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Mondiali – Italia, non fare scherzi: Costa Rica fa assonanza con… Corea

Di nazionali materasso, che un tempo venivano prese a pallonate, non ce ne sono quasi più – Ma anche quando c’erano, come la Corea del Nord nel 1966, è capitato a nazionali come l’Italia di incappare in figuracce: figuriamoci adesso che la Costa Rica è reduce dal 3-1 rifilato all’Uruguay – Prandelli come Fabbri? Incrociamo le dita e speriamo di no.

Mondiali – Italia, non fare scherzi: Costa Rica fa assonanza con… Corea

Di nazionali materasso, che venivano prese a pallonate con risultati tennistici, se ne vedono sempre meno. Anzi non ce ne sono quasi più, stando ai risultati di avvio del Mundial brasiliano. L’Iran ha retto benissimo alla Nigeria. Gli Stati Uniti hanno fatto secco il Ghana. Solo l’Honduras si è arreso alla Francia giocando però quasi un’ora in inferiorità numerica. La Costa Rica addirittura ha strapazzato l’Uruguay di Cavani battendolo 3-1. Ed ora nel girone condivide il primato con l’Italia in vista dello scontro di questo venerdì a Recife.

Per il calcio azzurro, inebriato dal successo sugli inglesi, la goleada di Joel Campbell e compagni sulla “celeste” – che proprio al Maracanà contro il Brasile nel 1950 si laureò per la seconda volta campione del mondo – è un bel monito a stare concentrati. “Una sana paura”, dice De Rossi nel ritiro di Mangaratiba. Di certo non sarà una passeggiata, anche se confrontando i rispettivi movimenti calcistici è la classica partita tra Davide e Golia. Quella di Recife sulla carta ha tutta l’aria di appartenere a quella categoria di partite che si sono rivelate clamorosi tranelli per la nazionale italiana precipitandola negli inferi del pallone.

Pak Doo Ik, basta citare questo nome per mettere brividi e vergogna alla pedata nazionale, il tipografo arruolato nell’esercito di Pyongyang, calciatore per scelta del regime, che ha addirittura trasformato nei nostri dizionari la parola Corea da temine puramente geografico a sinonimo di disfatta, condannando Edmondo Fabbri, il ct della spedizione azzurra ai mondiali inglesi del 1966, a un’esistenza di tormenti , quasi che dopo quella sciagurata partita di Middlesbrough fosse divenuto il grande traditore della patria.

Il caso ha voluto che Fabbri morisse l’8 luglio 1995, esattamente nello stesso giorno in cui 29 anni prima era sbarcato in Inghilterra alla guida della nazionale azzurra per giocarsi il Mondiale del riscatto dopo quattro edizioni del dopoguerra, una più infausta dell’altra (addirittura nel 1958, l’anno della rivelazione di Pelé, non ci qualificammo per la fase finale in Svezia!). La marcia di avvicinamento era stata entusiasmante: sei gol a Finlandia, Polonia e Bulgaria, tre a Danimarca, Scozia e Argentina e cinque al Messico nell’ ultimo collaudo prima di volare in Inghilterra.

Anche all’esordio gli azzurri fecero scintille: due gol di Barison e Mazzola misero kappaò il Cile vendicando la sconfitta subita nella burrascosa sfida di quattro anni prima ai mondiali di Santiago. Nemmeno l’insuccesso di misura con i sovietici (gol di Cislenko) sollevò grosse preoccupazioni nel clan azzurro. Per qualificarsi sarebbe bastato sbarazzarsi della Corea del Nord, un’assoluta sconosciuta nel pianeta calcio che Ferruccio Valcareggi, vice di Fabbri, era andato a spiare, definendola sarcasticamente “una squadra di Ridolini”.

Ma la sera del 19 luglio, data dell’incontro, ci fu davvero poco da ridere. Anzi, Un diagonale secco di Pak Doo-Ik, che si infilò nella rete di Albertosi al 42’ del primo tempo, mandava a casa anzi tempo tra gli sbeffeggi del mondo i milionari italiani. Un Paese andava in tilt per un dramma sportivo che ciascuno di noi ha ben presente ancora oggi dove l’ha vissuto. Personalmente ero allo Stelvio al Rifugio Pirovano dove ancora d’estate si poteva sciare sul ghiacciaio che oggi non c’è più. Da poco era stata introdotta per la prima volta l’ora legale e le ombre della sera parevano non arrivare mai a spegnere gli ultimi raggi del sole. Ma a Middlesbrough era già buio pesto.

Fabbri non si tolse più di dosso l’onta di quella sconfitta, che l’accompagnò togliendogli il sonno e anche qualche anno di vita. Eppure di figuracce contro “nazionali di Ridolini”, per usare le parole di Valcareggi, l’Italia ne ha fatte non poche dopo quella coreana che fu la madre di tutte le disfatte.  Un’altra Corea, quella del Sud, con l’aiuto palese di un arbitro corrotto come l’ecuadoriano, Byron Moreno – finito poi in galera per spaccio di droga – fu fatale a un altro nostro big della panchina, Giovanni Trapattoni, sconfitto agli ottavi al Mondiale nippo-coreano del 2002 dal golden gol di Ahn (che giocava nel Perugia di Gaucci).

Anche un vincente come Marcello Lippi è finito sul banco degli imputati per l’umiliante prova degli azzurri al Mondiale sudafricano, ultimi in un girone che di ferro non aveva proprio nulla se non le gambe e le menti dei giocatori italiani e del loro allenatore. Pareggiammo all’esordio con il Paraguay e ci può stare ma nessuno poteva immaginarsi che alla seconda partita Shane Edward diventasse una sorta di Pad Doo-Ik neozelandese realizzando il gol della vita che a mala pena la squinternata truppa azzurra riuscì a pareggiare alla fine con Iaquinta.

Non avendo battuto nemmeno la Nuova Zelandia zeppa di dilettanti, autentica cenerentola del torneo, gli azzurri erano praticamewnte estromessi dal Mondiale. La successiva sconfitta con la Repubblica Slovacca di Hamsik – un’altra partitaccia da dimenticare – mise fine all’avventura azzurra di Lippi, che era tornato in nazionale convinto di ripetere il trionfo tedesco di quattro anni prima. Ma, bocciati Rossi e Cassano, ancora acerbo Balotelli, Lippi aveva sfornato una nazionale modesta, che già l’anno prima alla Confederations Cup era riuscita a perdere anche con l’Egitto. 

Dignitosa con i forti, l’Italia rischia sempre di sbragare con i deboli. Anche Cesare Prandelli, il successore di Lippi, si è subito accorto del vulnus del pallone italico, molle e svogliato con gli avversari che non ritiene di rango. Il pareggio 2-2 con Haiti – eliminato sul cammino dei mondiali da Antigua & Barbuda – alla vigilia dell Confederations Cup del 2013, le troppe sconfitte in amichevoli spesso inutili, il pareggio con il Lussemburgo alla vigilia di questo mondiale brasiliano. La storia si ripete troppo spesso per non essere pericolosa. Ecco perché in vista della Costa Rica è meglio che a Mangaratiba ci sia un po’ di “sana paura” di cui ha parlato De Rossi, che metta al bando l’Italia che non piace a nessuno: quella spocchiosa e irritante che soffre contro Malta, che perde in Islanda e che stenta a segnare anche con le Isole Far Oer.    

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