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Noera: “La Bce ci fa guadagnare tempo, ma per Italia, Europa e Usa l’uscita dalla crisi è lontana”

Secondo Mario Noera, noto analista finanziario e docente della Bocconi, l’intervento della Bce sui mercati è positivo “perchè fa guadagnare tempo” ma i problemi di fondo della crisi sono tutt’altro che risolti sia in Italia e in Europa che in Usa. La questione fondamentale è “come affrontare il problema della crescita in un contesto di debito”

Noera: “La Bce ci fa guadagnare tempo, ma per Italia, Europa e Usa l’uscita dalla crisi è lontana”

“L’intervento della Bce? Consente di guadagnare tempo. Anzi molto tempo, perché almeno sulla carta le risorse di una banca centrale sono infinite”. Ma le note positive, secondo il professor Mario Noera, docente di Diritto ed economia dei mercati finanziari all’Università Bocconi, finiscono qui. Sia sul fonte della politica europea, “perché il fondo Efsf, ancora sulla carta, nasce comunque con risorse troppo limitate per svolgere il suo ruolo: 440 miliardi quando ne servirebbero almeno quattro volte tanto”. Sia, soprattutto, perché, in Europa come negli Usa, il mondo è vittima di un grosso limite culturale, oltre che politico: “In assenza di una soluzione al nodo della distribuzione della ricchezza, che da trent’anni finisce in profitti che spesso non vengono reinvestiti in attività che generano reddito, ma finiscono in rendita, gli interventi fiscali rischiano di portare il mondo in recessione”.

Un dilemma che colpisce gli Usa, l’Europa e pure le patologie dell’Italia “ormai commissariata”. Eppure, la prima reazione dei mercati ai segnali in arrivo da Francoforte è stato molto positiva. Non crede?
“Non mi stupisce, così come non mi stupisce la successiva maggiore cautela. Il segnale è stato senz’altro forte soprattutto perché stavolta la Bundesbank non si è opposta all’intervento a favore di Italia e Spagna. E’ facile capire che questo è il risultato di una trattativa sotterranea che ha imposto all’esecutivo italiano l’imbarazzante conferenza stampa di venerdì sera a garanzia della genuinità di certi impegni”.

Perché tanto scetticismo?
“Se ci limitiamo al caso Italia, siano davvero lontani da una qualsiasi soluzione. Siamo di fronte a un pacchetto di misure eterogeneo: alcune sono di dubbia utilità e comunque incerte sia sul come che sul quando. Altre, ovvero le riforme costituzionali, di dubbia efficacia pratica. In sostanza, l’unica vera novità riguarda l’anticipo al 2013 del pareggio, con modalità ancora da verificare. Ma, a parte queste perplessità, merita fare una considerazione più generale, che riguarda sia l’Italia che gli Usa o l’Europa: i veri nodi devono ancora venire al pettine. E, per colpa di un nostro ritardo culturale, scioglierli sarà davvero difficile”.

La difficoltà di reagire alla crisi nasce da un gap culturale, dunque?
“Manca una ricetta teorica per venire a capo del problema principale: come affrontare il problema della crescita, di cui parlano tutti, in un contesto di debito”.

La soluzione ortodossa vede nel debito il principale ostacolo alla crescita. Di qui la necessità di aggredire il debito.
“Ma se questo avviene in un quadro di restrizioni fiscali si mettono le premesse per una lunga stagnazione incompatibile con lo sviluppo da cui possono derivare nuove entrate fiscali. Si dà così il via a un circolo vizioso.”

Per uscirne ci vorrebbero capitali da fuori. Quelli della Cina, ovviamente.
“Non basta ricevere capitali. Occorre anche che esistano opportunità di investimento. I capitali dei paesi creditori, quando finiscono a finanziare il debito, servono a stabilizzare i mercati finanziari. Ma in questo modo non si pongono le premesse per creare redditi nel futuro, Il problema non si risolve se non si affronta il nodo del rilancio della domanda”.

Ci vuole un nuovo Keynes, insomma?
“Occorre studiare quali siano le condizioni per consentire il decollo della domanda. Sì, merita rileggere Keynes, ma soprattutto riscoprire i neo keynesiani, da Kaldor a Kaletsky che hanno affrontato il problema della creazione e della distribuzione del reddito nel lungo termine. La distribuzione del reddito è il problema fondamentale: non ha senso qualsiasi politica di risanamento finanziario che passi dalla compressione della domanda interna”.

In questi anni, al contrario, la ricchezza si è spostata verso la fascia alta della popolazione.
“Con il risultato di scatenare le bolle e di concentrare la crescita degli investimenti nel solo settore immobiliare, dove si concentra la rendita”.

La ricetta della Bce non va nella direzione gusta, quindi?
“Per carità, sono tutte prescrizioni giuste, anzi necessarie. E’ importante mettere in cantiere misure che favoriscano l’efficienza delle imprese o più flessibilità nel costo del lavoro. Ma le misure sul fronte dell’offerta, da sole, non bastano”.

Non è un quadro consolante.
“Ne convengo. Ma l’unica alternativa possibile, se non decolla la domanda interna, è una politica molto aggressiva sul fronte dell’export, cosa che richiede, al contrario di quel che accade oggi, un cambio debole dell’euro. Cosa che è in conflitto con la filosofia della Bundesbank. Non è un problema solo europeo. Negli Usa ha assunto il sapore di un conflitto di classe: l’opposizione del tea party e del partito repubblicano ha un carattere politico. La situazione di stallo americana, come ha giustamente notato Standard & Poor’s, ha carattere politico”.

E Obama sembra troppo debole.
“E’ l’opinione dei mercati. In realtà, per contrastare la congiuntura attuale, andava aumentata la spesa pubblica e individuato un percorso fiscale coerente nel tempo. L’opposto di quel che sta avvenendo”.

Intanto i mercati hanno esaurito la spinta di inizio seduta. Il suo scetticismo sembra giustificato.
“I mercati non fanno politica, ma gradiscono soluzioni coerenti. Un risanamento fiscale che non affronti il problema della distribuzione conduce inevitabilmente al “double dip”, cioè al rischio recessione che è ben evidente agli occhi degli operatori finanziari”.

Eppure l’intervento della Bce segna una discontinuità storica. E’ un passo in avanti, o no?
“Diciamo che la strada scelta dall’Europa è giusta ma la Ue l’ha imboccata con troppa lentezza. Il fondo europeo deve intervenire presto e con mezzi adeguati, cosa che presuppone l’unità di intenti e di scelte fiscali. In assenza di questa strategia, si è dovuta muovere l’unica istituzione comune, cioè la Banca Centrale Europea. E questo non è un fatto positivo”.

Perché?
“Perché i mercati possono gradire una supplenza purché sia limitata nel tempo. Altrimenti la Bce, che ha per obiettivo il controllo dell’inflazione, rischia di rimetterci la reputazione che si è costruita nel corso degli anni”.

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