri, dove Marchesi aveva una consulenza, e che poi seguì per specializzarsi ancora di più nei segreti delle tecniche di cottura e preparazione del gran maestro della cucina italiana, nel ristorante di Erbusco.

Il suo è un amore sconfinato per l’Italia, senza remore, con una breve pausa di cui presto si pente. Accade quando cede alle lusinghe dell’Aquarello di Monaco, dove aveva mosso i suoi primi passi. Dal ristorante bavarese lo richiamano dopo l’uscita di Feret. E’ arrivato nel frattempo alla guida delle cucine lo stellato Mario Gamba.

Glowig accetta lusingato, forse per una questione sentimentale, di ritornare in Germania accanto all’italo-svizzero Gamba come Chef responsabile e in meno di un anno il ristorante riceve la stella Michelin. Ha bruciato le tappe è giovanissimo, si è già sposato. Che gli manca? La risposta è semplice: Capri!

Nei due anni trascorsi a Monaco il richiamo delle sirene si fa avvertire in maniera struggente, sua moglie Paola non riesce ad abituarsi alle umide atmosfere bavaresi, ha imparato a parlare tedesco ma le mancano il sole e la luce della sua isola, le mancano i profumi del mare che si infrange sulle scogliere e quelli delle erbe selvatiche che in primavera e in estate inondano l’isola. E anche in Glowig la trasmutazione genetico-nazionale si fa avvertire prepotentemente. Come dichiarerà in seguito “In fin dei conti mi sento più italiano che tedesco nonostante abbia il passaporto rilasciato in Germania”.

E allora via, preparati armi e bagagli si rientra in Italia. L’Hotel Capri Palace, albergo di lusso e museo permanente di opere d’arte moderne, su in alto, ad Anacapri, lo accoglie a braccia aperte. E Glowig può sbizzarrirsi per nove anni nel rincorrere e ricreare, sperimentando e rinnovando nella sua cucina l’essenza dei sapori capresi, delle erbe, degli orti, del pescato dei suoi mari, conquistando una padronanza culinaria sempre più consapevole e sofisticata che gli consentirà di aggiudicarsi nel giro di pochi anni prima 1 e poi 2 stelle Michelin.

Dopo nove anni, e forte di questi successi, Glowig viene tentato da un’altra avventura, aprire un ristorante tutto suo a Montalcino ma sopravviene la crisi, le cose non vanno come dovrebbero e l’esperienza si conclude presto.

Nel 2011 lo Chef decide di compiere un importante passo per il cursus honorum della sua carriera: Capri è stata fondamentale per la sua vita, ma Roma è una grande platea internazionale e così approda al Grand Hotel Aldrovandi di Villa Borghese. Il ristorante porta il suo nome così da potersi sentire libero da ogni condizionamento. In cucina lavorano una ventina di elementi (per una media di trenta clienti), è con lui quasi tutta la brigata che lo segue da anni a partire dal sous chef Domenico Iavarone che lo segue come un’ombra da 7 anni. Il suo arrivo fa rumore, la sua accurata ricerche di materie prime con fornitori tenuti segreti fino all’ultimo, il suo ossessivo rispetto della stagionalità, l’aurea di profumi colori e sapori capresi che si porta appresso, la creatività innata e la sua passione per tutto ciò che è italiano, la ricerca e innovazione che non alterano mai i sapori, ma ne esaltano la consistenza fanno il resto e il successo è immediato. Fino alla conquista a soli otto mesi dall’apertura del ristorante di 2 stelle Michelin.

Forte delle sue stelle e del suo consolidato successo italiano e internazionale Glowig quando si esaurisce il suo rapporto con l’Aldrovandi può consentirsi di manifestare il suo amore per la terra aprendo un suo spazio al Mercato Centrale della stazione Termini, uno spazio innovativo che fa tendenza dove il viaggiatore (in realtà gli stessi romani) ha a disposizione un luogo dove incontrare la qualità, con prodotti selezionati di nicchia. Già il nome del suo locale è tutto un programma: “La Tavola, il vino e la dispensa”, a testimoniare che un grande Chef non dove solo guardare alle sofisticate e vellutate atmosfere di ristoranti in guanti bianchi, che soprattutto la grande cucina parte dalla ricerca della materia prima. E al Mercato centrale Glowig trova un formidabile alleato in Salvatore De Gennaro, proprietario della Tradizione di Vico Equense, che tutti i viaggiatori della costiera sorrentina considerano una tappa obbligata per scoprire nicchie di territorio in fatto di salumi, formaggi, pasta e conserve. Ed è così che nella sua “La Tavola, il vino e la dispensa”, diventa possibile assaggiare le sue iconiche eliche cacio e pepe con ricci di mare, a prezzi accessibili senza svenarsi.

Il Mercato è una pausa di divertimento ovviamente. Convinto Ambasciatore della cultura gastronomica italiana contemporaneamente Oliver Glowig ha modo di dividersi fra il ristorante “Primavera” presso il Ritz Carlton in Bahrain, la “Locanda” a Saas Fee in Svizzera e il “Toca” del Ritz Carlton di Toronto ai quali presta la sua consulenza esportando e sostenendo il concetto di dieta mediterranea nel mondo.

Ovviamente il fascino della cucina d’autore è quello per il quale batte il suo cuore. Ed è così che accoglie con grande entusiasmo la proposta di Felice Mergè proprietario dell’azienda vitivinicola Poggio Le Volpi a Monte Porzio Catone, di creare un nuovo ristorante, che fosse un luogo dove l’armonia tra le vigne, patrimonio della famiglia Mergè, la cucina, il design e lo stile di accoglienza rendesse questo locale unico nel panorama della ristorazione di eccellenza della capitale.  Attraverso una fusione di elementi naturali (terra, pietra, sabbia) e di materiali inaspettati ma reinterpretati, tra spazi architettonici e coltivazioni, si dipana così un affascinante racconto che ondeggia fra terra e vite, tra cultura culinaria e vino e Oliver Glowig con la sua cucina dona la sua impronta per rendere questo viaggio completo e carico di suggestioni.

Arroccato su una collina che guarda verso oriente, a circa 400 metri sul livello del mare, nasce così Barrique situato all’interno dell’azienda vitivinicola Poggio le Volpi. Entrare in Barrique è come entrare in una teca del tempo, dove la materia, la pietra, il legno delle botti, con la loro lunga storia testimoniano la vocazione gastronomica ed enolica di questa zona prediletta fin dai tempi dei romani per rifornirsi di vino uso ad allietare le proprie libagioni. Lì dove c’erano le botti destinate all’affinamento dei vini ora trova spazio, invece, un vero e proprio “hub del gusto” con proposte di altissima cucina.

All’esterno un boschetto – ricreato con le piante scelte tra quelle protette del Parco dei Castelli Romani, dal cerro alla quercia, dalla ginestra odorosa alla rosa canina – accoglie il cliente per condurlo, come in una sorta di esperienza “immersiva”, dentro Barrique. Proprio con l’obiettivo di lasciarsi scoprire, il ristorante si inserisce a un livello inferiore rispetto al resto della struttura dell’azienda vinicola. Dal parcheggio ci si addentra nel piccolo bosco, dove le piante, in perfetta sintonia con il territorio circostante, degradano fino a lambire i filari, lasciando intravedere i vigneti di Poggio le Volpi, che producono vini di nicchia che hanno ottenuto prestigiosi riconoscimenti in Italia e all’estero, che risalgono le verdi colline dei Castelli Romani; a seguire, un loggiato con il glicine fa da preludio all’ingresso in sala.

Qui, tra botti, tavoli dal design raffinato e vigneti a fare da sfondo, ogni cosa è studiata con cura per ospitare trenta coperti. Materico, elegante, con arredi che giocano sui toni dell’oro e del nero e con foglie di viti usate come stencil, Barrique è una luogo ricercato che offre un’atmosfera esclusiva per un’esperienza gourmet, coinvolgendo tutti i cinque sensi. Vera chicca del locale, i ‘reperti’ incastonati con la terra alle pareti e alle cornici: opere d’arte, realizzate con un lungo lavoro di patine su metalli preziosi, che si percepiscono come se fossero dei frammenti riemersi dal terreno, a voler rimarcare il rapporto simbiotico con la terra stessa.

Si può dire che Barrique rappresenti quasi la chiusura del cerchio gastronomico che costituisce il mondo di Olivier Growig, qui, infatti, la materia prima è la protagonista assoluta e qui nel territorio collinare dell’entroterra romano si completa il rapporto fra terra e mare, fra la Campania che ha marcato la sua formazione italiana, il Lazio e i prodotti di tutto il territorio italiano per i quali nutre una vera e propria venerazione.

E’ un inno alla felicità del palato il suo piatto icona, che sposa pecorino e ricci di mare, che collega la tradizione romana del pecorino ai ricci di mare che si pescano a Capri. Un apparente contrasto che si armonizza nel connubio con le eliche di mare, una spolverata di parmigiano reggiano, burro salato francese, aneto tritato e pepe. E ancora la Campania è la protagonista della sua cucina con il Raviolo caprese con caciotta, maggiorana, salsa di pomodorini freschi, basilico e parmigiano. Qui è tutto accennato con mano leggera, tutto viene mantenuto in una tensione di levità senza eccessi, di fronte a certi sapori non servono forzature.

Il ricordo della Campania è ancora protagonista in un saporoso abbraccio con la tradizione culinaria laziale nelle sue Lumache alla mentuccia con fagioli e caffè.  In questo caso abbiamo Lumache che provengono da un allevatore controllato e sperimentato di Viterbo cotte in un brodo vegetale e soffritte, quindi unite a una crema di fagioli Controne, delicatissimo presidio slow food campano, che proviene dai campi e uliveti che si spingono fino alle pendici del massiccio degli Alburni che sovrastano il centro abitato da cui prendono nome, ottenuta dopo aver emulsionato i fagioli passati al setaccio con olio extravergine d’oliva. Su tutto vengono poi sparse foglioline di menta e freselle di pane sbriciolate, che riportano alla tradizione dei poveri pasti contadini, con il piacevole contrasto di una crema al caffè. Se qualcuno pensava che le lumache potessero essere pesanti non ha che da correre a Monte Porzio Catone per ricredersi.

Siamo in presenza, infatti, di una cucina che toglie e non aggiunge, valorizzata e reinterpretata con rispetto e sapienza e, infine, arricchita da un tocco di creatività, altro ingrediente del tutto italiano, fondamentale quando si tratta di inventare accostamenti cromatici nuovi e sorprendenti. Ed è incredibile che questo religioso rispetto per tutto quanto provenga dal territorio italiano, venga da uno Chef tedesco che se ne è fatto rispettoso interprete. Tedesco? Ma non ha detto lui stesso che si sente italiano? Forse con la sua cucina lo ha dimostrato ampiamente.

Commenta