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Mauro Ricciardi, l’impegnativa eredità di Paracucchi

Prima allievo, poi amico, poi erede, poi successore del grande Angelo Paracucchi, nella mitica “Locanda dell’Angelo” ad Ameglia, lo Chef Mauro Ricciardi, stella Michelin ha bruciato tutte le tappe in cucina. E pensare che tutto parte da un impiego all’ENEL.

Mauro Ricciardi, l’impegnativa eredità di Paracucchi

Raccogliere l’eredità di Angelo Paracucchi, uno dei padri della “nuova cucina italiana”, innovatore dei nuovi equilibri ai fornelli, nel superamento della linea tra dolce e salato, nell’ideare nuove consistenze, dello studio della struttura biochimica degli alimenti, fra i primi 7 ristoratori e chef d’Italia a vedersi attribuita la stella Michelin alla fine degli anni ’70, primo professionista della cucina Italiana ad essere invitato ad aprire un ristorante in Francia, primo ristorante Italiano all’estero a conquistare una stella Michelin nel 1990, è cosa da far tremare i polsi.

E raccogliere questa eredità, non virtualmente, ma fisicamente, proprio nel locale di Ameglia in quello che fu il regno di Paracucchi che da quei locali agitò le acque chete della ristorazione italiana affermando fra i primi il concetto di un’offerta basata sull’alta qualità, cosa oggi acclarata ma all’epoca rivoluzionaria, aprendo clamorosamente le porte alla modernità, al punto che per realizzare la sua Locanda dell’Angelo si scomodò uno dei grandi maestri dell’architettura italiana, il grande Vico Magistretti, è stata impresa non meno temeraria.

Per tutti non per Mauro Ricciardi, oggi 67enne, che frequentò a lungo la cucina della Locanda dell’Angelo, apprendendo, studiando, incamerando concetti e raffinando la propria cultura culinaria con le esperienze vissute stando accanto al grande Paracucchi che lo aveva preso in simpatia vedendo il furor sacro che lo animava. Un furor sacro che è scoppiato d’improvviso perché il buon Ricciardi mai aveva pensato da giovane di finire dietro ai fornelli, e tantomeno avrebbe mai immaginato di riuscire addirittura a conquistare la prestigiosa stella Michelin in quel ristorante che incuteva a tutti tanta soggezione.

Ma andiamo per ordine. Mauro Ricciardi, nasce a Ceparana frazione del comune di Bolano in provincia di La Spezia nel 1952. E fin da piccolo prende coscienza della cultura della natura dai nonni e dai genitori che facevano i contadini in una casa colonica nella piana di Ceparana, una bella fattoria nella quale si è svolta praticamente tutta la loro vita.

Le giornate iniziavano presto alla mattina e finivano tardi alla sera. La nonna Ida aveva il compito di svegliarlo e preparargli la colazione e di lì incominciava la sua giornata. Che, se fosse stato per lui, sarebbe trascorsa  tutta intera nei campi assieme ai nonni e ai genitori a vedere zolle rivoltate, lombrichi attorcigliati, lucertole in fuga, i primi germogli delle semine, il crescere delle piante e infine lo sbocciare dei prodotti. Un mondo che lo affascinava.

La gioventù fra scuola e passione per la campagna

Ma giustamente sua madre Maria su questo era intransigente. Come tutte le mamme, si immaginava suo figlio, l’orgoglio della famiglia, lontano dagli umili e gravosi lavori dei campi, seduto a una bella scrivania o impegnato in un lavoro di soddisfazione e di crescita personale. Come darle torto?

Per cui durante i mesi di scuola, Mauro raramente riusciva di pomeriggio, finiti i compiti, a concedersi qualche fuga nei campi coltivati a seguire le sue passioni, poi la sera dopo Carosello era d’obbligo il letto, per essere fresco il giorno dopo ad affrontare la scuola.

Tuttavia grazie ai buoni uffici della nonna qualche eccezione, quando divenne adolescente, era possibile: “il mio massimo – ricorda oggi con nostalgia – era, prima di andare a scuola, vedere e aiutare nel limite la mia nonna che mungeva le mucche e poi bermi il latte ancora caldo o qualche volta andare, alle quattro di mattina, al mercato con lei, a vendere i prodotti meravigliosi coltivati nella nostra fattoria, fagioli, patate, zucchine per rientrare alle 7,30 e poi di corsa a scuola”.

Ma, terminato l’anno scolastico allora le cose cambiavano totalmente.  Andando nei terreni coltivati dai suoi era sempre rimasto affascinato dai trattori e dalle macchine agricole e perciò era sempre presente, nel primo mattino, con il fresco, al lavoro nei campi a manovrar trattori. Il periodo più bello era poi quello della mietitura del grano “periodo meraviglioso perché si radunavano per aiutarci tante altre persone e mi ricordo ancora le ricche mangiate finito il lavoro”.

In famiglia allevavano diversi animali maiali: conigli, galline polli un po’ di tutto oltre mucche e 10 vitelli.

E un altro ricordo della sua gioventù è legato ai giorni invernali “quando uccidevamo i maiali, tre per la precisione, che poi mio padre Giorgio con arte trasformava in salumi … i migliori salami della mia vita me li sogno ancora adesso. Un ricordo che non cancello al punto che tuttora, quando è il periodo, compro un mezzo maiale e lo lavoro con gli attrezzi di mio padre, che ho conservato gelosamente, e devo dire che non vengono male”.

Mauro, oltre al lavoro nei campi e alla macellazione degli animali coltivava anche un’altra passione, la pesca e quasi tutti i giorni se ne andava sulle rive del Fiume Vara, che scorreva vicino alla sua fattoria dei suoi, a pescare barbi, trote, cavedani e anguille.

Insomma con tutte queste premesse e con quelle, sane passioni, per la campagna, la carne e il pesce, uno si immagina che il giovane Mauro si sentisse attratto dalla cucina. Neanche per sogno! Gli piaceva sicuramente mangiare bene, guardava con curiosità e con emozione la nonna, molto brava in cucina, preparare il pranzo o la cena per le persone che lavoravano nei campi, gli piaceva dare una mano quando si trattava di lavorare la pasta per le tagliatelle o ravioli, o quando si impastava il pane e poi si aspettava la lievitazione accendendo il grosso forno a legna. Ricorda ancora con emozione il profumo degli arrosti che gli faceva venire un certo languorino, del pane appena sfornato, ricorda come gli piacevano le torte di riso e di verdura con i prodotti raccolti nei campi che preparava la mamma Maria, ma a fare il cuoco proprio non ci pensava.

Un lavoro all’ENEL poi l’acquisto di un piccolo albergo al mare

Quando arriva il momento della scuole superiori che devono indirizzarlo verso orizzonti lavorativi, il giovane Ricciardi “senza avere ancora le idee ben chiare sul mio futuro” si iscrive ad un istituto tecnico per elettrotecnici, più che per scelta consapevole, per far contenti i suoi genitori. Prende il diploma. Tutti si aspettavano a questo punto che imboccasse la strada dell’Università. E invece il ragazzo preferisce affrontare subito un lavoro da elettrotecnico. Anche se, oggi confessa, “Ero un pò confuso, non sapevo cosa avrei fatto da grande. Di sicuro, ero certo, che non avrei fatto l’elettrotecnico ma ormai il patatrac era fatto e dovevo lavorare”.

Inizia con una piccola ditta del paese. Poi gli si presenta la grande occasione di un posto sicuro all’ENEL.

Era quello che volevano i suoi genitori Giorgio e Maria e anche sua moglie Bruna che agli inizi lavorava in una casa tipografica, ma era un lavoro che non le dava soddisfazione.

Ed è così che con i primi guadagni messi da parte e firmando qualche impegno con le banche, Mauro e Bruna decidono di comprare un piccolo albergo sul mare ad Ameglia con spiaggia. Ovviamente ci sono le scadenze da pagare per cui Mauro prudentemente non lascia il lavoro ben retribuito all’ENEL che resta una garanzia, ma nel tempo libero corre a dare una mano alla moglie.

L’Albergo fortunatamente rende e a Mauro viene l’idea, per arricchire l’offerta, di completarlo con un piccolo ristorante. Lui serve in sala e in cucina c’è un cuoco ma si rende conto che bisogna avere ben altra cultura per portare avanti il locale. Così gli balena l’idea che occorre impegnarsi in prima persona in cucina per raggiungere importanti risultati.

La scelta che ti cambia la vita, l’incontro con Angelo Paracucchi

Per questo non cerca scorciatoie facili, si iscrive a un corso di cucina presso il ristorante “La Locanda dell’Angelo” di Angelo Paracucchi, non distante dal suo albergo. Avere l’onore di vedere il grande chef ai fornelli per Mauro e come recarsi a Lourdes a pregare davanti alla Madonna sperando che faccia il micacolo di diventare un grande cuoco. Sempre alla Locanda stringe amicizia con Gianluca Guglielmi, che ha già una carriera di tutto rispetto alle spalle, ristoranti importanti, grandi indirizzi e ora è sous chef alla Locanda dell’Angelo, raffinato interprete di cucina regionale italiana. Mauro ha un colpo di genio: gli propone di andare a lavorare nel suo ristorante. E il bello è che Guglielmi accetta, come a dire che l’audacia paga sempre.

E’ l’inizio di una nuova, entusiasmante avventura. La vita ricomincia a 40 anni. 

“In cucina con lui – dice Mauro – ho veramente imparato le basi”. Il ristorante dell’albergo comincia ad avere una clientela affezionata, in due anni viene completamente rinnovato e ristrutturato, si assume nuovo personale, e riceve un nome “La locanda delle Tamerici” con una reverente e scaramantica assonanza con la Locanda dell’Angelo.   Il nuovo ristorante si fa conoscere rapidamente in giro.

Come accade quando una passione ti colpisce da grande, Mauro Ricciardi, viene colto da bramosia di imparare, di crescere, di bruciare le tappe e recuperare il tempo perduto. Paracucchi lo ha preso in simpatia e lui continua a frequentare la sua cucina e ad apprendere, memorizzando tutti i consigli del grande maestro. Ora è in grado di prendere in prima persona la guida del ristorante.

Non si limita a questo, frequenta anche altri chef e nel periodo del mese e mezzo di chiusura va a fare esperienza in varie cucine importanti e all’Etoile per i dessert.

“Che dire? – riconosce Ricciardi – tra Guglielmi e Paracucchi hanno segnato la mia strada non facile, piena d’insidie e difficoltà: 16 – 18 ore al giorno di prove e riprove per migliorare, equilibrare i sapori, perfezionare le cotture.  Però devo dire grandi risultati e soddisfazioni per me, e in modo molto particolare per mia moglie Bruna alla quale – cavallerescamente, ndr – concederei il 60% della mia carriera”.

Insomma la barca prende il largo con molto onore ma un grande rimpianto resta però a Ricciardi ed è per i suoi genitori: ”dal momento in cui mi sono dedicato totalmente a questo lavoro ho dovuto trascurare mio padre Giorgio e mia madre Maria. Ora che non ci sono più sento veramente la loro mancanza come avverto il loro sprone ad andare avanti. Sono stati di grande aiuto morale mi hanno sempre sostenuto senza eccedere in complimenti ma li sentivo molto parte della mia avventura”.

La grande gratificazione che certifica il suo ingresso nel mondo dei grandi chef arriva nel 1997 mentre era a fare il corso di pasticceria all’Etoile: la stella Michelin “a dire il vero inaspettata, tanto che, quando mia moglie me lo comunicò per telefono, non ci credetti, pensavo che mi prendesse in giro. Per me fu una bomba a ciel sereno, da quel momento la mia vita è cambiata realmente. Anche se sono trascorsi vent’anni, mi sembra ieri”.

La Locanda delle Tamerici nel frattempo si arricchisce di una nuova presenza importante. Ricciardi punta gli occhi su una maitre di sala giovane ma con grandissime qualità Paola Bacigalupo: “gli espongo il tutto lei accetta lascia il suo posto un ristorante stellato ed inizia con me la nuovissima avventura. Vorrei sottolineare che ad oggi lavora ancora con me ed è diventata una collega di cui non potrei fare a meno”.

La Locanda è entrata nel giro dei grandi ristoranti che valgono un viaggio. Comincia ad esser frequentate non solo da gourmet ma anche da un pubblico importante ed esigente, di persone famose. Ma fra tutte Ricciardi ricorda con particolare affetto Indro Montanelli. “Il quale passava l’estate a Monte Marcello una piccolissima frazione di Ameglia e tutti i giorni veniva al mare da noi, a dire il vero era più il tempo che passava in giardino a leggere che al mare. Con lui instaurammo un bellissimo rapporto, ero uno dei pochi ai quali raccontava la sua vita. Era molto esigente sul mangiare, aveva sempre paura che qualcosa gli facesse male o lo avvelenasse e per questo tutte le mattine passava dalla cucina per ordinare personalmente le sue pietanze”.

 Nel 2013 infine la decisiva svolta nella vita di Mauro Ricciardi che è anche una investitura del destino.  Ricciardi chiude la Locanda delle Tamerici che gli ha dato lustro e soddisfazioni e subentra al figlio di Paracucchi, morto in giovane età per un improvviso malore che aveva portato avanti il locale dalla scomparsa del padre. Ricciardi che già lavorava alle cucine, viene investito dell’eredità di proseguire sulle orme del grande Angelo che gli aveva spianato la carriera e che lo aveva in grande stima e lo fa con grande timore reverenziale ma anche con grande determinazione nel portare avanti gli insegnamenti del grande Chef. 

Con grande umiltà Ricciardi ammette: ”Pensavo che questa nuova avventura alla Locanda dell’Angelo sarebbe stata facile e invece non è stata una passeggiata. Muoversi in un tempio della cucina come questo avendo raccolto il testimone da un gigante come Paracucchi ti crea un mare di problemi per sentirti all’altezza della situazione. Ho dovuto ricominciare a faticare per fare fronte al nuovo impegno coinvolgendo moglie Bruna e i miei ragazzi, Paola, Mimosa, Marco, con molta umiltà, amore per questo bellissimo lavoro, sacrifici”.

I primi due anni sono stati durissimi, ovviamente tutti coloro che andavano alla Locanda per godere della cucina del grande Chef si diradarono. Ma alla fine Ricciardi li convinse con il suo operato che la lezione di Paracucchi non era caduta nel vuoto ma anzi si arricchiva ora di nuove angolazioni e sfaccettature. I giudici della Michelin furono i primi a verificarlo conferendogli una stella, e le cose cambiarono.

 Se gli domandi le ragioni del suo successo ti risponde in modo disarmante: “Il mio merito?  Lavoro, lavoro, lavoro, non mi sono montato la testa e ho investito tantissimo sul mia carriera aiutato sempre dal personale e in modo particolare da mia moglie Bruna”.

I suoi piatti sono un mix di tradizione e creatività, di materie diverse che si fondono in risultati che sembrano azzardati sulla carta e invece nel piatto volano verso risultati armonici, non disdegna la modernità dei Greenstar, dei Rotovapor dei Gastrovac, ma solo se in funzione di un percorso che arrivi all’anima della matteria trattata perché per Ricciardi la cucina è “parlare all’anima”: il suo obiettivo è quello di riuscire, con i suoi piatti, a far vivere al cliente un attimo di gioia e far emergere l’essenza di ogni ingrediente senza eccessive manipolazioni. Un’essenza che nella sua cucina si rinnova giorno dopo giorno, al punto che se le materie prime, che pure sono frutto di una ricerca esasperata, non rispondono alle sue aspettative il menù viene completamente stravolto.

“Nonostante passino gli anni, e il tempo che vola, tutte le mattine mi sveglio e vengo al lavoro come 30 anni fa e forse è questa cosa che non mi fa ancora pensare alla pensione. Quando comincerò a fare fatica ad alzarmi alla mattina e non avere più voglia di andare a cercare di persona tutte le materie prime, dal pesce alle verdure, alle farine, allora mi spaventerò e forse sarà l’ora di chiudere. Per ora non ci penso manco lontanamente mi sento ancora di essere molto giovane sia di pensiero che di vita”.

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