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Mediterraneo: un tuffo nei rifiuti di plastica

Da ENIDAY – “Dopo l’istante magico in cui i miei occhi si sono aperti nel mare, non mi è stato più possibile vedere, pensare, vivere come prima” disse Jacques-Yves Cousteau, un ufficiale di marina francese che ha passato tutta la sua vita navigando i mari per studiarli. Entro trent’anni la situazione sarà differente e quando i nostri occhi si poggeranno all’orizzonte per scrutare il mare vedranno solo una marea di plastica…

Mediterraneo: un tuffo nei rifiuti di plastica

Da quando è stato scoperto, il polimero utilizzato per creare la plastica ha trovato rapidamente grande diffusione, complice anche l’avvento dei beni di consumo su larga scala e l’estrazione degli idrocarburi che ne hanno favorito il suo utilizzo. Lo sviluppo tecnologico ed economico hanno fatto il resto, abbattendo il prezzo di questo materiale permettendogli così di trovare largo impiego in diversi settori. La crescita della produzione è stata nel tempo esponenziale: si è passati da produrre circa 2 milioni tonnellate annui di plastica, dato risalente agli anni ’50, ad oggi in cui la produzione mondiale si stima sia pari a 380 milioni di tonnellate. Le previsioni future arrivano a prevederne 25 mila milioni di tonnellate entro il 2050.

Numeri da capogiro se si pensa che si riesce a riciclare correttamente solo il 20% di tutta la plastica prodotta ed immessa nel mercato. Il resto finisce bruciato, contribuendo ad aumentare i livelli di inquinamento atmosferico con tutti i problemi annessi quale ad esempio il riscaldamento globale, oppuredisperso nell’ambiente con un impatto negativo sulla flora e la fauna. A soffrire di questa situazione sono soprattutto i mari del nostro Pianeta: entro il 2050, anno in cui si stima che la plastica raggiungerà il massimo picco di produzione, nelle acque salate di tutto il mondo nuoteranno più residui plastici che pesci. A risentire di questo enorme danno è anche il Mar Mediterraneo.

Da una recente indagine effettuata sulle spiagge italiane è emerso che in media ogni 100 metri di sabbia ci sono 670 rifiuti abbandonati, 84% dei quali di tipo plastico. Secondo alcuni studi la concentrazione di plastica nelle nostre acque è proporzionalmente superiore a quella dell’Oceano Pacifico in cui vi è la famosa Great Pacific Garbage Patch, un’isola di plastica di dimensioni immense, con una superficie grande come 3 volte quella della Francia, la più vasta fino ad ora conosciuta e che si è formata in un unico punto a causa del vortice subtropicale che determina le correnti oceaniche.

Il danno per l’ecosistema marino è immenso soprattutto per un mare, come quello Mediterraneo, in cui a causa dello stretto di Gibilterra il ricambio di tutta l’acqua presente avviene in un ciclo lungo ben 100 anni. Lo stretto è infatti l’unico accesso all’Oceano Atlantico ma non è sufficientemente ampio per consentire un veloce riciclo delle acque. Situazione ulteriormente aggravata dall’inquinamento causato dal traffico marittimo che si stima essere il 30% di quello mondiale. La dispersione di materiale plastico in acqua sta causando numerosi problemi: in tutta la zona mediterranea vive quasi l’8% di tutte le specie marine ad oggi conosciute.

La scomparsa di una di queste si tradurrebbe in un danno enorme per il fragile equilibrio marino, con danno da non sottovalutare per il benessere di questo mare e il suo impatto anche sulla nostra vita quotidiana. La scomparsa di un animale ha infatti ripercussioni negative su tutta la catena dell’ecosistema coinvolta. Senza contare i danni collaterali. La minore presenza di pesci mette a rischio anche la vita degli uccelli, mettendo a serio rischio la biodiversità. Di fronte ad un problema di tale portata rimane urgente trovare una soluzione. Tra le linee guida proposte dall’Unione Europea stessa c’è l’obbligo di ridurre il più possibile l’utilizzo della plastica, ad esempio sostituendo i sacchetti di plastica del reparto ortofrutticolo dei supermercati con quelli biodegradabili; riciclare il più possibile con una corretta differenziata ed evitare la dispersione nell’ambiente.

Queste soluzioni non sembrano però essere sufficienti e per questo motivo si stanno studiando e immettendo nel mercato le bioplastiche che derivano da prodotti rinnovabili, come il mais. Se da una parte sono la soluzione migliore per ridurre la dispersione di microplastiche nelle acque di tutto il mondo dall’altra però creano altri problemi: necessitano di ampi spazi per la coltivazione, che potrebbero invece essere dedicati alla produzione di colture per l’uomo, e richiedono un apporto di acqua dolce per l’irrigazione davvero notevole.

Nel mentre si stanno studiando anche soluzioni per ripulire i mari dalla plastica presente, riducendo così l’indice di mortalità in aumento di numerosi animali. Pensiamo per esempio alle tartarughe, il 52% delle quali hanno almeno una volta nella loro vita ingerito residui plastici, con danni enormi molto spesso anche mortali. Sono così nate associazioni per ripulire, molto spesso con l’uso di robot, le acque riciclando poi la plastica raccolta per realizzare altri prodotti, e si stanno studiando le correnti per capire meglio dove avverrà l’accumulo di questo materiale e poterlo così raccogliere più velocemente.

Da Eniday.

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