Giornate calde per la galassia Berlusconi. Tutto è cominciato ieri con l’assemblea del Milan, forse l’ultima che si chiuderà con diversi versamenti Fininvest. Ovvero 99 milioni così suddivisi: 53 milioni con versamento in conto capitale o copertura perdite 46 milioni per parziale utilizzo del versamento in conto capitale, già effettuato il 20 marzo 2015 per un totale di 60 milioni.
Per l’anno 2014, il Milan chiude con un rosso di 91,3 milioni, sufficiente a metter d’umore nero Marina Berlusconi. Da oggi, salvo sorprese, entrerà nel vivo il derby asiatico tra il thailandese Bee, in giro per Milano a fare shopping, e il cinese Richard Lee per aggiudicarsi il controllo (“finale tutt’altro che certo” ammonisce Adriano Glliani) di quello che da sempre è stato uno dei gioielli più cari dell’impero del leader di Forza Italia: la squadra rossonera destinata, assicura Alberto Forchielli, il fondatore del fondo Mandarin, ad un futuro cinese secondo le direttive dello stesso presidente Ji Xingping, che vuole far crescere al più presto una squadra all’altezza delle ambizioni del Drago.
Ogni giorno è buono, intanto, per la pubblicazione della sentenza del Tar del Lazio sul ricorso di Silvio Berlusconi contro l’obbligo disposto dalla Banca d’Italia di vendere la quota che eccede il 9,9% di Fininvest in Mediolanum per effetto della perdita dei requisiti di onorabilità dell’ex premier, condannato in via definitiva per frode fiscale.
Infine, dopo lo “strappo” al rialzo di lunedì il titolo Mediaset galleggia attorno alle quotazioni della vigilia in attesa di novità che potrebbero arrivare già oggi, in occasione dell’assemblea del gruppo media, oppure si dovrà attendere l’esito del board di Vivendi del 12 maggio, quando, secondo L’Expansion, Vincent Bolloré presenterà ai consiglieri del colosso media parigino, forte di 11 miliardi cash, i piani di crescita che potrebbero prevedere una proposta d’acquisto del Biscione. Nell’attesa, il mercato scommette su Telecom Italia, di cui presto Vivendi sarà l’azionista numero uno.
Insomma, la situazione è in pieno movimento, cosa che autorizza speculazioni d’ogni tipo. Ma la gande novità è che l’ipotesi di un passo indietro di Silvio Berlusconi dall’area finanziaria non è più considerata fantascienza. Anzi, si ha la sensazione di un processo già in atto, più un riposizionamento legato ad esigenze familiari e politiche (oltre all’anagrafe) che non una ritirata.
Ma è credibile l’ipotesi di un’uscita di Fininvest da Mediaset? Non è difficile prevedere una smentita colorita da parte di Fedele Confalonieri e di Pier Silvio Berlusconi in occasione dell’assemblea, sia a proposito dell’offerta di Bolloré che di quella che potrebbe arrivare da Sky. Al più, è possibile ipotizzare un accordo con Telecom Italia per l’utilizzo della piattaforma di Mediaset Premium, già aperta a Telefonica. Ma, al di là delle smentite, molti indizi suggeriscono che qualcosa potrebbe cambiare sull’orizzonte del gruppo. Per vari motivi.
Mediaset resta una realtà limitata al mercato italiano e spagnolo in un ring competitivo che ha ormai assunto dimensioni globali. In questi anni il gruppo del Biscione ha saputo difendere la redditività, nonostante le difficoltà del mercato pubblicitario. Ma il giro d’affari staziona sui valori di dieci anni fa (attorno ai 3,67 miliardi di fatturato) con un utile di 23,7 milioni, di poco superiore all’1 per cento dei ricavi. Insomma, il gruppo guadagna poco, come dimostra del resto la quotazione di Borsa, attorno alla metà del 2005. Nel frattempo, Fininvest ha ceduto nel febbraio scorso una partecipazione pari al 7,74% riducendo la sua quota al 33,4%.
Un’operazione, si leggeva nel comunicato della finanziaria, legata alla volontà di “proseguire nel rafforzamento della struttura finanziaria e patrimoniale della società e di agevolare eventuali investimenti in un’ottica di diversificazione del portafoglio azionario”. Formula ambigua che si presta a più letture. Del resto anche l’investimento più importante, cioè i 700 milioni a fronte dell’esclusiva per tre anni della Champions League possono essere interpretati più come una mossa per creare appeal di fronte ad un eventuale partner che un’operazione con un sicuro ritorno economico.
Davvero si può immaginare Mediaset senza un Berlusconi? Difficile. Ma è assai più facile ipotizzare un’alleanza a più punte che possa permettere alla società del Biscione di affrontare la sfida a tutto campo che si profila tra produttori di contenuti ormi così impegnativi che richiedono mercati di sbocco internazionali e detentori delle reti.
Una combinazione tra Vivendi (vedi Canal plus più Universal), Telecom Italia, Mediaset Premium supportata da Mediobanca (di cui Bolloré è l secondo azionista) potrebbe affrontare una competizione ameno europea in cui si profila il blocco Vodafone-Sky Europe, lasciando a Rupert Murdoch l’onore di dar la scalata a Time Warner dopo il fallimento del matrimonio con Comcast del gruppo Usa. Senza dimenticare gli altri intrecci tra i produttori di contenuti come Netflix e le tlc decise a battere terreni più redditizi prima di venir fagocitate dai grandi del web.
In questa grande corrida ha senso che la famiglia Berlusconi, magari facendo ricorso al voto plurimo, continui la sua ritirata dai terreni di gioco più dispendiosi garantendosi comunque una posizione solida sul piano finanziario, attiva sul piano del business (vedi Mondadori) e più flessibile, in vista di possibili ripartizioni tra gli eredi. In attesa che il patriarca Silvio non sconvolga i giochi con una mossa a sorpresa cosa che, trattandosi di lui, non sorprenderebbe più di tanto.