Condividi

M5S: populismo “sano” o forza “liberale e moderata”?

I Cinque Stelle cercano disperatamente una nuova identità per frenare lo sgretolamento e si affidano a Giuseppe Conte ma il “populismo sano” dell’ex premier è compatibile con l’idea di una forza “liberale e moderata” di cui parla Di Maio? E il Pd legge i sondaggi e si accorge di quello che sta succedendo? Ma non tutti i mali vengono per nuocere…

M5S: populismo “sano” o forza “liberale e moderata”?

Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, aveva appena indicato nei giorni scorsi la prospettiva di una forza “liberale” e “moderata” come possibile approdo della ricerca d’identità dei Cinque Stelle. Ma domenica è arrivato l’ex premier Giuseppe Conte, implorato da Beppe Grillo, a farsi capo dei Cinque Stelle in cerca di una rotta e di un’ancora di salvataggio. Ed è di tutta evidenza come il linguaggio di Conte – se le parole hanno ancora un valore – sia molto diverso da quello di Di Maio. Non a caso l’ex premier, forse per giustificare le sue due contradditorie esperienze di governo, si è fatto paladino di un “populismo sano” senza preoccuparsi troppo dell’ossimoro di cui si faceva portatore. Populismo sano? Ma può essere sano il populismo? E come può conciliarsi con una forza liberale e moderata o anche con l’adesione al Pse, il Partito socialista europeo in cui i Cinque Stelle, dopo essere stati alleati dell’estrema destra di Nigel Farage e aver corteggiato i gilet gialli francesi, vorrebbero accomodarsi? Valli a capire i grillini che per definire la loro identità potrebbero, come ha argutamente suggerito Sebastiano Messina su “la Repubblica” rifarsi a Pirandello: “Uno, nessuno e centomila”. In altre parole: tutto e il contrario di tutto.

Delle capriole pentastellate sarebbe interessante capire che cosa ne pensa il Pd di Nicola Zingaretti che, dopo aver temerariamente incoronato solo qualche mese fa Giuseppe Conte come “punto di riferimento fortissimo dei progressisti”, ora che l’ex premier si appresta a diventare il capo dei Cinque Stelle, sembra ricredersi. Ma fino a un certo punto perché, nelle infinite giravolte della sua segreteria, Zingaretti non sembra più disposto a cedere a Conte la leadership della alleanza tripartita (Pd, M5S, Leu) ma è sempre orientato all’abbraccio con i grillini, se è vero come è vero che ha improvvisamente archiviato la propensione proporzionalista per riscoprire la vocazione maggioritaria.

I sondaggi però riservano amare sorprese a Zingaretti. Secondo Swg l’effetto Conte porterebbe i Cinque Stelle al 22% mentre il Pd perderebbe il 4,3% scendendo sotto il 15% e collocandosi al quarto posto della classifica dei partiti. E quel che è peggio è che lo schieramento di centrodestra, salvo clamorose rotture tra i governativi della Lega e di Forza Italia e gli oppositori di Fratelli d’Italia, sembra nettamente destinato a prevalere nelle prossime elezioni politiche, anche se l’incognita della legge elettorale non è di poco conto.

Insomma, sotto il cielo della politica, come ama dire Enrico Mentana, la confusione è alta e lo è soprattutto tra i Cinque Stelle e nel Pd. Ma non tutti i mali vengono per nuocere: finché i partiti vanno a caccia della loro nuova identità, Mario Draghi può liberamente governare, come ha già cominciato a fare con uno stile e una determinazione che Giuseppe Conte nemmeno si sognava.

Commenta