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No baby, no Pil: senza bambini e senza giovani l’Italia perde in partenza la gara dello sviluppo

Troppi anziani e pochi bambini. Il declino demografico anticipa quello economico e le regioni italiane perdono in partenza la gara dello sviluppo – Urgente superare la babele delle generazioni – La nuova ricerca della Fondazione Nord Est

No baby, no Pil: senza bambini e senza giovani l’Italia perde in partenza la gara dello sviluppo

Il declino demografico anticipa quello economico: il calo dei giovani e l’aumento degli anziani riducono le capacità di apprendimento e la creatività e l’apertura al nuovo di una popolazione. È quanto mette in luce la nuova analisi della Fondazione Nord Est. In Europa le regioni italiane sono quelle dove sono meno presenti bambini e giovani e più fitta la schiera degli ultrasessantenni. Inoltre, se fino a metà dell’800 la speranza di vita di un adulto era di 60 anni, e adulti si diventava a 15 anni, o poco più. Oggi, invece, già alla nascita si può puntare a 80 anni. In realtà di più, perché la vita si allunga man mano che si svolge, grazie ai progressi medici e nel benessere fisico e mentale. Questo fa sì che oggi convivano sul Pianeta, e spesso nella stessa famiglia, persone appena nate e altre prossime a diventare ultracentenarie. Cioè ben quattro generazioni: mai successo prima nella storia.

Ma la distanza non si misura solo in anni. Tra un Founder o un Mature e un Alpha Gen il divario è analogo a quello tra un contadino medievale e un operaio specializzato automobilistico di sessant’anni fa. Chi è passato per la Seconda guerra mondiale o chi ha assistito alla prima passeggiata umana sulla Luna è spiazzato dalla velocità digitale dei bambini, che oggi sfogliano la pagina di un libro pensando sia touch. 

Solo le società e le imprese che riescono a fare dialogare le diverse generazioni, superando la Babele di linguaggi e approcci culturali alla vita e al lavoro, migliorano produttività, reddito e benessere. 

 Perché occuparsi di generazioni e di demografia, lo scenario:  

– In Italia l’età media è di 46,2 anni. 

– Nel 2021 sono nati 398mila bambini, il numero più basso di sempre. 

– Per sostenere la stabilità dei sistemi sociali l’indice di fertilità dovrebbe essere di 2,1 figli per donna in età feconda, oggi in Italia è pari a 1,25. 

– L’Italia è il Paese europeo con il più basso numero di giovani e bambini. 

– La quota dei NEET italiani è la più alta in Europa. 

– L’età media dei lavoratori nella Pubblica Amministrazione italiana è di 55 anni, nel privato lavora il 60% degli occupati con un’età media di 46 anni. 

– Su 4,5 milioni di Baby Boomer occupati entro il 2025 ne andranno in pensione 1 milione; quindi, i pensionati passeranno da 16 a 17 milioni, contro 23 milioni di occupati. 

– In Italia i lavoratori sono i più anziani d’Europa. 

– Gli over55 sono la prima generazione, in Italia, ad avere registrato l’allungamento della vita professionale di almeno 10-15 anni.  

– Millennials e X Generation (28-55enni) chiedono lavoro in remoto, scopo e senso delle proprie attività, riconoscimento del merito, maggiore flessibilità di orario e luogo di lavoro e autonomia nel raggiungimento degli obiettivi. 

Per la prima volta 7 (SETTE!) generazioni convivono sulla Terra 

Per la prima volta nella storia umana coabitano la Terra sette generazioni diverse. Un fatto prodotto dall’allungamento della vita. Non tornano i conti? Infatti: normalmente si conta una generazione ogni 25 anni; ergo, considerando i centenari, al più le generazioni coabitanti sono quattro. Ma, come sottolineato da Isabella Pierantoni nel Rapporto 2022 di Fondazione Nord Est, Il futuro sta passando. Chi è pronto e chi no, quando si parla di generazioni non ci si può limitare a considerare l’età ma occorre soprattutto considerare il modo di pensare e di guardare al mondo, che è condiviso da persone che sono nate nello stesso periodo.

L’idea di partenza di questo diverso modo di definire le generazioni è che, usando le parole di Pierantoni, «gli eventi storico-sociali, economici o politici che i bambini vedono accadere mentre diventano grandi – tra i 78 anni e i 13-14 – contribuiscono a formare la loro visione del mondo, a costruire il senso di sicurezza e di fiducia, insieme all’idea di futuro per cui varrà la pena vivere e combattere». Secondo gli psicologi evoluzionisti è proprio in quegli anni che i bambini cominciano ad immaginare il futuro; detto in altre parole, iniziano a chiedersi se e quanto gli eventi che osservano fuori dal contesto familiare potranno influire sulla loro sicurezza e stabilità futura.  

Quali e quante generazioni? 

Quando si ragiona di generazioni è facile cadere nella trappola delle “etichette”. Ma vale la pena correre questo rischio se ciò può aiutarci a imparare a riconoscere quando e come agiscono i diversi atteggiamenti generazionali. Perché, appunto, le persone che sono nate nello stesso periodo condividono gli stessi orientamenti di pensiero. Ecco allora la tassonomia delle sette generazioni attualmente presenti sulla Terra, pur tenendo conto che i confini non sono così netti come l’intervallo di nascita suggerisce:  

Alpha Gen (2011-2025) età 2022: 0-11 anni 

Z Gen (1995-2010) età 2022: 12-27 anni 

Y-Millennials (1994-1980) età 2022: 28-42 anni 

X Generation (1965-1979) età 2022: 43-57 anni 

BB-Baby Boomer (1946-1964) età 2022: 58-76 anni 

Matures (1925-1945) età 2022: 77-97 anni 

Founders (<= 1924) età 2022: maggiore o uguale di 98 anni 

La distribuzione della popolazione tra diverse generazioni influisce sullo sviluppo di un territorio  

I territori elaborano la memoria del passato, vivono il presente e immaginano il futuro con la mente dei loro abitanti. E la convivenza di più generazioni muta i processi cognitivi e creativi. Tanto più che tra gli elementi che maggiormente differenziano le generazioni ci sono la visione del futuro, l’approccio alla tecnologia e l’accesso agli strumenti (digitali) che hanno contribuito a cambiare l’idea di lavoro e di competenza. Tutti elementi rilevanti nella fase di transizione digitale che sta affrontando la nostra società.

Proviamo a fare degli esempi: crescere negli anni ’70 (la Generazione X) significava sentir parlare, ad esempio, di disoccupazione, di crisi energetica, della diffusione dell’uso di sostanze stupefacenti. Un contesto che invoglia ad acquisire un senso di cautela e controllo nei confronti del mondo, delle persone e delle istituzioni e probabilmente a considerare la sicurezza come un valore essenziale e non negoziabile. Atteggiamenti che orientano, ad esempio, la propensione e le scelte di investimento.

La generazione precedente, quella dei Baby Boomer, ha assistito all’arrivo dell’uomo sulla Luna e potrebbe aver sviluppato un senso di ottimismo verso un futuro migliore (reso possibile dalla disponibilità di risorse) e una grande fiducia verso le istituzioni. 

I Millennials hanno avuto accesso da nativi a una serie di tecnologie che hanno modificato il loro rapporto con il lavoro. Appartengono a questa generazione le persone che cambiano posto di lavoro ogni tre o quattro anni, se non vengono motivate adeguatamente e se le loro aspettative vengono frustrate. Ancora, i Millennials e i membri della X Generation sono quelli che chiedono con maggior frequenza di lavorare in remoto, di avere una maggiore flessibilità di orario e luogo di lavoro e anche autonomia nel raggiungimento degli obiettivi. Negli ultimi anni si è parlato sempre più spesso di YOLO economy, per definire il modo di vivere e pensare al lavoro delle generazioni più giovani. YOLO sta per “You Only Live Once”, si vive una volta sola, riferito alla scelta di evitare o abbandonare impegni di vita e di lavoro sentiti come insoddisfacenti e onerosi, un atteggiamento completamente diverso da quello dei Baby boomers.

La distribuzione delle diverse generazioni tra le regioni europee non è omogenea. Le regioni che hanno la più alta percentuale di persone appartenenti alla generazione Z si trovano in Francia, Belgio, Irlanda e Danimarca. I Millennials prevalgono nelle regioni dell’Europa orientale, mentre la generazione X caratterizza le regioni dell’Italia e della Spagna.

Le diverse composizioni delle popolazioni impattano sulle economie delle regioni europee per diversivie: quelle più intuitive fanno riferimento al fatto che le regioni con una popolazione più sbilanciata verso Baby Boomer e Matures si troveranno ad affrontare problemi legati all’assottigliamento della forza lavoro, che nel breve e medio periodo non può trovare risposta che nelle politiche mirate ad attirare lavoratori da altre regioni. Ancora, diventeranno centrali le strategie per affrontare l’aumento delle malattie legate all’invecchiamento, che comporteranno, inevitabilmente, un aumento della spesa sanitaria. Va anche detto che il miglioramento della qualità della vita in età avanzata porterà a nuovi bisogni da soddisfare, modificando la struttura dei consumi, generando così nuove opportunità. Ma c’è un’ulteriore implicazione legata alla struttura della popolazione, forse meno intuitiva: i giovani stanno crescendo in un’epoca caratterizzata da grandissima incertezza e questo li obbliga a sviluppare nuove modalità di adattamento a situazioni che cambiano velocemente. Modalità che potrebbero essere utili per tutti. Il rischio per le “regioni più vecchie” è quello di essere più lente non solo a costruire futuri ma anche a cambiare velocemente da uno scenario all’altro.

Le regioni italiane, che hanno pochi abitanti della Generazione Z, pochi Millennials e tanta Generazione X, rischiano di essere meno adattive e incapaci di cogliere i vantaggi dei mutamenti tecnologici.

Cinque generazioni a lavorare insieme: i problemi per le imprese 

Attirare le nuove generazioni 

Le competenze digitali generano un vantaggio competitivo a favore delle generazioni più giovani nel mercato del lavoro che sono meglio attrezzate rispetto alle generazioni composte da non nativi digitali. Per affrontare la transizione verso il digitale le imprese hanno bisogno di competenze adeguate e quindi di riuscire ad attirare i giovani, in particolare quelli che appartengono alla generazione dei Millennials e alla Generazione Z. Nell’attrarli l’errore da non commettere è quello di ignorare l’idea di lavoro che queste generazioni hanno. Si è già detto, ad esempio, che i Millennials chiedono con maggior frequenza di lavorare in remoto, di avere maggiore flessibilità di orario e luogo di lavoro ma anche autonomia nel raggiungimento degli obiettivi. Gli appartenenti a tale generazione sono portati anche a cambiare frequentemente posto di lavoro. Come si gestisce tutto ciò da un punto di vista organizzativo? Per il turnover è necessario prevedere fasi di avvicendamento più veloci (quasi plug and play), il che vuol dire codificare il più possibile i processi lavorativi e favorire la sedimentazione a livello aziendale delle conoscenze.

Far convivere cinque generazioni di lavoratori 

Considerando l’allungamento della vita lavorativa è possibile che all’interno di una stessa organizzazione si trovino a lavorare persone di cinque generazioni diverse sul piano cognitivo. Che implicazioni ha una tale convivenza? Se pensiamo all’organizzazione del lavoro, la coesistenza di persone che hanno età e competenze diverse potrebbe generare conflitti, ad esempio per il fatto che i lavoratori più anziani potrebbero temere di essere “messi da parte” all’ingresso di lavoratori più giovani. Come sottolineato da Paolo Gubitta, dell’Università di Padova, questa situazione può alimentare la difficoltà per i lavoratori maturi di accettare superiori gerarchici molto più giovani. Ciò potrebbe portare a perdere competitività per le organizzazioni che non riescono a far convivere persone di diverse età e, soprattutto, distanti nei saperi e nelle visioni del mondo. Diversità e distanza, invece, possono essere utilizzate come fonte di arricchimento reciproco e alimentare competenze e creatività aziendali.

°°°°°°°°° L’autore è Ricercatore senior della Fondazione Nord Est

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