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Marchi (Banca Finint): “Far ripartire il Nordest è la nostra mission”

INTERVISTA A ENRICO MARCHI, Presidente di Banca Finint e Save – “Il Nordest perde sempre più terreno rispetto a Milano e alla Lombardia per il deficit della sua classe dirigente ma Banca Finint vuol dare una mano a sostenerne le Pmi con un’attività finanziaria innovativa al servizio dell’economia reale e con infrastrutture d’avanguardia come quelle di Save”

Marchi (Banca Finint): “Far ripartire il Nordest è la nostra mission”

“Ho studiato alla Bocconi e negli anni di vita a Milano ho capito che il mio obiettivo, al di là della carriera, era di vivere a Conegliano; per cui dopo essermi laureato ho preferito tornare subito nella mia città perché qui sono le mie radici, qui è la mia casa e perché amo infinitamente la mia terra. Da allora però ho cominciato a pensare a come potevo mettere a frutto le mie conoscenze finanziarie e la mia passione civile per fare qualcosa di utile al Nordest e alle sue imprese. La mia Finint, il Gruppo Finanziaria Internazionale, è nata così quaranta anni fa ed è cresciuta passo dopo passo fino a diventare una delle maggiori banche d’affari private indipendenti”. Chi parla è Enrico Marchi, azionista di controllo e presidente di Banca Finint – di cui da poche settimane l’Ad è Giovanni Perissinotto, ex numero uno delle Generali – e presidente e Ad (insieme a Monica Scarpa) del gruppo Save, che gestisce gli aeroporti di Venezia, Treviso, Verona, Brescia e Charleroi.

Marchi si schermisce quando qualcuno lo chiama “il Cuccia del Nordest“ o quando, fatte le debite proporzioni, qualcuno paragona il modello di Banca Finint a quello di Mediobanca, ma di sicuro questo elegante sessantenne veneto è un banchiere atipico, che non considera la finanza fine a stessa ma al servizio dell’economia reale e delle imprese e che pensa con allarme ai passi indietro del  Nordest. E poco gli importa se, per guardare senza veli alla realtà attuale del Nordest, deve lanciare – da buon liberale – qualche frecciata alla sua classe dirigente, sia imprenditoriale che politica. L’intervista che Marchi ha concesso a FIRSTonline non è priva di sorprese. Eccola. 

Presidente, nel  presentare i risultati  di bilancio 2018 all’assemblea annuale, Lei ha sostenuto che la mission di Banca Finint non è solo quella di conseguire utili ma di realizzarla facendo ripartire il Nordest e favorendo il rilancio e la crescita delle aziende del  territorio attraverso un adeguato sistema finanziario: qual è oggi il reale stato del Nordest e che cosa si propone di fare Banca Finint? 

“Banca Finint è il punto d’arrivo di oltre 35 anni di attività del Gruppo Finanziaria Internazionale, in breve Finint, nel settore finanziario. Finint detiene partecipazioni sia nella banca omonima che in una società di gestione aeroportuale del calibro di Save, che ad oggi gestisce 5 aeroporti. Ho fondato Finint nel 1980, oltre che per mettere a frutto quello che avevo studiato e che mi piaceva, anche per il mio amore per il territorio e per la passione civile che ho sempre avuto fin da ragazzo. Dopo essermi laureato in Bocconi avrei potuto cercare di fare carriera nel mondo finanziario ma ho preferito tornare a Conegliano, perché questa è la mia terra, per la quale volevo fare qualcosa di utile. L’idea della Finint è nata così ed è cresciuta nel tempo avendo ben chiaro che la creazione dei profitti non è il fine, bensì la conseguenza di un lavoro ben fatto. La nostra attività finanziaria è partita dal leasing con una società che allora si chiamava Finvest e poi si è estesa negli anni alla corporate finance, alla finanza strutturata, all’asset e al wealth management, ai fondi immobiliari e alla consulenza d’impresa. Nel 2014 è nata Banca Finint, che si chiama così perché fosse chiaro fin da subito che dovesse essere profondamente radicata nel territorio ma con un orizzonte internazionale e che è una banca d’investimento al servizio delle piccole e medie imprese del Nordest. Noi siamo cresciuti ma il Nordest è andato indietro e per questo dobbiamo fare qualcosa per difenderlo e per rilanciarlo”.

Il Nordest, malgrado gli scricchiolii che si avvertono, è considerato un’area tra le più prospere del Paese: perché secondo Lei è andato indietro? 

“Perché molte imprese eccellenti sono finite in ginocchio per motivi finanziari e non di carattere industriale e sono state acquisite da multinazionali, e perché il sistema bancario locale che all’inizio degli anni 80 vedeva i veneti azionisti di maggioranza dell’Ambroveneto, diventato oggi Intesa San Paolo, si è drasticamente ridotto negli anni e alla fine è stato quasi interamente distrutto dopo il default delle due principali banche venete: oltre a noi, che siamo una banca d’affari e non un istituto di credito commerciale, sono rimaste solo le banche di credito cooperativo, Banca Ifis e una bella banca come la Popolare di Cividale, di cui oggi siamo advisor nella ricerca di investitori per farla diventare una banca internazionale. Troppo poco per sostenere l’economia reale che ha bisogno non solo di piccole ma anche di medie e grandi aziende in grado di operare sui mercati internazionali e che ha bisogno di un moderno sistema di infrastrutture: ma anche qui, ad eccezione del sistema aeroportuale che abbiamo costruito noi con Save, c’è da piangere, se si considera che la principale autostrada – la Serenissima – è stata ceduta agli spagnoli di Abertis, che la Regione Veneto ha venduto il 50% della Padova-Venezia all’Anas e che, prima o poi, anche una multiutility come Ascopiave è destinata a finire in mano a gruppi  esterni. Mi chiedo a cosa serva l’autonomia regionale se poi svendiamo i nostri gioielli così. Capisce perché c’è amarezza?”.

Osservazioni sacrosante, ma non crede che la vera debolezza del Nordest stia nella bassa crescita di tutto il Paese e in un Governo nazionale che non punta sugli investimenti e sullo sviluppo ma su misure assistenziali come Quota100 e il Reddito di cittadinanza, che non si preoccupa del debito pubblico e che è in lite perenne con l’Europa seminando sfiducia e alimentando l’incubo di Italexit? 

“Certo che c’è un problema Italia, e cioè di un Paese che declina e che si isola dall’Europa e che ha pesanti riflessi negativi sul nostro territorio – come è emerso con chiarezza nella irrisolta questione delle grandi navi a Venezia – ma c’è purtroppo anche un problema del Nordest, che non conta più niente e che perde sempre più terreno rispetto a Milano e alla Lombardia”. 

Qual è, secondo Lei, la causa di questo arretramento del Nordest? 

“Le cause sono tante ma principalmente una: il deficit di classe dirigente locale che non ha la qualità e la visione che il Nordest e in particolare il Veneto meriterebbero. Abbiamo grandi individualità ma anche tante discussioni, mille polemiche ma poche decisioni e incapacità di fare sistema. Purtroppo, se non vogliamo finire in fuorigioco, non si può più temporeggiare”. 

Non Le sembra paradossale che una regione tra le più prospere come il Veneto e da sempre votata all’export e all’internazionalizzazione con il suo ricco tessuto di Pmi si sia lasciata infatuare dai disegni sovranisti e protezionisti della Lega e dei Cinque Stelle? 

“E’ vero: è un paradosso che mette tristezza soprattutto a un vecchio liberale come me e che spiego solo come effetto dalla Grande Crisi economica e finanziaria che, tra i tanti danni, ha prodotto anche insicurezza. La verità è che il Nordest è un’area ricca ma da troppo poco tempo: pensi che solo nel 1956–57 il Pil industriale ha superato il Pil agricolo. Non abbiamo avuto tempo di fare sistema e siamo rimasti una regione di piccole e medie imprese ma un nano politico. Di veneti ai vertici dell’Italia non ne vedo più e questo è lo specchio della debolezza di una classe dirigente”. 

Non crede che di fronte al risorgente Rischio Italia, dovuto a una pessima conduzione politica nazionale, ci vorrebbe anche nel Nordest una riscossa civile delle imprese e dei lavoratori? 

“Certo che ci vorrebbe ma è in momenti difficili come questo che emerge tutto il deficit di leadership della borghesia italiana e non solo di quella del Nordest”. 

Nel contesto attuale del Nordest qual è dunque il ruolo che vuole giocare la Banca Finint? 

“In primo luogo mi permetta di esprimere l’orgoglio di rappresentare l’unica banca d’affari creata negli ultimi 40 anni che non ha mai cambiato l’azionista di controllo, che con me detiene l’85%. Passo dopo passo siamo diventati una  delle maggiori realtà finanziarie private del Nordest, una delle principali banche d’investimento e di corporate finance oltre che un attore di primo piano in Italia nell’asset e del wealth management. Il nostro mestiere è fare finanza al servizio dell’economia e dello sviluppo del  Nordest e delle sue imprese. Abbiamo quasi 400 dipendenti, principalmente ma non solo nella sede di Conegliano, di cui 150 impiegati nelle operazioni di finanza strutturata, siamo leader nei minibond e nelle cartolarizzazioni che abbiamo cominciato nel 1991 e siamo intervenuti in ben 19  delle 21 operazioni stipulate nel 2018 con GACS. Siamo stati tra i primi a lanciare un fondo hedge e, con la nostra Sgr, puntiamo a diventare un operatore sempre più grande e innovativo sul mercato mobiliare ed immobiliare, ma senza dimenticare che se vogliamo conquistare la fiducia dei clienti l’etica non è un optional. Abbiamo fondi nel fotovoltaico e nell’housing sociale e stiamo pensando a un fondo per il turnaround delle imprese in difficoltà”. 

Pensate anche ad acquisizioni e fusioni o alla quotazione in Borsa? 

“Il nostro primo driver resta la crescita organica ma in cassa abbiamo molta liquidità e ci stiamo domandando come impiegarla al meglio. Vogliamo essere sempre di più e sempre meglio la banca d’affari del Nordest con una buona presenza complessiva sull’Italia nei nostri segmenti di attività. La Borsa? Non escludiamo nulla per il futuro ma per quotarsi ci vuole una ragione e, al momento, noi non abbiamo bisogno di raccogliere capitali. Siamo solidi, cresciamo e per ora stiamo bene così”. 

Fatte le debite proporzioni, il vostro modello di business vi fa assomigliare a Mediobanca? C’è chi dice che siete un po’ la Mediobanca del Nordest.

“Con Mediobanca abbiamo ottimi rapporti ma, se vogliamo prendere dei modelli, direi che per la loro innovatività ci ispiriamo di più a Lazard e a Warburg e per la professionalità con cui sanno gestire operazioni anche molto complesse a Goldman Sachs”. 

E con Banca Ifis, che recentemente ha prelevato dalle vostre file il suo nuovo Ad Colombini, avete rapporti di competizione o di buon vicinato? 

“Di collaborazione. Facciamo mestieri diversi ma anche con Banca Ifis abbiamo buoni rapporti e credo che, essendo rimasti in pochi, l’ottica migliore sia sempre quella della collaborazione”.

Poi c’è Save, l’altro grande asset del Gruppo Finint oltre la Banca: qual è lo stato di salute della vostra società aeroportuale? 

“E’ un gioiello che cresce in ricavi e redditività a doppia cifra. Nel 2018 ha fatto 227,8 milioni di fatturato con un aumento del 14,8% sull’anno precedente, 113 milioni di ebitda (+19,6%) e 50,1 milioni malgrado maggiori oneri finanziari e imposte non ricorrenti. Ha in portafoglio 5 aeroporti: Venezia, Treviso, Verona, Brescia e il 25% di Charleroi. Con oltre 15 milioni di passeggeri all’anno il polo aeroportuale Venezia-Treviso è ormai il terzo polo aeroportuale intercontinentale d’Italia dopo Roma e Milano. E’ una realtà che è cresciuta sotto i nostri occhi e che ci sta dando grandi soddisfazioni. Inoltre, siamo particolarmente fieri di avere in portafoglio il 25% di Charleroi, non solo perché è uno scalo che cresce e che è diventato uno degli asset più importanti della Vallonia ma perché quella è stata ed è terra di migranti italiani, soprattutto del Nordest: se ci sarà la possibilità, siamo pronti ad aumentare la nostra partecipazione azionaria e a prendere il controllo dell’aeroporto belga”. 

E’ vero che volete entrare anche nell’aeroporto di Trieste? 

“No. Abbiamo studiato il dossier ma ci siamo ritirati quando abbiamo capito che non c’erano le condizioni politiche e che l’aeroporto di Ronchi dei Legionari vive di ampie sovvenzioni della Regione Friuli-Venezia Giulia. Semmai, se matureranno le condizioni giuste, potremmo guardare in altre direzioni”. 

Quali? 

“Stiamo guardano il dossier dell’aeroporto di Catania: in linea teorica potrebbe interessarci. Poi abbiamo come obiettivo di salire nell’aeroporto di Verona, di cui oggi deteniamo il 40%, per dar corpo ad un vero e proprio sistema aeroportuale del Nordest”. 

Chi controlla Save? 

“La compagine azionaria di Save è composta da Finanziaria Internazionale Holding e da due fondi esteri, con cui vi è un forte patto parasociale”. 

Forse per il suo sapiente uso di alleanze e di incroci societari, c’è chi la definisce il Cuccia del Nordest: che effetto Le fa quando glielo dicono? 

“Ovviamente mi inorgoglisce ma, siccome non sono vanitoso, credo che sia una definizione immotivata. Io sto con i piedi per terra e cerco solo di fare il mio lavoro con passione e con amore per la mia terra, che amo e nella quale sento forte le mie radici”. 

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