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Marco Biagi, a 20 anni dall’assassinio la sua eredità ideale vive nella memoria dei giovani

A vent’anni dal suo omicidio la memoria di Marco Biagi vive nei giovani che nella sua figura avvertono il fuoco della passione. A lui il giusto riconoscimento dovuto ai maestri

Marco Biagi, a 20 anni dall’assassinio la sua eredità ideale vive nella memoria dei giovani

Sono trascorsi vent’anni da quando Marco Biagi venne atteso sotto casa da un commando brigatista e freddato a colpi di pistola, mentre a pochi metri di distanza la famiglia lo aspettava per la cena. 

La memoria di Marco Biagi

Marco ed io eravamo amici da tempo. In tutti questi anni ho fatto la mia parte per onorare la sua memoria, difendere il suo lavoro, collaborare con i suoi allievi, combattere l’odio che aveva armato la mano assassina, coltivare i rapporti con i suoi familiari. 

Nei primi anni è stata una battaglia dura perché a Biagi venivano imputati quei cambiamenti nel mercato del lavoro per i quali  – da giurista – cercava di individuare delle regole e dei diritti, scontrandosi con la faciloneria (purtroppo ancora accanita nelle subculture della sinistra politica e sindacale a cui si sono aggiunti i più recenti populismi) di quanti pretendevano di ricondurre, a colpi di divieti, le nuova figura di prestatori d’opera all’interno dei vecchi schemi. Ma, trascorsi vent’anni, siamo ancora qui a parlare di Marco Biagi. E lo facciamo con persone che quando Marco fu ucciso, se erano già nate, non erano certamente consapevoli di ciò che era successo in Via Valdonica. Perché la memoria di Biagi è ancora un solido monumento al riparo non solo della cancel culture, ma anche dell’usura del tempo, dell’oblio. 

Dalla Fondazione al Centro Studi ADAPT

Certo, questa memoria viene coltivata con impegno e dedizione dalla Fondazione a lui dedicata, a Modena, di cui è animatrice instancabile la moglie Marina, dal Centro Studi ADAPT, fondato da Marco, ma implementato da Michele Tiraboschi, che è divenuto un punto di riferimento per chiunque si occupi di lavoro. Un Centro di approfondimento, di formazione, di documentazione, di raccolte e indagini periodiche nel campo delle relazioni industriali. 

Un Centro che è divenuto una palestra per giovani talenti. Basta osservare il Bollettino settimanale che viene pubblicato online per trovare giovani appena laureati o giunti alla conclusione di un dottorato di ricerca, che si cimentano con note, articoli su temi del lavoro e delle relazioni industriali. Alcuni  di loro seguono veri e propri percorsi di ricerca su filoni (come la contrattazione collettiva) di interesse giuridico o attinente alla storia delle relazioni industriali, nella convinzione che la cultura e la conoscenza devono essere il più possibile diffuse in termini onesti ed accessibili. 

Marco Biagi e i giovani

Come è possibile, mi sono chiesto tante volte, che il pensiero e l’azione di un professore di diritto del lavoro di un Ateneo di provincia possano suscitare ancora tanto interesse, anzi tanta curiosità? 

Nel mondo di ADAPT sono rimaste solo due persone che hanno avuto l’opportunità di conoscerlo e di lavorare con Biagi: Michele Tiraboschi e Silvia Spattini. Gli altri sono venuti dopo e continuano ad aggiungersi anni dopo anni, perché ADAPT è a caccia di giovani talenti. 

Devo ammettere che una risposta – certamente parziale – alle mie domande mi è venuta assistendo, via streaming, alla commemorazione svoltasi il 16 scorso al CNEL in presenza, tra gli altri, del presidente Tiziano Treu (con cui Marco aveva collaborato in varie occasioni) e del ministro Andrea Orlando. In un breve intervento conclusivo l’attuale presidente di ADAPT Emmanuele Massagli è stato capace di cogliere proprio questo aspetto: Biagi e i giovani. 

Gli studenti, i laureati, i dottorandi  – secondo Massagli – avvertono nella figura di Biagi il fuoco di una passione per ciò che è ritenuto giusto che non arretra anche quando si teme per la propria vita. Non è eroismo (Biagi ha vissuto come un incubo quotidiano gli ultimi mesi della sua esistenza ed ha bussato a tutte le porte per ottenere un minimo di quella tutela che gli veniva negata); è senso del dovere. 
In una società in cui trovano posto solo i diritti anche quando sono pigre aspettative e arroganti pretese, coloro che ‘’in vita si ergono a difesa di Termopili’’, anche se sanno che alla fine ‘’i Medi finiranno per passare’’, meritano il riconoscimento dovuto ai Maestri.

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