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Nagorno-Karabakh, la tragedia armena parte da lontano: odio atavico, luoghi sacri e tanto tanto gas

La resa incondizionata degli armeni in Nagorno-Karabakh e l’esodo che ne è seguito hanno dimensioni bibliche. Come si è arrivati a questa nuova tragedia e perché? Le origini del conflitto sono lontane e sullo sfondo si intrecciano gli immensi giacimenti di gas e petrolio

Nagorno-Karabakh, la tragedia armena parte da lontano: odio atavico, luoghi sacri e tanto tanto gas

La questione del Nagorno-Karabakh è stata risolta. La piccola regione abitata da armeni intrappolata nell’Azerbaigian, dal quale cerca di rendersi indipendente da decenni, non esisterà più. Cancellata, dissolta, smembrata.  Manu militari, travolta dall’esercito azero.  E tutti i suoi abitanti, 120 mila persone, ora sono in fuga per salvarsi dalle ritorsioni del nemico.

Fine della Repubblica indipendente armena in Nagorno-Karabakh: cosa è successo

La fine in realtà era cominciata l’anno scorso, a dicembre, quando gli azeri avevano chiuso l’unica via che legava la repubblica autoproclamata all’Armenia, il corridoio di Lachin. 

Così da dieci mesi gli armeni non avevano medicine, cibo, gas, elettricità perché quella era l’unica strada per i rifornimenti. 

E’ stato il presidente, Samvel  Shahramanyan, a dettare i tempi della dissoluzione della repubblica dell’Artsakh, come la chiamano gli armeni, in un comunicato tanto stringato quanto agghiacciante:  

  •  «1) Sciogliere tutte le istituzioni e le organizzazioni statali  nella loro subordinazione dipartimentale entro il 1° gennaio 2024 affinché  la Repubblica del Nagorno-Karabakh (Artsakh) cessi di esistere;
  • 2) La popolazione del Nagorno-Karabakh, compresa quella che si trova al di fuori della Repubblica, dopo l’entrata in vigore del presente Decreto, si familiarizza con le condizioni di reintegrazione presentate dalla Repubblica dell’Azerbaigian, al fine di prendere una decisione indipendente e individuale in futuro sulla possibilità di rimanere (tornare) in Nagorno-Karabakh».

In pratica, si salvi chi può. 

Per ora si sono contate 90mila persone in fuga . Ma tutti gli osservatori concordano nel ritenere che non ci sarà  neppure un armeno  che vorrà convivere con gli azeri. 

Perché scappano? Perché temono ritorsioni . In rete circolano video di soldati azeri che sparano contro le case vuote e i simboli armeni: è l’odio atavico che risorge ogni volta che le due popolazioni si trovano più vicine di quanto desiderino.  A parti inverse trent’anni fa toccò agli azeri scappare quando vinsero gli armeni. E’ una storia di violenze che parte da lontano.   

Tutta colpa dei sovietici. Quando il Caucaso meridionale entrò a far parte del nascente Stato socialista nel 1921,  con una decisione che solo menti disturbate potevano prendere, e che influenzeranno per decenni la vita di quelle popolazioni, i nuovi padroni della Russia assegnarono alla Repubblica Socialista Sovietica azera il Nagorno-Karabakh, dove da sempre vivevano armeni; mentre alla vicina Armenia concedevano il Nakhicevan, territorio dove vivevano azeri. Una follia. Nessuno fu contento, ma tutti se ne stettero tranquilli mentre era forte il dominio sovietico. 

Ma  quando l’impero comincia a scricchiolare, iniziano i guai.

La fine dell’Unione sovietica ha riaperto antiche rivalità in Nagorno-Karabakh   

Si comincia alla fine degli anni Ottanta. Grazie alla perestrojka e alla glasnost gli armeni si riprendono spazio e parola. E a partire dal 1987 si mobilitano per chiedere a Mosca l’unione del Nagorno-Karabakh all’Armenia. La parola d’ordine è “miatsum” (“unione” in armeno). Ma non accade nulla, se non scoppi di violenza e tensioni fra le parti. Poi arriva il 1991, l’Urss si dissolve e gli armeni prendono al volo l’occasione: organizzano un referendum che si esprime a favore dell’indipendenza dall’Azerbaigian.   Baku non riconosce il risultato e inevitabilmente scoppia la guerra. 

Questa primo conflitto lo vincono gli armeni. L’esercito azero viene espulso dalla regione mentre quello armeno occupa anche sette distretti azeri limitrofi al Nagorno-Karabakh, incluso quel corridoio di Lachin che unisce il territorio all’Armenia, quello che dieci mesi fa Baku ha chiuso. La guerra si conclude nel 1994: sarà costata 30 mila morti oltre a distruzioni e a devastazioni. 

E anche trent’anni fa ci fu un esodo di popolazione. Ma, come accennato, allora furono gli azeri a scappare: centinaia di migliaia di persone abbandonarono le proprie case, l’intera popolazione azera dell’Armenia, del Nagorno Karakh e dei distretti limitrofi fuggì in Azerbaigian. Che a sua volta venne abbandonato dalla sua minoranza armena. Una tragedia. 

Armeni in Nagorno Karabakh: per trent’anni conflitto congelato, a favore degli armeni

In questi trent’anni,  che gli analisti definiscono di conflitto “congelato”,  periodicamente ci sono assalti e morti da entrambe le parti. Mentre la repubblica autoproclamata cerca di farsi riconoscere dal consesso delle Nazioni del mondo senza riuscirci. Il paradosso è che nemmeno l’Armenia, che pure ne ha garantito la difesa e il sostentamento economico, l’ha mai riconosciuta. Lo hanno fatto solo l’Abcasia, l’Ossetia del Sud e la Transnistria, non a caso altre repubbliche in guerra con i loro rispettivi Stati, la Georgia e la Moldavia. Restavano aperti però i negoziati che non portavano tuttavia da nessuna parte.

 E mentre il tempo scorreva, il Nagorno-Karabakh diventava il mito fondante del nazionalismo di entrambi i Paesi. Per gli armeni la vittoria del primo conflitto rappresentava il riscatto collettivo per la perdita di quella che era chiamata “Armenia occidentale”, cioè la parte orientale dell’Anatolia dove viveva la popolazione armena vittima del genocidio del 1915 da parte turca. Per gli azeri, il trauma della sconfitta costruì un nazionalismo fondato su una sola caratteristica: l’odio per tutto ciò che è armeno. 

Nagorno Karabakh: nel 2020 il ribaltone premia gli azeri

Nel 2020 le parti si ribaltano, è l’Azerbaigian che vince. Baku ha investito tutti gli introiti derivanti dalla vendita di gas per costruire un esercito dotato delle armi più potenti. Nel 2016 fa una prova generale con un assalto che dura solo quattro giorni. Poi nel 2020 lancia l’offensiva vera. E nei 44 giorni di guerra l’esercito azero ha la meglio sulle forze armene. Riconquista anche molti dei distretti perduti e soprattutto una città simbolo per entrambe le parti, la città santa di Shusha. L’accordo di cessate il fuoco, con la mediazione russa,  è sostanzialmente una resa armena. L’esercito di Erevan deve lasciare le posizioni occupate nel conflitto precedente e soprattutto non si definisce lo status futuro della regione. Mentre la Russia si fa garante della sicurezza armena dislocando una forza di peacekeeping nel territorio e sul corridoio di Lachin. 

La guerra della Russia in Ucraina rimescola le carte anche nel Caucaso

Tutto poteva continuare così se Mosca non avesse aperto il fronte ucraino. La guerra a Kiev cambia  le carte in tavola anche nel Caucaso. Ammettendo che il Cremlino ci tenesse a salvaguardare le istanze degli armeni, dopotutto anche le altre repubbliche autoproclamate sopravvivono grazie ai russi, con le sanzioni economiche in atto Putin ha bisogno di alleati diversi.      

L’Azerbaigian  assicura alla Russia la via di transito per le esportazioni energetiche, quindi,  addio Nagorno-Karabakh, buongiorno Baku.  E poiché la strada azera è una fonte importante di materie prime anche per gli stati europei, è così che l’Azerbaigian si ritrova libero di fare quello che vuole.

 E vuole chiudere una volta per tutte la storia del Nagorno-Karabakh.  

La rincorsa inizia nel settembre dello scorso anno direttamente con l’attacco all’Armenia. L’esercito azero occupa alcune posizioni e si ritira.  Poi a dicembre Baku blocca il citato corridoio di Lachin, e comincia lo strozzamento del Nagorno-Karabakh. 

E la Russia sta a guardare.

Sempre più tesi i rapporti tra Russia e Armenia

La conseguenza di tale indifferenza è che i rapporti fra Mosca e Erevan si fanno sempre più tesi. Il premier Pashinyan comincia a pensare di cambiare alleanze e guarda all’occidente, tanto da definire in una intervista (al giornale italiano la Repubblica) un “errore strategico l’alleanza con la Russia”.  

Quando Baku attacca sul serio, cioè il 19 settembre scorso, la storica amicizia Russia-Armenia non esiste più . Mosca definisce “un fatto interno all’Azerbaigian” quello che sta accadendo nel Nagorno-Karabakh mentre i media asserviti al Cremlino si scagliano contro Pashinyan colpevole di voler allontanare il suo paese dall’orbita russa. Ipocrisia allo stato puro.

Ma perché gli azeri hanno investito tanto in Nagorno Karabakh?   

Resta un’ultima domanda, ma non ultima per importanza: perché gli azeri hanno investito tutte le loro energie per avere il controllo di un territorio sperduto come il Nagorno-Karabakh? Solo questione di storia e luoghi sacri?  E di rivincita?

Ci saranno anche loro, storia, luoghi sacri e rivincita; ma soprattutto ci sono due oleodotti che trasportano petrolio e gas dall’Azerbaigian attraverso il Caucaso, e entrambi passano a soli 60 chilometri dal Nagorno-Karabakh. 

Quelle montagne nere valgono bene una guerra.

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