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Moda italiana: da Prada a Giorgio Armani ecco i campioni di ricavi. Per il settore giro d’affari di 82 miliardi

L’ultimo report di Mediobanca sulla moda italiana analizza un settore in crescita anche nel 2023 ma distante dalla Borsa: solo il 17,5% del fatturato aggregato è prodotto da società quotate

Moda italiana: da Prada a Giorgio Armani ecco i campioni di ricavi. Per il settore giro d’affari di 82 miliardi

Prada, Luxottica Group, Calzedonia, Moncler e Giorgio Armani. Sono le aziende che si piazzano ai primi 5 posti della classifica per fatturato delle aziende della moda Italiana. Un comparto che nel 2022 ha registrato una crescita a doppia cifra e che continuerà a crescere, anche se a ritmo inferiore, anche nel 2023. È quanto emerge dal nuovo report sulle Maggiori Aziende Moda Italia realizzato dall’Area Studi Medibanca e pubblicato nel giorno in cui apre i battenti la Milano Fashion Week Autunno/Inverno 2023. Lo studio aggrega i dati finanziari di 152 società della moda con sede in Italia e fatturato individuale superiore a 100 milioni di euro. Il rapporto

Moda Italiana: nel 2022 82 miliardi di euro di ricavi (+20%), 2023 in crescita

L’incertezza del contesto macroeconomico dovuto alla guerra e alla crisi energetica e il quarto trimestre influenzato dalla recrudescenza del Covid-19 in Cina, non sono riusciti ad arrestare la corsa della moda italiana che, secondo i dati preconsuntivi, ha archiviato il 2022 con una crescita del giro d’affari nominale a livello aggregato del 20% a quota 82 miliardi di euro (+21% sul 2019). A trainare i ricavi sono le vendite all’estero, in aumento del 24% sul 2021. Forte progressione anche per gli investimenti, che dovrebbero attestarsi a un +35%.

Anche il 2023 sarà un anno positivo per il settore. Mediobanca prevede infatti un ulteriore incremento del giro d’affari dell’8% che porterebbe l’aggregato delle maggiori aziende Moda Italia a sfiorare i 90 miliardi, “all’interno di uno scenario in rallentamento macroeconomico, in un contesto di tassi di interesse che vanno normalizzandosi verso l’alto e con le tensioni inflazionistiche in decelerazione”, si legge nel report che sottolinea come, sul fronte delle vendite, “si rilevano segnali di ripresa dei consumi e la riapertura della Cina si prefigura come un’opportunità e un importante driver della crescita”.

E il 2021? Nel 2021 il giro d’affari delle 152 maggiori aziende della moda ha evidenziato una ripresa a “V” a 68,6 miliardi di euro, +32,7% sul 2020, superando dello 0,9% i livelli pre-pandemici, con l’impiego di quasi 260mila dipendenti (+1,3% sul 2020 e -4,4% sul 2019). Il fatturato estero ha registrato un rimbalzo più sostenuto (+35,7%) rispetto a quello nazionale (+28,7%). I produttori di alta gamma hanno reagito con maggior forza rispetto a quelli mass-market, superando i livelli del 2019 dell’1,1%, mentre i produttori della fascia più economica viaggiavano ancora al di sotto dei livelli pre-crisi (-3,6%). Le medie imprese a controllo italiano hanno segnato una ripresa più incisiva (+6,6% sul 2019) rispetto alle grandi (-1,7%) e a quelle a controllo estero (+3,3%), a conferma della maggiore dinamicità e flessibilità di questa classe dimensionale, fiore all’occhiello del sistema industriale italiano.

Moda italiana: valore aggiunto pari all’1,3% del Pil

Le 152 maggiori aziende della moda con sede in Italia analizzate dall’Area Studi Mediobanca registrano un valore aggiunto pari all’1,3% del Pil nazionale nel 2021 e sono distribuite in tutta la penisola, con prevalenza nel Nord (111 unità), seguito dal Centro (32). 

Sotto il profilo settoriale, tra le imprese manifatturiere spicca l’abbigliamento che determina il 28,6% dei ricavi aggregati 2021, seguito da pelli, cuoio e calzature (23,1%). 

Le produzioni riferibili all’alta gamma cubano il 73,2% del totale dei comparti abbigliamento, pelletteria e tessile. Importante anche la presenza di gruppi stranieri nella moda italiana: 58 delle 152 aziende hanno una proprietà estera che controlla il 43,6% del fatturato aggregato (il 24,2% è francese), a conferma dell’apprezzamento oltreconfine del Made in Italy. 

Andando avanti con i dati, il 73,7% del fatturato complessivo di queste aziende proviene dall’estero, con in testa la gioielleria (80,3%), l’occhialeria (78,0%) e le pelli, cuoio e calzature (76,9%), mentre la base produttiva è principalmente italiana: il 68% degli insediamenti manifatturieri è ubicato in Italia (l’83% per le aziende d’alta gamma), mentre il restante 32% è in Paesi stranieri: 17% Europa, 8% Asia, 5% Africa e 2% Americhe. 

Da Prada ad Armani: i ricavi delle big della moda italiana

Le prime venti aziende rappresentano da sole oltre la metà del fatturato aggregato. Volendo stilare una classifica per fatturato, al primo posto si piazza Prada, con ricavi pari a 3,4 miliardi di euro. Medaglia d’argento per Luxottica Group, consolidata dalla multinazionale EssilorLuxottica, con 3,2 miliardi, bronzo per Calzedonia Holding con 2,5 miliardi. Seguono Moncler e Giorgio Armani con un giro d’affari di 2 miliardi ciascuno.

Fonte: Mediobanca

La moda e la Borsa

Un’altra caratteristica interessante riguarda la lontananza della moda italiana dalla Borsa: solo il 17,5% del fatturato aggregato, pari a 12 miliardi di euro, è prodotto dalle undici società quotate tra quelle prese in analisi, vale a dire: Aeffe, Basicnet, Brunello Cucinelli, Lir-Geox, Moncler, OVS, Piquadro, Prada (quotata a Hong Kong), Safilo Group, Salvatore Ferragamo, Tod’s (È esclusa la Ermenegildo Zegna che ha sede in Olanda). Il restante 82,5% (56,6 miliardi di euro) è generato dalle 141 non quotate. 

Dopo il rimbalzo del dicembre 2021 (+29,4% sul 2020), la capitalizzazione a fine 2022 ha chiuso in ribasso del -14,4% sul 2021, attestandosi a 37,6 miliardi di euro, pari al 5,3% del valore dell’industria della Borsa Italiana, esclusa Prada. “Nel primo scorcio del 2023 si evidenzia una ripresa (+15,8% a metà febbraio 2023)”, sottolinea il report.

Al 15 febbraio 2023 il podio di Borsa è occupato da Prada (15,9 miliardi), seguita da Moncler (15,7 miliardi) e Brunello Cucinelli (5,5 miliardi); medaglia di legno per Salvatore Ferragamo (3,0miliardo), quinta Tod’s (1,2miliardi). “Tutte le altre società del panel registrano una capitalizzazione inferiore al miliardo di euro”, conclude il report.

Lavoro e sostenibilità

Il 26,5% della forza lavoro delle maggiori aziende della moda ha mediamente meno di 30 anni, mentre l’84,6% dei dipendenti è assunto a tempo indeterminato. Dall’analisi della varietà di genere emerge che la presenza femminile cala all’aumentare del livello di responsabilità: la quota di donne sul totale della forza lavoro è mediamente pari al 69,5%, ma scende al 35,7% nei ruoli direttivi e al 22,6% a livello di board. La massima presenza femminile nei CdA è appannaggio dei gruppi quotati (41,9%), seguita da quella delle medie imprese (33,0%). 

Sotto il profilo della sostenibilità “emerge la crescente attenzione alle tematiche ESG, accelerata dalla pandemia”, si legge nel rapporto. Numeri alla mano, le aziende italiane della moda mediamente diminuiscono le emissioni di CO2 (da 1.766 tonnellate di CO2 per un milione di fatturato nel 2020 a 1.462 nel 2021; -20,8%) e i rifiuti prodotti (da 2,9 tonnellate per un milione di fatturato nel 2020 a 2,4 nel 2021; -17,2%), mentre aumenta il ricorso alle fonti rinnovabili (dal 38,4% nel 2020 al 43,4% nel 2021) e la quota di rifiuti riciclati (dal 65,5% nel 2020 al 73,5% nel 2021).

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